Pedalare oltre i limiti: che cos’è l’ultraciclismo

Intervista a Omar Di Felice, campione italiano di ultracycling.

Superare i limiti: una frase che nello sport si sente spesso, a raffigurare un processo di miglioramento. C’è chi però la prende molto alla lettera, e la mette in pratica ogni volta che sale sulla sella di una bicicletta. L’ultracycling, o per italianizzare ultraciclismo, è la specialità per eccellenza che mette alla prova un atleta che si cimenta in una delle sue competizioni di endurance. I principi sono praticamente gli stessi del ciclismo tradizionale: salire in bici, iniziare a pedalare verso una meta, concludere la propria gara. Se si volesse spiegare questa disciplina in modo semplicistico potrebbe bastare: eppure l’ultracycling può rientrare nella categoria degli sport estremi. Tutto ciò che va oltre i normali standard del ciclismo come molti lo concepiscono può essere definito come ultraciclismo. Per render meglio l’idea: quando si parla di competizioni o imprese di questo genere, ci si riferisce a gare che possono durare giorni interi, in cui un atleta deve dare tutto per arrivare fino in fondo. E il più delle volte non è detto che possa bastare.

L’ultraciclismo può essere affrontato in differenti modalità che ne regolano le categorie, che possono prevedere il gareggiare in solitaria con un’auto di supporto, in cui l’atleta viene seguito dalla propria squadra che lungo il percorso dovrà preoccuparsi di dettare i tempi delle pause, rifocillarlo e farlo riposare; ancora vi è la gara in solitaria ma senza supporto, in cui l’ultraciclista affronta il percorso totalmente da solo, senza alcun tipo di aiuto esterno e deve prendere ogni decisione senza poter contare su un team; infine l’ultima categoria è rappresentata dal gareggiare in squadra, con auto di supporto, in cui solitamente un gruppo di atleti – da 2 a 8 – si alterna alla guida della bicicletta a seconda del chilometraggio da percorrere.

La gara per eccellenza in questo senso è la RAAM, Race Across America, una coast to coast degli Stati Uniti che parte dalla costa pacifica e arriva a quella atlantica, con un percorso di oltre 5.000 km. Se invece si vogliono provare temperature più fresche, ci si può iscrivere alla Lapland Extreme Unsupported, un’impresa che prevede di percorre durante l’inverno finlandese una distanza di 1000km per raggiungere Capo Nord, con temperature che arrivano anche sotto i –35°.

Il circuito delle gare di endurance è molto diffuso anche in Italia, al punto che può vantare atleti di grande fama in tutto il mondo. Uno fra tutti è Omar Di Felice, campione italiano di ultraciclismo, con il quale abbiamo chiacchierato per cercare di capire quanta passione, sacrificio e determinazione ci vogliono per portare a termine, o pensare anche solo di intraprendere, imprese come quelle citate sopra. Per citarne alcune: Di Felice ha portato a termine la Parigi-Roma no stop, in cui con la sua bicicletta ha percorso una distanza di 1600 km partendo dalla Tour Eiffel e arrivando al Colosseo; ha partecipato alla Ultracycling Dolomitica, un’impresa che prevede lo scalare, letteralmente, quindici passi di montagna, per una distanza di 585 km con quindicimila metri totali di dislivello; per ben due volte ha pedalato attraverso la Lapponia, raggiungendo sempre la destinazione finale di Capo Nord; per ultimo, ma non meno importante, Omar detiene il record mondiale di attraversamento orizzontale dell’Italia da ovest ad est, distanza di circa 800 km, con il tempo record di 24 ore e 39 minuti – ha migliorato il precedente primato di un’ora e diciassette minuti.

«Ho sempre avuto la passione per le lunghe distanze», inizia a raccontare Omar, «durante tutta la carriera da ciclista tradizionale ero solito allungare i giri o pedalare senza precisi obiettivi. Quando ho smesso con il professionismo ho iniziato a dedicarmi esclusivamente all’esplorazione, pedalando senza pormi obiettivi o limiti sulla distanza e, passo dopo passo, sono arrivato all’ultracycling. Uno sbocco quasi naturale».

Non basta però essere appassionati o curiosi per poter poi preparare gare come quelle descritte prima: «Il 70% della preparazione investe la componente mentale e per questa parte non c’è un allenamento specifico. Dal punto di vista fisico mi alleno allo stesso modo di quando mi allenavo durante la carriera da pro, prediligendo, ovviamente, gli allenamenti di endurance puro».

Nessuna delle lunghissime gare che sono state citate prima può essere, naturalmente, priva di rallentamenti o problemi: «Capita spesso, oserei dire ogni volta, che ci siano delle problematiche. Ultracycling significa andare oltre, e in questo processo di superamento del limite esiste sempre una difficoltà nuova, qualcosa di mai affrontato. In quel momento subentra la parte razionale di noi che ci fa pensare che probabilmente non ce la faremo. Ma è proprio lì che motivazione e passione ti portano a trovare un surplus di energie mentali per affrontare e superare l’ostacolo».

Qual è il ricordo migliore di Omar Di Felice? «Ne ho molti e ognuno ha rappresentato un momento di crescita. Se devo sceglierne uno direi senz’altro la prima lunga avventura in solitaria che ho affrontato attraverso i Pirenei, verso Santiago de Compostela: ero solo io con uno zaino in spalla. Quello è stato il momento in cui ho capito che tutto questo sarebbe diventato molto più di un hobby».

Proprio riguardo il tema degli sport estremi – come l’ultracycling ma anche l’ultramaratona, l’IronMan – che tipo di volontà anima chi prende parte a prove di questo tipo? «Siamo degli atleti che hanno combinato la parte meramente sportiva di una disciplina con quella più onirica, legata al sogno, alla visione, al viaggio. Nelle discipline di ultra-endurance, spesso, si entra in una dimensione particolare dove la pura performance atletica perde di importanza rispetto alla parte più romantica legata alla passione, è una cosa difficile da spiegare se non ci sei dentro».