La vittoria delle idee

L'Ajax ha battuto con merito una Juventus troppo speculativa.

Quando il fischio finale è ormai passato da un pezzo, i giocatori dell’Ajax sono ancora lì. Non vogliono uscire dal campo. Assaporano, a lungo, il gusto dell’impresa di cui sono stati capaci: la vittoria contro la Juventus, poco più di un mese dopo quella contro il Real Madrid al Bernabéu. La qualificazione alle semifinali di Champions: a un’olandese non succedeva dal 2005 – allora ci era riuscito il Psv –, ai biancorossi di Amsterdam addirittura dal 1997. «Non riesco a trovare le parole, non ero nemmeno nato l’ultima volta che siamo arrivati in semifinale di Champions League», ha detto Matthijs de Ligt. Un diciannovenne con l’autorità di un trentenne. L’uomo che consegna l’impresa all’Ajax, con il gol del 2-1. Quando gli olandesi, dopo aver festeggiato con i propri tifosi – rumorosissimi, dall’inizio alla fine – escono dal campo, gli spalti sono deserti. Chi è rimasto, però, non può fare a meno di applaudire.

Gli applausi, anche se solo metaforici, l’Ajax li raccoglie anche dagli sconfitti. «L’Ajax ha meritato ampiamente di passare il turno, questo si è visto sul campo», le parole di Andrea Agnelli nel dopo partita. «Quest’anno ha messo in serissima difficoltà il Bayern Monaco, il Real Madrid e la Juventus. Bisogna anche saper fare i complimenti all’avversario, e questo è un avversario che tutto l’anno sta giocando un calcio straordinario». Anche Allegri sposa il concetto: «Hanno meritato il passaggio del turno e anche il risultato di questa sera. Sono alle semifinali di Champions League, e non è un caso».

Raccogliere consensi così ampi racconta la prestazione dell’Ajax, coraggiosa, solida, di personalità. Di qualità, soprattutto, e di idee forti. Non è stata una novità e non poteva esserlo, perché la squadra di ten Hag ha costruito la sua forza su un’idea di gioco chiara e netta, non speculativa. Ha giocato così allo Stadium e al Bernabéu. Ha giocato così dopo una sconfitta o dopo un pari all’andata. Ha giocato così il 25 luglio contro lo Sturm Graz, prima partita degli olandesi di questa Champions. L’Ajax ha imposto una filosofia, e l’ha anteposta ai suoi stessi giocatori e a quelli avversari. Ai risultati, alle situazioni. L’Ajax ha subito il gol della Juventus e ha continuato a interpretare la partita per com’è abituata. Sei minuti dopo la rete di Ronaldo, van de Beek ha trovato la rete del pareggio. Forse è in quel momento che la Juventus ha perso la partita.

Perché l’immarcescibilità dell’idea di gioco dell’Ajax – qualcosa di alto e non barattabile – ha rovinato i piani della Juventus. Solo poche settimane fa, allo Stadium i bianconeri distruggevano l’Atlético, in una partita che sulla carta aveva un coefficiente di difficoltà molto alto – il risultato dell’andata suonava come una sentenza. La tripletta di Ronaldo ha rovesciato il destino della qualificazione, ma la realtà è che la Juventus si è prodotta in una grande partita perché ha trovato il terreno giusto per esaltarsi: già dopo pochi minuti di gioco, l’Atlético difendeva basso, all’interno dei suoi venti metri. L’idea di non prendere gol, e poi subirne tre. Situazioni tattiche che la Juve ha sperimentato e continua a sperimentare in Serie A.

Forse al nostro campionato manca il coraggio, accettare di interpretare le partite secondo un’idea di gioco forte e riconoscibile. Se giocare “all’italiana” non basta alla Juventus, la squadra più forte della A e tra le più forti d’Europa, a chi, allora, potrebbe bastare? La proposta di gioco che i bianconeri stavano mettendo a punto nella prima parte di stagione era golosa e interessante, ma non se n’è mai vista la piena fioritura: con l’arrivo delle partite a eliminazione diretta, ci si è rifugiati nel know-how italiano. Dopo quattro campagne di Champions molto positive per la Juventus, quest’anno il bilancio è deludente. Tra ottavi e quarti, la Juventus ha segnato cinque gol, tutti di Ronaldo. Avere un extraterrestre in squadra – 65 gol in 78 gare a eliminazione diretta di Champions – è un vantaggio enorme, ma non può essere un punto di partenza. Perché anche i grandi giocatori, da soli, non possono fare nulla contro le idee.