Parigi, 13 settembre 2018. A margine dell’annuncio dell’accordo tra Jordan e il Paris Saint-Germain, il CEO del celebre marchio del “Jumpman 23” Larry Miller rilascia un’intervista a Esquire in cui spiega le ragioni alla base dell’ingresso nel mondo del calcio: «Sono anni che stiamo espandendo il brand Jordan oltre il basket. Abbiamo atleti nel football americano, nel baseball, nella boxe, nel golf e nelle corse automobilistiche oltre a importanti partnership con squadre di football americano a livello di college. Abbiamo inoltre aggiunto ulteriori dimensioni creando la linea Jordan Women e continuiamo a crescere a livello globale in ogni settore. Quindi, collaborare con il Psg come nostro primo club di calcio europeo, specialmente dopo avere costruito una connessione così forte con Parigi, è stato un passo assolutamente naturale per noi». Curiosamente, o forse no, Parigi è la stessa città che nel maggio 2015 aveva ospitato le celebrazioni per il trentesimo anniversario del brand più famoso del mondo per quel che riguarda sneakers e abbigliamento da basket.
La partnership con il club francese – che si è sostanziata nei kit da gioco utilizzati nel corso dell’attuale edizione di Champions League, oltre che in alcuni gadget ed indumenti in edizione limitata, tutti con il logo Jordan in luogo dell’abituale Nike –, è solo l’ultimo tassello di un faraonico piano industriale e commerciale avviato nel 2011 con la sponsorizzazione del pilota Nascar Danny Hamlin, e proseguito nel 2015 con la squadra di football dell’Università di Michigan – la prima della lega collegiale ad essere “marchiata” Jordan, seguita poi da North Carolina, Florida e Oklahoma. Senza contare la posizione dominante acquisita nel mondo della palla a spicchi: solo per restare al mondo americano ad oggi sono ben 32 le squadre Ncaa che recano sulla divisa la silhouette di Michael Jordan; gli Charlotte Hornets sono l’unica franchigia Nba che, in epoca di egemonia Nike (contratto da otto anni stipulato nel 2017/18, e che porterà nelle casse della lega oltre un miliardo di dollari), possono permettersi di esibire sulle maglie come licensing sponsor il jumpman del proprio proprietario, al posto dell’altrettanto celebre swoosh.
Per quanto riguarda il calcio, però, il discorso è diverso e molto più ampio, ed è stato ben riassunto da Tim Loh su Bloomberg: «La leggenda del basket statunitense e il suo iconico logo sulle maglie delle star del calcio possono sembrare un’accoppiata improbabile, ma fanno parte di una strategia più ampia messa in atto da Nike per testare le nuove frontiere del marketing nella sua perenne battaglia con Adidas sul prato verde. In particolare, Nike sta provando a diversificarsi per raggiungere un pubblico sempre più giovane e stabilire una fanbase stabile nel cuore dell’Europa».
Sebbene, al momento non siano previste altre partnership con altre squadre di calcio europee – «Per ora siamo focalizzati su questa eccitante collaborazione con il Psg che mette insieme due straordinarie icone di sport e stile», ribadì a suo tempo Miller – la lungimiranza dell’azienda dell’Oregon in questo senso trova riscontro tanto nei dati di vendita (al 30 novembre 2018 tutto il merchandising Psg griffato Jordan era andato esaurito, nonostante una congiuntura economica funestata dalla “Brexit” e dalle proteste dei “gilet gialli”) quanto nella possibilità di associare il brand Jordan a Kylian Mbappé, l’unico giocatore che il Ceo adidas Kasper Rorsted vorrebbe strappare alla diretta concorrente: «È giovane, è forte e ha una grande personalità». Praticamente le stesse valutazioni fatte nel giugno 2016 dai responsabili marketing di Jordan, quando decisero di disegnare per Neymar una signature shoe su misura (la “Air Jordan Hypervenom”) e una sneaker personalizzata mutuata dalle “Jordan V”, nell’ennesimo riuscitissimo connubio tra calcio, lifestyle e streetwear.
L’immediatezza del successo di quest’operazione commerciale consente di spiegarne i motivi alla base, e di tracciare una previsione credibile di quelli che potrebbero essere i prossimi passi di Nike e Jordan nel mondo del calcio. In primo luogo la scelta della città e della squadra: Parigi, da sempre avanguardia sociale e culturale in Europa, è una delle capitali più aperte a quel mondo della pop culture e dell’hip-hop già parte integrante di quella American way of life che ha proprio in Jordan uno dei marchi più riconosciuti e riconoscibili per quel che riguarda il consumismo di massa. C’è poi da considerare lo status di marchio globale e globalizzato che il Psg sta cercando di costruirsi negli ultimi anni attraverso l’arrivo dei giocatori più glamour del momento: Cavani, Neymar, lo stesso Mbappé, Dani Alves, Thiago Silva (per restare in tema di testimonial Nike), aderiscono perfettamente all’idea che vuole l’acquisto di un calciatore effettuato sulla base di logiche di campo ma non solo, in modo da creare una fidelizzazione più ampia tra giovani e giovanissimi, in particolare per la generazione di fine anni ’80 e inizio anni ’90 che è praticamente cresciuta con il mito del “be like Mike”.
Non bisogna, infine, dimenticare l’importanza della prospettiva a lungo termine: quando il presidente del Psg Nasser Al-Khelaifi racconta di «un’ambizione che accomuna entrambi i brand» – allineandosi, di fatto, alle dichiarazioni di Michael Jordan circa «la condivisione di posizioni innovative nello sport e nel lifestyle, per questo la partnership è stata naturale» –, si riferisce proprio alla visionarietà di un nuovo modo di intendere il calcio e tutti gli aspetti collegati ad esso, in totale rottura con la tradizione e lo status quo comunemente accettato, per calarli nella realtà del XXI secolo.
Si tratta di quella visione del futuro che, secondo l’analista John Kernan, «Nike sta esprimendo meglio di chiunque altro perché sono vicini al consumatore e sono in grado di dettare le tendenze nelle città chiave». Quelle, cioè, caratterizzate da multiculturalismo, integrazione e una “squadra del popolo” nell’accezione che vuole la stessa in grado di unire la più ampia fetta di pubblico possibile: in tal senso non sembra difficile immaginare un coinvolgimento di Jordan in realtà calcistiche come Londra (Chelsea e Tottenham), Milano (Inter), Barcellona, Berlino (Hertha) e altri club in grado di andare oltre il campo e le sue logiche troppo stringenti. Del resto, come ha scritto un utente sulla principale fanzine del Psg in lingua inglese, «la sponsorizzazione Jordan non porterà un nuovo centrocampista a Parigi, né ci aiuterà a battere il Liverpool o a vincere la Champions. Capisco che per molti conti solo il calcio in senso stretto e lo rispetto ma, se si è veramente tifosi del club, non si può non considerare come questa partnership gioverà al Psg e ai suoi tifosi nella misura in cui i nostri prodotti a marchio Jordan verranno acquistati dai clienti nordamericani e asiatici». Perché non è solo calcio. Così come non è mai stato solo basket.