Guida dettagliata alla Coppa d’Africa

La prima edizione a 24 squadre, la prima che si giocherà durante l'estate boreale.

Sulle orme dell’Europa

In alcuni dei passaggi più illuminanti del suo capolavoro Afrotopia, l’economista senegalese Felwine Sarr, uno dei più autorevoli intellettuali africani contemporanei, usa il filtro dell’utopia per colorare la sua critica anticolonialista, mettendo a fuoco i due punti di vista predominanti della narrativa odierna sull’Africa: l’afropessimismo, ovvero quella tendenza a considerare il continente africano quasi come una sorta di culla per tutti i mali del mondo; e l’afrofuturismo, quella corrente di pensiero secondo la quale l’Africa sarà il continente del futuro, quello più giovane di tutti, il prossimo eldorado del capitale internazionale. Per motivi diversi, Sarr non abbraccia nessuna delle due visioni, ma anzi prova a immaginare un mondo utopico, in cui l’Africa si libera dagli sguardi esterni, spogliandosi di quella cappa paternalistica cucitagli addosso dagli europei in secoli di storia.

 

Un’emancipazione filosofica-culturale evidentemente non condivisa dalla Caf, come testimoniano le novità più importanti della trentaduesima edizione della Coppa d’Africa, dirottata in Egitto dopo la revoca dell’assegnazione al Camerun per motivi logistici e di sicurezza e innovata sotto ogni aspetto – dal format al calendario –, sempre guardando al cosiddetto modello europeo: al torneo, nato nel 1957 sull’onda lunga del panafricanismo, parteciperanno 24 squadre (anziché 16 come in passato), come accade già agli Europei. E per la prima volta si giocherà in piena estate e non nel cuore dell’inverno boreale, a metà della stagione calcistica europea, come invece accadeva fino a due anni fa.

Questo toglierà dall’imbarazzo le società europee, sempre recalcitranti a perdere giocatori nel momento clou della stagione, e probabilmente permetterà alla Coppa d’Africa di avere sul palcoscenico tutti i suoi principali protagonisti, ma come in tutte le cose c’è anche il rovescio della medaglia: «Sarà veramente dura giocare con caldo e umidità a livelli altissimi», ha dichiarato Djamel Belmadi, il selezionatore dell’Algeria, lamentandosi della decisione della Caf di spostare la manifestazione in estate.

Le favorite

La Coppa d’Africa, infatti, prenderà vita stasera allo Stadio Internazionale del Cairo, in una capitale egiziana reduce da un mese torrido non solo sotto il profilo meteorologico, ma anche sotto quello politico: pochi giorni fa, infatti, si è spento l’ex presidente Mohamed Morsi, facendo temere disordini e attentati agli organizzatori. I padroni di casa dell’Egitto, a digiuno di titoli dal 2010 dopo aver esercitato un dominio quasi incontrastato nella scorsa decade, hanno cambiato guida tecnica, dando il benservito al pragmatismo di Cúper e abbracciando la proposta di calcio di Javier Aguirre.

È una scelta di rottura, il tecnico messicano ha dimostrato di avere le idee chiare sin dall’inizio, promettendo di donare all’Egitto una mentalità proattiva: «Vogliamo giocare un calcio offensivo e propositivo, per sentirci orgogliosi di noi stessi».  Le convocazioni, in un certo senso, rivelano anche la voglia di conferire pieni poteri a Mohamed Salah, sradicando alla radice qualsiasi potenziale forza oscuratrice: non deve quindi stupire se a casa sia rimasto un talento come Ramadan Sobhi, reduce da un semestre in chiaroscuro all’Al-Ahly.

All’insegna della continuità tecnica, invece, sono i percorsi di Marocco, Senegal e Nigeria, non a caso le favorite per il trionfo finale. Anche se forse privo di un attaccante di livello mondiale, il Marocco sembra avere il roster più completo di tutti: c’è Ziyech a guidare una batteria di  trequartisti di talento, ci sono due esterni di livello internazionale come Achraf Hakimi e Nouassir Mazraoui e in più a garantire solidità c’è una coppia di difensori affidabili composta dall’ex juventino Mehdi Benatia e da Romain Saïss.   Il vero top player, però, è in panchina. In questo continente, del resto, il francese Hervé Renard, già campione d’Africa con Zambia e Costa d’Avorio, è una vera e propria autorità. Coadiuvato dall’amico di una vita Patrice Beaumelle, sulla panchina marocchina il discepolo di Claude Le Roy si è dimostrato anche un raffinato gestore di uomini, risolvendo magistralmente la grana Ziyech, scartato alla vigilia della Coppa d’Africa 2017 e poi reinserito in gruppo, anche a costo di una pubblica ammissione di colpa: «Ziyech non ha mai reagito male. Lui voleva tornare, io avevo bisogno di lui ed ho riconosciuto i miei errori». Su di lui il ct francese ha costruito una squadra che ha una missione storica: riportare i Leoni d’Atlante sul tetto d’Africa, 43 anni dopo la prima e unica volta.

Più prosaico, ma solo in apparenza, il calcio predicato da Aliou Cissé sin dal suo arrivo sulla panchina del Senegal. Anche se ha il physique du rôle del guru,  Cissè non ha mai ambito a rivoluzionare il gioco Senegal,  piuttosto si è preoccupato di mettere una bussola in mano ai suoi giocatori, trovando l’equilibrio con un 4-3-3 iperorganizzato e votato al contropiede: «Preferisco vincere come l’Atletico Madrid che perdere come il Barcellona», la sua dichiarazione più emblematica. Riscattare i Leoni della Teranga dalle nebbie in cui sono stati avvolti dopo l’exploit al Mondiale 2002 non era impresa facile, ma l’ex carismatico capitano di quella spedizione ci è riuscito, sfruttando anche il grande lavoro svolto da alcune prestigiose accademie presenti nel Paese, come la Generation Foot, la culla di Sadio Manè e Ismaila Sarr. Per la prima volta il Senegal ha i favori del pronostico dalla sua parte, anche se Cissé preferisce fare il pompiere e calmierare gli entusiasmi. Fuor d’ogni scaramanzia, raccogliere i frutti di una generazione d’oro capitanata da Sadio Mané e Kalidou Koulibaly sarà l’obiettivo del Senegal, eliminato nel 2017 dal Camerun ai quarti con errore decisivo dal dischetto proprio del fuoriclasse del Liverpool.

Punta al successo finale anche la Nigeria, grande assente delle ultime due edizioni, tornata in Coppa d’Africa a quattro anni dal trionfo del 2013. Come all’ultimo Mondiale, le Super Eagles di Gernot Rohr, si ergono sulle solide fondamenta dell’Oyinbo Wall, com’è conosciuta in patria la coppia difensiva composta da Balogun e dal bianconero friulano; inoltre hanno riabbracciato il capitano di lungo corso John Obi Mikel e mettono in mostra Samuel Chukwueze, giovane stellina del Villareal e vedette di un reparto offensivo profondamente rinnovato. Rohr, alla guida della Nigeria da ormai tre anni, ha già fissato l’obiettivo, calibrato tenendo conto della giovane età della squadra. «Puntiamo ad entrare nelle prime quattro».

Le grandi in ricostruzione

Per Algeria, Camerun e Costa d’Avorio, squadre in piena costruzione dopo il disastro della mancata qualificazione ai Mondiali di Russia, il discorso è differente. Un anno fa la situazione più critica era quella dell’Algeria. All’arrivo di Belmadi, dalle parti di Algeri imperava l’instabilità tecnica: negli ultimi 4 anni anni, per dire, l’Algeria ha cambiato la bellezza di 6 allenatori. Per prima cosa, quindi, l’ex idolo delle Fennecs ha cercato di trasmettere serenità a uno spogliatoio scioccato dai continui terremoti in panchina e iniziato una sorta di repulisti generale, richiamando i binazionali epurati da Madjer: «Non sono un kamikaze, ma nemmeno un vigliacco. Prima di accettare mi sono accertato di avere piena libertà d’azione», ha spiegato al suo arrivo.

Subito dopo ha cominciato a sviluppare un’idea di calcio propositivo, affiancando alla stella Riyad Mahrez volti nuovi come quello dell’attaccante del Montpellier Andy Delort, diventato algerino grazie alle origini della madre e inserito in squadra dopo l’esclusione per motivi comportamentali del centrocampista Haris Belkebla. Una scommessa in parte già vinta: Delort ha impiegato meno di 5 minuti per entrare nel cuore dei tifosi algerini, realizzando al Mali, in amichevole, la sua prima rete con le Volpi del Deserto. L’altra grande attrazione dell’Algeria sarà Baghdad Bounedjah, miglior marcatore dell’anno solare 2018 a livello mondiale.

Un processo di costruzione simile a quello dell’Algeria, drastico e senza compromessi, lo hanno intrapreso anche Camerun e Costa d’Avorio. A guidare quello dei Leoni Indomabili, c’è dallo scorso agosto Clarence Seedorf, che non si è lasciato spaventare dalla sfida presentatagli dalla federazione di Yaoundè, dettando sin dal principio le condizioni per il rilancio, anche a costo di apparire impopolare o stravagante. Seedorf non solo ha preteso di avere una fascia da capitano mobile, per responsabilizzare a turno tutta la squadra, ma soprattutto ha posto un veto sui calciatori provenienti dal campionato cinese, salvo poi correggere il tiro. Sarà comunque molto difficile per Camerun, che si è dovuto qualificare sul campo dopo la revoca dell’assegnazione del torneo, bissare il successo di due anni fa e confermarsi campione, anche perché il forfait per infortunio di Vincent Aboubacar ha spuntato in maniera probabilmente irrimediabile il 4-3-3, declinante al 4-2-3-1, messo a punto in questo anno scarso dall’ex centrocampista del Milan.

A casa, per altri motivi, dovrà restare Gervinho, nonostante il sostanziale rinascimento vissuto dall’ivoriano nell’ultima stagione a Parma. Ibrahim Kamara, il tecnico di una Costa d’Avorio alle prese con un ricambio generazionale lento o comunque non all’altezza dell’irripetibile epopea precedente – nonostante la presenza dell’astro nascente Nicolas Pépé –, pensa di poter fare a meno dell’ex esterno offensivo della Roma. Con tutta probabilità, però, c’è dell’altro dietro l’esclusione di Gervinho: stando a quanto fanno trapelare i più quotati media ivoriani, la mancata convocazione sarebbe quasi una sorta di ripicca per le critiche mosse negli anni passati dall’attaccante alle alte sfere federali.

Stesso obiettivi ma metodi diversi per il Ghana, scosso nell’ultimo anno da un gigantesco scandalo di corruzione. Per tornare a vincere la Coppa d’Africa, assente ad Accra da ormai 37 anni, Kwesi Appiah ha scelto una formula più immediata, puntando tutte le fiches sull’usato sicuro della vecchia guardia. Nel 4-4-2 classico di Appiah, per dire, troverà spazio ancora una volta il totem Asamoah Gyan, al centro di un vero e proprio caso nazionale nell’ultimo periodo. Quando l’allenatore gli ha comunicato la decisione di dirottare la fascia da capitano sul braccio di André Ayew, il massimo cannoniere nella storia delle Black Stars ha sbattuto i pugni sul tavolo, minacciando il ritiro dal calcio in segno di protesta. Solo una telefonata del presidente Nana Akufo-Addo in persona lo ha convinto a fare marcia indietro: “Non potevo ignorare un desiderio del presidente“.

Le matricole

Se da un lato il nuovo format del torneo ha fatto storcere il naso a molti, preoccupati come sempre in questi casi per un calo dello spettacolo, dall’altro ha consentito a diverse squadre poco quotate di debuttare nel più prestigioso torneo del continente africano. Oltre ai ritorni di Kenya e Tanzania, assenti rispettivamente da 15 e 39 anni, sono tre le deb di questa Coppa d’Africa: Burundi, Madagascar e Mauritania. Quest’ultima è anche quella con il progetto più interessante. Il merito è del tecnico francese Corentin Martins, sbarcato a Nouakchott nell’ottobre del 2014 con la missione di risollevare i Mourabitounes, sprofondati nel 2012 alla posizione numero 206 del ranking Fifa. Con lui in panchina, infatti, i gialloverdi hanno preso l’ascensore e scalato vertiginosamente il ranking, toccando l’apice circa un anno fa, quando si sono arrampicati fino al gradino numero 81, per poi assestarsi intorno a una comunque onorevole centesima posizione.

Niente meglio di un’intervista concessa qualche anno fa a Jeune Afrique dall’allora capitano Moussa Bagayoko può aiutare a capire come dal 2011 in poi il mondo per i giocatori mauritani sia completamente cambiato: «I Mourabitounes sono finalmente diventanti una squadra credibile. Molto è cambiato: ora è diventato tutto più serio».  Un processo, quello sviluppato da Martins ma già iniziato da Patrice Neveu nel 2012, culminato nella prima, storica qualificazione alla Coppa d’Africa. Non un traguardo, ma solo un punto di partenza secondo Martins: “In futuro, la Mauritania continuerà a sfornare squadre di qualità. Il calcio mauritano è in crescita. Quattro anni fa, quando sono arrivato, solo 6 giocatori giocavano all’estero e 17 erano locali. Ora il rapporto è esattamente contrario».