Anima galiziana

Iago Aspas: capitano, miglior giocatore e simbolo del Celta Vigo.

“Como en casa en ningún sitio”, recita un famoso proverbio spagnolo che enfatizza il senso di appartenenza al luogo dove si è visto la luce e, soprattutto, dove si è vissuta l’infanzia e poi l’adolescenza. Per Iago Aspas, uno dei calciatori spagnoli meno mediatici ma al contempo più decisivi, tale detto acquisisce una valenza assoluta. Cresciuto a Moaña, porticciolo galiziano che guarda dritto negli occhi lo stadio di Balaídos, il numero 10 del Celta si sente identificato come nessun altro ai suoi colori. Partito e tornato come il più classico figliol prodigo, il mancino 32enne capitano del Celta ha chiuso il cerchio dopo un viaggio iniziato lontano da casa che gli ha fatto capire quanto lui e la squadra si compenetrassero in maniera perfetta.

 

Sempre in Galizia fino all’estate del 2013, Aspas lasciò casa per approdare al Liverpool di Brendon Rodgers, che perse il titolo di Premier League per il famigerato scivolone di capitan Steven Gerrard contro il Chelsea. La presenza di un Luís Suárez nella sua miglior versione in solitario e l’eccessiva fisicità del campionato britannico furono le concause del mancato adattamento di un calciatore esperto ma anche poco malleabile, che durante l’erasmus inglese sentì come nessun altro il concetto di morriña, parola in galiziano che si avvicina come poche al concetto di saudade brasiliana per indicare la nostalgia dei propri lidi. Sui freddi docks del Merseyside non battevano le stesse onde della Ría de Vigo, e il passaggio dal primo anno di Primera División della stagione precedente a una Premier di vertice non fu assimilato affatto: 14 presenze, nessuna delle quali per 90 minuti, e 0 reti in campionato. I numeri riflettono la tristezza del gallego in quel di Liverpool.

La stagione successiva si avvicina a casa, ma in uno dei luoghi culturalmente più lontani rispetto alla Galizia, quella Siviglia umida e calorosa che non perdona facilmente chi è cresciuto in riva all’Oceano. Il tecnico Unai Emery lo utilizza prevalentemente in Coppa del Re e alla fine persino la vittoria dell’Europa League è agrodolce, perché Aspas non viene neanche convocato dai quarti di finale in poi e figura appena nell’elenco della squadra campione, accumulando solo minuti nelle partite meno importanti di campionato.

È il momento giusto per tornare a Balaídos dopo due anni, a casa lo aspetta Eduardo Berizzo, che da buon bielsista punta su di lui come attaccante centrale di movimento. A 28 anni inizia la vera carriera di un calciatore che si è consacrato nella sua terra e nella stagione attuale di Liga è terzo in quanto ad efficacia offensiva – davanti a lui ci sono solo Stuani e Messi. Se l’uruguayano del Girona ha realizzato il 52% dei gol della sua squadra e il capitano del Barça ha segnato il 40% dei centri dei blaugrana, Iago Aspas è stato autore di 20 reti in 27 incontri, ossia il 36% dei gol del Celta. Ed è a lui che la squadra galiziana deve questa salvezza, una piccola impresa che arriva dopo aver vissuto nel pozzo del terzultimo posto in classifica, l’ultimo che spinge verso l’Inferno della Segunda División.

Il Celta, che fino all’infortunio di Aspas aveva vissuto una stagione tranquilla a metà classifica, aveva iniziato a perdere quota proprio da quando è venuto a mancare il suo leader. Dopo una lesione al polpaccio destro sopraggiunta ad inizio anno, il capitano celeste ha lasciato monca una squadra che da quel momento ha accumulato solo 4 punti in 11 incontri, nel mezzo dei quali Aspas ha fatto una comparsata di 24 minuti a Getafe prima di una ricaduta che lo ha tenuto fuori fino all’incontro del 30 marzo scorso contro il Villarreal. Il destino voleva che il capitano tornasse proprio nel momento del bisogno, in uno spareggio contro una diretta concorrente. Lo scorso 30 marzo Aspas fu l’unico a fare ombra a Messi, autore di una doppietta contro l’Espanyol, siglando due gol fondamentali per rompere il maleficio di sei partite consecutive senza successi. Il capitano ridava così quota a un aereo che sembrava dovesse schiantarsi in picchiata, con le sue lacrime alla fine del match come liberazione di chi trovava finalmente la forza e l’inerzia per salvare la sua squadra del cuore da assoluto trascinatore.

Il volo di Aspas, arrivato molto tardi, è quello di un calciatore sapiente come pochi dal punto di vista tattico, ma che ha necessitato di tempo, e anche della giusta compagnia, per diventare completo.  Come dice il suo ex tecnico Juan Carlos Unzué, che l’ha allenato nella stagione scorsa, «Iago è un crack sottovalutato, un leader affermato che si è scoperto tale dopo essere tornato a casa in seguito a due esperienze che lo hanno fatto crescere nonostante le avversità». Il processo definitivo di trasformazione di Aspas nel giocatore che è oggi è arrivato alla soglia dei trent’anni, quando il tecnico Unzué in panchina l’ha trasformato in seconda punta di movimento, dietro il centravanti Maxi Gómez. Sembrava dovesse competere con l’uruguagio per un posto in squadra, invece poi i due attaccanti si sono scoperti complementari, e allora Iago ha acquisito ancora più responsabilità dal punto di vista della coesione del gruppo, della capacità di associarsi con i compagni.

Non è un caso che la stagione passata, con Unzué in panchina, sia stata la migliore di sempre per Iago, andato in gol 24 volte in campionato, miglior cannoniere spagnolo del campionato e quarto in assoluto dietro Messi, Ronaldo e Suárez, tutti già vincitori della Scarpa d’Oro. Maturato del tutto e sgravato di alcuni compiti di posizione spalle alla porta da Gómez, Aspas ha iniziato a giocare ‘alla Messi’, ossia partendo da destra o dal centro dell’attacco per convergere e andare al tiro, senza dimenticare movimenti e conclusioni da centravanti puro. Di questa abilità composita si è innamorato Luis Enrique, che dopo aver seguito con attenzione le prestazioni del suo assistente al Barça sulla panchina della squadra di Vigo ha pensato bene di puntare su di lui per il delicato ruolo di centravanti della Spagna. L’eliminazione della Roja agli ottavi di finale del Mondiale 2018 contro la Russia ha permesso a Lucho di attuare una sorta di repulisti, per cui Aspas ha tolto il posto persino a un habitué come Diego Costa.

La salvezza del Celta, arrivata solo all’ultima giornata, doveva firmala lui per forza di cose: la sua doppietta in rimonta che ha sancito il pareggio casalingo col Rayo Vallecano è stata sigillata da un colpo di genio, con il destro, il suo piede debole, che ha fruttato il 2-2 allo scadere e gli è valso il trofeo Zarra, che premia il miglior marcatore spagnolo del campionato, conquistato per la terza volta in carriera. La miglior maniera per chiudere la stagione e ripartire da lui, il vero faro del porto di Vigo.