L’accordo tra Jay-Z e la Nfl non è piaciuto alla comunità afroamericana

L'accusa al rapper newyorchese è quella di essere passato dall'altro lato della barricata.

Sono passati tre anni da quando Colin Kapernick ha iniziato la sua protesta. Un battaglia per i diritti civili, in particolare contro le violenze subite dalla comunità afroamericana negli Stati Uniti, scegliendo di inginocchiarsi durante l’inno nazionale prima dell’inizio delle partite. Kap ha pagato un caro prezzo: dal termine di quella stagione è diventato free agent e non ha più trovato una singola squadra Nfl disposta a dargli un posto nel roster. Dall’estate 2016 è diventato il simbolo di una protesta diffusa in tutta la Nazione, su uno dei temi sociali più delicati per la società americana. Il gesto di Kaepernick ha avuto eco in tutto il mondo e in patria è stato declinato in molti modi, a tutti i livelli.

Circa mille giorni dopo Shawn Carter, più conosciuto come Jay-Z, ha lasciato il suo segno indelebile sulla protesta contro gli atteggiamenti della Nfl, firmando un contratto – da 15 miliardi di dollari – che assomiglia a un punto di non ritorno. La sua agenzia, Roc Nation, da oggi ha in mano il board strategico per gli intrattenimenti di musica live della lega di football americano. Insomma, la Roc Nation è il nuovo direttore artistico dell’entertainment del brand Nfl, incluso l’Halftime Show del Super Bowl, uno spettacolo che raccoglie circa un miliardo di spettatori ogni anno. In più la stessa Roc Nation dovrà lavorare per promuovere iniziative a sostegno dell’uguaglianza sociale partendo dai tre pilastri – scelti dagli stessi giocatori (in una lega formata al 70% da giocatori afroamericani) – della piattaforma Inspire Change: sviluppo in materia di economia e istruzione, miglioramento delle relazioni fra polizia e comunità afroamericana, riforma della giustizia criminale.

Colin Kaepernick (al centro) in ginocchio durante l’esecuzione dell’inno americano prima di una partita dei San Francisco 49ers, squadra in cui ha militato dal 2011 al 2016 (Thearon W. Henderson/Getty Images)

Jay-Z ha aperto un nuovo fronte nella protesta contro la Nfl. Una decisione inevitabilmente divisiva, perché è un accordo che aiuta prima di tutto la lega, nell’immediato e nel lungo periodo. Con un’immagine da riscattare, una reputazione distrutta dalla protesta iniziata da Kaepernick, la Nfl ha trovato la miglior soluzione possibile ai suoi problemi: comunque la si voglia vedere, la partnership con una delle stelle più brillanti dello star system americano porta prima di tutto consenso e visibilità. Inoltre Jay-Z in passato si è dimostrato attento a tematiche sociali delicate, proprio quelle che hanno minato la reputazione della Nfl, che da anni è accusata di essere gestita da un manipolo di uomini bianchi, ricchi, razzisti, distanti dai temi sociali più attuali. Questo, nonostante una base di pubblico e di atleti proveniente da varie – e altre – fasce della popolazione.

Ed è proprio qui che c’è il punto di rottura: Hova – slang che sta per Jehovah, in pratica il dio del rap – è passato dall’altra parte della barricata. «La Nfl ha un’incredibile potenziale, e deve essere inclusiva. Hanno detto che sono disposti a fare alcune cose, a fare dei cambiamenti, e possiamo fare qualcosa di buono», queste le parole dell’icona rap della East Coast, che però non possono nascondere un grande vuoto nell’accordo: la questione sollevata da Kaepernick non è mai nemmeno accennato. L’uomo che lui stesso aveva difeso, perfino rinunciando alla presenza all’Halftime Show dell’ultimo Super Bowl – «I said no to the Super Bowl: you need me, I don’t need you», cantava nel brano “Apeshit“, un singolo del 2018 –, non rientra in alcun modo nei termini del contratto. Mai. È un contratto che sa di tradimento, in un modo o nell’altro, per i sostenitori della protesta. Il legale di Kaepernick, Mark Geragos, lo ha definito «cold-blooded»: a sangue freddo, cinico, senz’anima.

Alla conferenza stampa di presentazione del contratto, Shawn Carter si è difeso spiegando che nella sua visione la partnership con la lega di football americano ha diversi punti di contatto con il kneeling. «Non dimentichiamo che tutta la storia di Colin è stato un veicolo per portare l’attenzione sull’ingiustizia sociale, e in questo senso è già una grande vittoria. Ma qui siamo alla fase successiva. Ci sono due step. Nel primo vai lì fuori e ti fai sentire, così la lega e le persone possono dire “Ok, avete la nostra attenzione. Ora cosa si fa?”. Adesso invece è il momento di passare all’azione».

La scenografia allestita per l’ultimo Halftime Show al Super Bowl, al Mercedes-Benz Stadium di Atlanta. (Scott Cunningham/Getty Images)

Ma la sensazione, per i suoi detrattori, è che Jay-Z la faccia troppo semplice: secondo loro, per il primo rapper della storia con un patrimonio che supera il miliardo di dollari il tutto si riduce al «just business». E chi lo accusa di cinismo ha gioco facile, inevitabilmente. Il cambiamento possibile di cui parla Shawn Carter probabilmente non è quel che gli chiede la community alle sue spalle. L’attrice e scrittrice afroamericana Kerry Coddett lo ha spiegato sul Washington Post, dicendo che «il cambiamento non arriva solo perché c’è una persona che fa qualcosa di grosso, piuttosto è sempre frutto di un lavoro collettivo, di responsabilità, di persone comuni che fanno un piccolo passo avanti tutte insieme – come votare alle elezioni locali, raccogliere fondi, patrocinare le piccole imprese che muovono l’economia locale».

Negli ultimi tempi il dibattito politico si è fatto estremo, ha ristretto il campo delle visioni moderate e costretto i suoi interlocutori a schierarsi su posizioni sempre più netteAllora il tradimento che una parte della comunità non gli perdona (una parte, perché si sono schierati al suo fianco anche personaggi importanti come DJ Khaled e Cardi B) ha un riverbero fortissimo, soprattutto perché intriso di una retorica polarizzata e polarizzante che avvolge il discorso politico e sociale negli Stati Uniti. È una questione strettamente legata al momento storico, a tutto quel che è successo negli anni Dieci negli States. Negli ultimi tempi il dibattito politico si è fatto estremo, ha ristretto il campo delle visioni moderate e costretto i suoi interlocutori a schierarsi su posizioni sempre più nette. In uno scenario del genere, che in qualche modo cancella anche le sfumature del pensiero critico, nessuno è al riparo. Anzi, personaggi pubblici con schiere di followers (e haters, ovviamente) pronti a seguirli sono chiamati a prendere una posizione. «La verità è che Jay-Z non avrebbe bisogno della Nfl per essere influente o socialmente attivo, come vuole far credere. Oprah Winfrey e LeBron James stanno facendo moltissimo anche senza il football americano. Avere un potere decisionale come lo avrà lui è importante, ma non se questo significa eclissare il movimento che si è sollevato dalla protesta di Kaepernick, specialmente per un tornaconto personale», si legge in un altro passaggio dell’articolo sul WaPo.

La citazione di due grandi star afroamericane, una dell’intrattenimento e una dello sport, non può essere casuale, perché i diritti civili sono da sempre il tema laterale con il peso specifico più importante. Recentemente, grazie anche ai nuovi metodi di comunicazione, il dibattito si è evoluto, ha preso nuove forme, ha coinvolto sempre più spesso personaggi come Oprah e LeBron. Quest’ultimo, in particolare, è la dimostrazione di come la radicalizzazione del dibattito politico abbia chiamato figure carismatiche del suo calibro a uscire dal proprio campo di appartenenza: da tempo ormai LeBron James è bigger than basketball, non più adeguato per la semplice definizione di cestista, è impossibile limitarlo a quel «shut up and dribble» con cui tentò infelicemente di zittirlo la giornalista di Fox Laura Ingraham.

Oggi lo sport, negli Stati Uniti, è diventato uno dei mezzi migliori per veicolare messaggi ingombranti (per qualcuno) e fondamentali (per qualcun altro). E la controversia legata alla protesta di Kaepernick, iniziata nell’estate 2016 e arrivata fino a Jay-Z nel 2019, ne è la dimostrazione.