La verità è che non siamo abituati, come tifosi e tantomeno come popolo, ad averci qualche soldo in tasca. Cinquant’anni fa fu Riva a toglierci dall’imbarazzo rifiutando ogni possibilità di trasferimento, anche quando i dirigenti di quel Cagliari avevano cominciato a sperarci per mettere a posto i conti, almeno quella volta che l’Avvocato mise sul piatto due miliardi di lire più sei giocatori (tra cui Gentile, Bettega e Cuccureddu), oltre all’intera produzione della Millecento, mezza Upim, due affluenti del Po e il pennacchio della Mole. «Io non valgo sei giocatori», aveva protestato Gigi, «cosa dovrei fare, tre gol a partita?». E quando le divinità si impuntano è meglio non insistere, c’è il rischio che diventino permalose (vedi il diluvio universale). Quindi Riva rimase, e il Cagliari si arrangiò.
Niccolò Barella, che divino non lo è ancora ma ha dalla sua la meravigliosa spavalderia dei vent’anni, ha scelto invece di non mettersi di traverso durante le trattative per la sua cessione: lui voleva l’Inter, l’Inter voleva lui, il Cagliari voleva 50 milioni. L’inserimento della Roma è servito tutt’al più ad allineare le tre variabili.
Cinquanta milioni di euro. Nessuno dalle nostre parti li ha mai visti e Dio solo sa che cosa ci si può fare. Mi ha ricordato quell’estate di molti anni fa, quando da Roma venne a trovarci questo zio dai baffi foltissimi e neri. Mi regalò un pezzo da centomila lire. Quante figurine, gelati, palloni, pistole ad acqua si potevano comprare? Nessuno lo seppe mai perché mia madre, austero ministro delle Finanze, valutò opportuno che mettessi da parte il tesoretto. Erano gli anni del trattato di Maastricht, c’era prima di tutto da entrare in Europa. Oggi che dall’Europa qualcuno vorrebbe scappare, e non essendo mia madre alla guida del Cagliari Calcio, i soldi dell’affare Barella sono stati reinvestiti sino all’ultimo centesimo per una campagna acquisti inimmaginabile a queste latitudini.
Gli oltre vent’anni di presidenza Cellino ci avevano abituati, diciamo così, alla discrezione, a vedere accanto alla voce “Cagliari”, nei quotidiani sportivi di mezza estate, un misero trafiletto che dava conto di modeste trattative, per lo più giocatori reduci da qualche buona annata in B, giovani promesse in esubero dalle grandi squadre, incognite totali di esotica provenienza. Un modus operandi che ha portato in Sardegna pacchi clamorosi come Pascolo e Vega, Tejeira e Larrivey, Ceppelini e Penalba. Ma anche gente come Nainggolan, il povero Astori, Matri, Muzzi, Oliveira, O’Neill, Suazo. Presi ragazzini quasi per scommessa e rivenduti come uomini fatti, con plusvalenze da manuale. Erano, però e per l’appunto, delle scommesse. E una volta venduti si scommetteva ancora, ci si arrangiava un’altra volta.
Dopo venne Tommaso Giulini e con lui la politica dell’usato sicuro. Ultratrentenni con ancora, ma non sempre, qualche cartuccia da sparare: Storari, Padoin, Borriello, Bruno Alves, Isla, Srna. Rapporti fugaci per questioni biologiche, un arrangiarsi di anno in anno. Mai come questa volta però il Cagliari ha avuto la forza, l’ambizione, di sedersi da pari a pari al tavolo dei grandi, trattare acquisti di comprovata qualità, giocatori nel fiore degli anni con alle spalle esperienza in campo internazionale.
Per preparare la stagione del centenario il club ha fatto esplodere la routine estiva dei cagliaritani, che spiaggiati sotto l’ombrellone sono soliti interrompere il nulla in cui si trovano occupati soltanto per socchiudere gli occhi e dire «Zitto, zitto, shhh. Lo senti? Sta entrando», in riferimento al maestrale che spazza via l’afa appiccicosa, indicandosi i peli del braccio che per la prima volta dopo settimane di aria immobile accennano a spettinarsi.
Quest’anno no. O comunque non solo. Quest’anno, impermeabili alla crisi di governo, sordi alle bordate del Papeete assurto nel mentre a terzo ramo del Parlamento, i cagliaritani – L’Unione Sarda spalancata sulle ginocchia e sfogliata come un manga a partire dalla fine – hanno interrotto il loro fittissimo cazzeggio per esclamare cose come «Cess!», espressione che indica sorpresa e sgomento. Ogni giorno una notizia clamorosa: Barella, la cessione più onerosa nella storia del club. Rog, l’acquisto più caro di sempre a 15 milioni di euro, mezzala di lotta e di governo preso dal Napoli senza esitazioni. Nandez, l’acquisto più caro di sempre a 20 milioni di dollari, qualche giorno più tardi, anima e cuore del Boca Juniors, protagonista di un Superclásico da infarto e mattatore della Libertadores. Per non parlare di Nainggolan, tornato a costo zero: prestito secco e scelta di vita per un top player che l’anno scorso è costato all’Inter 40 milioni. Prestito secco anche per Luca Pellegrini, il terzino del futuro, classe ’99, fresco di convocazione in Nazionale, appena passato dalla Roma alla Juve e valutato 22 milioni. E infine il doppio colpo, dopo la prima di campionato: il portiere della selezione svedese Robin Olsen e il Cholito Simeone, il secondo acquisto più oneroso di sempre: 16 milioni di euro, talento innegabile, grinta da vendere e una stagione da riscattare.
Però c’è un però, in questo momento storico in cui in tanti vorrebbero scappare dall’Europa mentre il Cagliari vorrebbe almeno avvicinarcisi: la squadra del presidente Giulini ha centrato le ultime due salvezze grazie all’asse Cragno-Barella-Pavoletti. Rimpiazzato Barella con tre centrocampisti di prima scelta il problema sembrava risolto. Ma il 7 agosto Cragno si schianta sul palo dopo aver tolto dall’incrocio un calcio di punizione di Ekici, durante un’amichevole contro il Fenerbahce. Si teme uno stop di un mese che invece diventano quattro, con in mezzo un’operazione alla spalla. E ancora il 25 agosto, prima di campionato, tocca a Pavoletti: il ginocchio sinistro fa una torsione innaturale e dalla curva provo la stessa angoscia di quando ho sognato mio cugino cadere nel vuoto da un dirupo. Ogni giorno si allungano i tempi di recupero e non lo rivedremo prima di aprile.
Per la volata verso l’Europa, dicono gli ottimisti. Per tirarci fuori dalle zone calde, temono tutti gli altri. E a giudicare dalle prime due giornate (due sconfitte in casa con Brescia e Inter) sembra che saremo l’unica squadra al mondo costretta ad arrangiarsi nonostante un mercato da 50 milioni. Anche se arrangiarsi con dei cagnacci come Nainggolan e Rog, Nandez e Simeone, diciamo che si può fare.