Succedeva sempre verso la fine del campionato, quando all’orizzonte si stagliava la finestra di mercato: Samir Handanovic, solitamente silenzioso, si presentava ai microfoni e annunciava che il suo futuro all’Inter era in bilico perché il suo desiderio era giocare la Champions League. Solo che la squadra nerazzurra puntualmente mancava la qualificazione, proprio negli anni in cui era lui a difendere la porta. Certo, non la mancava per colpe di Handanovic, ma perché la qualità generale non lo permetteva. Un ritornello che si è ripetuto per anni – dal 2012, quando il portiere sloveno è sbarcato a Milano, fino al 2016, la stagione pre-Spalletti – e ha alimentato la tensione tra l’ex Udinese e una tifoseria che, tra l’altro, nei suoi confronti partiva prevenuta: era infatti troppo diverso, Handanovic, dal suo predecessore Julio Cesar, come stile ma anche come approccio al gioco. Inoltre era troppo difficile raccogliere l’eredità del brasiliano, in tempi di post-triplete.
È utile ricordare le storie tese tra il mondo Inter e Handanovic, anche perché sembrano lontane anni luce in relazione all’importanza del portiere sloveno nell’Inter di oggi. Handanovic è reduce dalla sua miglior stagione, in nerazzurro ma anche in generale, non tanto perché ha mantenuto la porta inviolata 17 volte su 38 (così come è avvenuto nella stagione precedente), nemmeno per la quantità di parate nell’ultima Serie A (98), quanto per il peso di alcune di esse – almeno 3, ad esempio, sono state determinanti nella sfida decisiva per la Champions contro l’Empoli, al termine della quale ha poi raccolto un’ovazione sincera del pubblico di San Siro – e per l’assenza degli errori che di solito macchiavano alcune prestazioni. Vuol dire che il suo rendimento è stato costantemente elevato, sia nei periodi in cui la squadra rendeva al massimo che in quelli avversi.
All’alba dei 35 anni, Handanovic ha quindi limato il suo principale difetto: i cali di concentrazione. Dettati da improvvisi vuoti motivazionali, come se le difficoltà della squadra lo inducessero, di tanto in tanto, a prendersi una pausa. Era come se in quel modo lo sloveno volesse ricordare che le sue parate erano date troppo spesso per scontate. Invece, nell’ultima stagione è stato perennemente concentrato, e lo è stato perché era – forse per la prima volta – completamente nella parte di leader dell’Inter, ruolo che in precedenza aveva spesso schivato per via del suo carattere schivo, ma a cui non ha potuto rinunciare quando, in relazione alla nota vicenda-Icardi, lo scorso febbraio è stato indicato dalla società come nuovo capitano.
Non è un caso che la migliore annata sia coincisa con l’assunzione di una nuova e piena responsabilità nell’Inter. Di un nuovo ruolo nello spogliatoio. Aver accettato la fascia di capitano lo ha messo in buona luce agli occhi della tifoseria nerazzurra, che ha d’un tratto riconosciuto la sua leadership, apprezzandola in particolare per la diversità rispetto a quella precedente. Handanovic è diventato capitano quasi per caso, ma con il tempo, le sue frasi assestate («Negli ultimi anni all’Inter si sono persi i valori e la disciplina. I giocatori hanno anche dei doveri», ha dichiarato nei primi giorni di ritiro precampionato) e il suo atteggiamento sempre serio, si è dimostrato l’uomo di riferimento di cui l’Inter aveva bisogno, in quel momento. E anche ora.
Probabilmente l’unico errore di Handanovic in stagione, alla seconda giornata, contro il Torino. Un errore di concentrazione, come ammise lui stesso
Paradossalmente, la fascia di cui Handanovic avrebbe fatto volentieri a meno è diventata una leva verso il definitivo salto di qualità sul campo. Non per caso è migliorato quando sembrava non potesse più farlo, negli anni in cui, solitamente, un portiere vive di rendita. Oltre alla concentrazione, salta all’occhio la capacità di gioco con i piedi, guadagnata nel biennio con Spalletti: basti pensare che nell’ultima stagione ha toccato quota 80,9% di precisione negli appoggi rispetto al 67,3% del suo prima anno all’Inter. Handanovic ha cambiato volto, da classico portiere della vecchia scuola, più abile con le mani che con i piedi, e tra i pali piuttosto che fuori, è diventato uno dei migliori interpreti contemporanei del ruolo, capace di leggere il gioco, avviare le azioni con qualità e anche con creatività. Non stupisce solo per la precisione, ma anche e soprattutto per la varietà dei passaggi e la tranquillità con cui li effettua.
Handanovic ha migliorato la postura, prima di tutto. Quando passa il pallone ora riesce a mantenere la schiena perpendicolare al terreno e lo sguardo all’orizzonte, senza perdere il contatto con la sfera. È una confidenza con lo strumento tutt’altro che banale per un portiere che per quasi tutta la sua carriera non ha effettuato questo tipo di giocate. Ha inoltre imparato a temporeggiare, a non temere la pressione degli avversari, e a trovare il tempismo corretto per sganciare il primo passaggio. Se prima non coglieva il momento e spesso la squadra perdeva il possesso, ora esegue tutti i fraseggi in sicurezza, con un buon timing.
Di sinistro, un’apertura complessa e rischiosa, senza cadere nella fretta. La costruzione dell’azione delle squadre di Conte è codificata e Handanovic giocherà un ruolo fondamentale. Non è un caso che, nonostante l’età avanzata dello sloveno, l’Inter sia disinteressata al mercato dei portieri
È migliorata anche la sua visione tattica, la lettura del gioco, l’interpretazione della fase di uscita del pallone dalla difesa, senza la quale un portiere si domanda perché non dovrebbe lanciare lungo il pallone ed evitare rischi. Anche Conte valorizzerà la nuova predisposizione al gioco di Handanovic. Si è già notato nelle prime amichevoli estive dell’Inter: il portiere agisce da vertice basso di un poligono di costruzione formato esternamente dai “terzi” di difesa, e al centro da De Vrij più Brozovic, e si assume responsabilità creative proprie di un regista. Il lancio è solo l’ultima possibilità, quando tutte le linee di appoggio sono impraticabili. Per il gioco rapido e diretto di Conte, che si snoda su combinazioni preconfezionate, è fondamentale guadagnare inerzia fin dal primo passaggio, che non può essere quindi banale, né eseguito in maniera approssimativa dal punto di vista tecnico.
Mentre migliorava la costruzione con i piedi, Handanovic ha consolidato le qualità con cui si era imposto come uno dei migliori portieri del panorama internazionale, rendendole decisive in termini di punti alla squadra. Le sue uscite basse, fondamentale in cui è probabilmente uno dei migliori al mondo, non hanno perso efficacia con il passare degli anni. Vuol dire che Handanovic ha saputo conservare il proprio fisico e adattarlo allo scorrere del tempo, curando nel frattempo la pulizia del gesto tecnico, nonostante fosse già praticamente perfetto.
Handanovic ha firmato la qualificazione in Champions dell’Inter con una prestazione superba contro l’Empoli. Da sottolineare l’ultima parata, in uscita bassa verso l’attaccante avversario: il suo marchio di fabbrica
Anche tra i pali, Samir ha migliorato l’approccio, soprattutto dal punto di vista mentale: se prima tendeva a battezzare alcuni tiri come imparabili, esentandosi dal tuffarsi e trasmettendo un messaggio di rinuncia alla squadra, nell’ultima stagione ha provato a parare tutto, trasmettendo al contrario forza e tenacia, come richiede il suo nuovo ruolo. È la prova che la parte del capitano ha valorizzato Handanovic probabilmente più di quanto lui stesso poteva pensare.
Il dubbio è capire se l’ultima stagione di Handanovic sia stata irripetibile, un punto di arrivo unico, o se possa essere replicata. Di certo, le voci di mercato che puntualmente suggerivano la ricerca preventiva di un erede da parte della società sono sfumate, e nemmeno il nuovo allenatore ha messo in discussione la sua leadership umana e tecnica: in sostanza, la percezione nei confronti di Handanovic è cambiata sia all’interno del club che all’esterno. Ora tocca a lui coniugare le due richieste: mantenere le sue prestazioni al massimo livello e nel frattempo replicare la prima buona impressione concessa nei panni del capitano.