È difficile negare come gran parte del clamore intorno al trasferimento di Nabil Fekir al Betis Siviglia sia legato all’idea del “passo indietro” nelle prospettive di carriera di uno dei più interessanti prodotti del calcio francese degli ultimi cinque anni, potenzialmente all’apice del suo prime tecnico, fisico e psicologico. Una considerazione alimentata da quanto successo un anno l’estate scorsa, quando il Liverpool sembrava pronto a investire una cifra vicina ai 60 milioni di euro in una trattativa poi saltata per qualche dubbio di troppo sulla tenuta di quel ginocchio destro infortunatosi gravemente nel settembre 2015. Un dettaglio che stona ulteriormente se confrontato ai 30 milioni (bonus inclusi) che gli spagnoli hanno versato nelle casse del Lione, o con la percezione, espressa da questo articolo di James Eastham su FourFourTwo, di trovarsi al cospetto di uno dei giocatori più adatti alla Premier League dell’intero panorama internazionale.
Si tratta di una chiave di lettura condivisibile fino a un certo punto e che, però, non sembra tenere conto del particolare momento di squadra e giocatore. Come ha scritto Alexandre Aflalo su France Football, «da un punto di vista puramente sportivo passare da una squadra come il Lione, regolarmente qualificata alla Champions League e costantemente in lotta per le prime posizioni in Ligue 1, ad una come il Betis che invece non giocherà in Europa può apparire come un passo indietro. Ma è anche un passo che permette a Fekir di approdare in un campionato particolarmente adatto ai giocatori con le sue caratteristiche. E anche lui, pur mantenendo la legittima ambizione di giocare in un club di alto livello, ha scelto di essere paziente».
Fekir al Betis, dunque, è un’operazione che va giudicata tenendo conto del rapporto a medio-lungo termine tra costi e benefici, per il calciatore come per il club che l’ha acquistato. Da un lato la società andalusa, tra le migliori espressioni del “nuovo che avanza” nella Liga, che sta investendo in un progetto suggestivo, fatto di campagne trasferimenti sempre più ambiziose, che hanno portato quattro dei cinque acquisti più onerosi nella storia del club nelle ultime tre sessioni di mercato, in un giusto mix tra giovani promettenti (Laínez e Lo Celso) e giocatori che hanno già avuto esperienze in un contesto di alto livello (Bartra e William Carvalho); dall’altra Fekir, che a 26 anni è reduce da una stagione faticosa – 13 gol e 9 assist in 39 presenze, a fronte dei 23 e 8 della stagione precedente in cui aveva disputato appena una gara in più – ma che resta uno dei primi calciatori d’Europa per qualità e pericolosità fronte porta.
Fekir deve ricostruirsi come uomo e come giocatore, una condizione che si coniuga perfettamente con la volontà di crescita del Betis in questo momento della propria storia. È come se l’aspetto tecnico diventasse secondario, quasi marginale, nel racconto di questo trasferimento: Fekir ha scelto il Betis per una questione di centralità e leadership, o meglio per garantirsi un certo tipo di centralità e di un certo tipo di leadership, dentro e fuori dal campo – uno status che nessun club di altissimo livello poteva garantirgli in questo momento, e che al Lione non poteva che tradursi in ulteriori manifestazione di appartenenza e identità poco utili all’ultimo e decisivo step dal punto di vista mentale.
Come in occasione della celebre esultanza “alla Messi” nel 5-0 rifilato al Saint-Etienne nel novembre 2017, un gesto che Bruno Genesio definì «un messaggio di orgoglio dettato dal particolare contesto della partita» ma che disse molto di ciò che, allora come oggi, mancasse a Fekir per poter diventare un vero punto di riferimento per una squadra con ambizioni di vertice.
Uscire da questa comfort zone, limitata e limitante per quella maturazione completa, definitiva e globale richiesta ai giocatori di un certo livello, era quindi un passo obbligato. E per un calciatore bisognoso di riprendere l’ascesa non c’era niente di meglio di un club in ascesa a sua volta: «Fekir rappresenta un salto qualitativo incomparabile nella storia recente del Betis», ha rilevato Adrian Blanco su Ecos del Balón. «L’arrivo del giocatore francese è l’ulteriore dimostrazione della nuova dimensione, sportiva ed economica, in cui è entrata il club biancoverde. Fekir migliora la squadra non solo tecnicamente o tatticamente ma ricalibra anche la sua percezione all’interno della Liga, nonostante un ultimo campionato al di sotto delle possibilità e in attesa di capire come si adatterà al nuovo sistema».
Un cambio di visuale individuale e collettivo che, comunque, non potrà prescindere da quel che sarà sul terreno di gioco. In attesa di conoscere se e in che misura Francesc “Rubi” Ferrer adatterà il suo 4-3-3 ai principi del gioco posizionale di Quique Setién, l’acquisto di Fekir è la miglior rappresentazione possibile di come il Betis intenda sostituire il partente Lo Celso: rispetto all’associatività a tutto campo dell’argentino, infatti, l’ex Lione è un giocatore che riesce ad esprimere il meglio della propria creatività quando viene avvicinato all’area di rigore e riesce a creare le giuste connessioni con la prima punta di riferimento, magari partendo dall’amato centro-destra per poi rientrare sul piede forte.
La forza di Fekir in campo aperto: assist e gol al Manchester City, nell’ultima Champions League
Non è quindi difficile immaginare che Fekir possa assicurare fin da subito quella dimensione immediata e verticale nell’ultimo terzo di campo – soprattutto sfruttando la sua rapidità in conduzione e le qualità nell’uno contro uno palla al piede – che nell’ultima stagione il solo Tello era stato in grado di garantire, seppure a intermittenza, e che potrebbe costituire un ulteriore elemento di riconoscibilità del nuovo Betis.
Il tutto all’interno di un calciomercato in cui la disponibilità più o meno ampia di calciatori appartenenti alla categoria dei trequartisti moderni prescinde dalla valutazione della loro indispensabilità all’interno di un determinato sistema: non si ragiona più in termini di unicità (di ruolo e giocatore) ma in quelli di necessità ed adeguatezza, generando il paradosso per cui oggi un trequartista può essere allo stesso tempo sacrificabile e indispensabile. Anche per questo l’approdo di Fekir in Spagna da una “porta secondaria” non deve essere più filtrato dalla lente del paradosso; piuttosto si tratta di un passaggio intermedio logico – seppure inatteso – necessario per crescere, magari in funzione di un futuro passaggio a un club come Barcellona o Real Madrid.