La Roma è l’habitat naturale di Edin Dzeko

La scelta di rimanere in giallorosso ha motivazioni sportive, ma anche emotive.

«È un po’ strano quando fai la storia e non vinci niente. Avremmo dovuto fare meglio in questi quattro anni, e vincere qualcosa». Edin Dzeko si è espresso così lo scorso maggio, pochi giorni prima di sfidare la Juventus, alla terzultima giornata di un campionato che ormai aveva ancora ben poco da dire per entrambe le squadre. Erano parole che descrivevano uno stato d’animo ben preciso: la delusione di aver chiuso un ciclo alla Roma senza nemmeno un grande successo. Una novità negativa nella carriera dell’attaccante bosniaco, che ha sempre seguito un andamento costante, ciclico, da quando è entrato nei maggiori campionati europei: quattro anni al Wolfsburg, con un apporto decisivo per la vittoria di una Bundeslifga, nel 2009; altri quattro al Manchester City, coronati da due trionfi in Premier League – il suo contributo di Dzeko fu determinante soprattutto per il primo successo, quello del 2012.

La Roma in cui approda nel 2015 è una squadra che punta su di lui per vincere lo scudetto, dopo il secondo posto della stagione precedente. Solo che le cose non vanno come dovrebbero: Dzeko segna poco, Rudi Garcia viene esonerato e sostituito da Spalletti alla fine del girone d’andata, i giallorossi chiudono terzi. Nel secondo anno invece è praticamente immarcabile e termina l’anno con 39 reti in tutte le competizioni, entrando anche tra i trenta candidati per il Pallone d’Oro (arriverà al 28esimo posto). Nella stagione seguente Dzeko è autore di 24 gol complessivi, mentre il quarto anno è negativo: il suo score si ferma a 14 gol. La squadra cala con lui: dal secondo posto di Spalletti si passa al terzo di Di Francesco – addolcito dal favoloso percorso in Champions – fino alla sesta posizione dello scorso anno. Giunto a 33 anni, c’erano i presupposti perché Dzeko cercasse una nuova sfida, del resto sono trascorsi anche i “soliti” quattro anni. E poi c’era l’Inter di Conte, una squadra nuova e rampante che era pronta a investire su di lui.

Edin Dzeko in azione contro l’Atalanta. Il centravanti bosniaco ha realizzato un gol a 25 squadre su 26 affrontate Serie A; gli manca solo il Parma (Paolo Bruno/Getty Images)

Secondo la dialettica del calciomercato, l’avventura del bosniaco alla Roma sembrava davvero essere giunta al termine. Solo che il nuovo management tecnico, guidato dal duo Petrachi-Fonseca, ha insistito perché Dzeko non fosse ceduto. Una decisione presa a dispetto delle condizioni economiche di una società tenuta sotto scacco dal fair play finanziario, costretta da anni a cessioni importanti già a giugno. Eppure la Roma ha deciso di non vendere Dzeko nonostante potesse incassare la stessa cifra a cui l’aveva acquistato quattro anni prima: un’operazione che, in termini puramente economici, sarebbe stata perfetta. Tuttavia, il direttore sportivo si è dovuto scontrare con la difficoltà di trovare un sostituto di livello uguale o superiore, mentre l’allenatore ha subito individuato in Dzeko le caratteristiche del finalizzatore giusto per la Roma che aveva in testa. A questo, con ogni probabilità, va aggiunto anche che la Roma sta attuando una politica societaria evidentemente più attenta alle pulsioni ambientali e al posto nella storia dei giocatori, così da evitare tutte le difficoltà incontrate nella gestione degli addii Totti e De Rossi. Del resto, i numeri di Dzeko lo eleggono tra i migliori attaccanti giallorossi dell’epoca moderna: la sua media è di un gol ogni 158’, è la più bassa del dopoguerra tra quelli che hanno segnato più di 40 gol nella Roma.

In virtù di tutto questo, la missione estiva del mercato giallorosso è diventata convincere Dzeko a rimanere. Si è andati oltre il rinnovo di contratto con ritocco dell’ingaggio: il bosniaco è stato messo al centro del progetto tecnico, lo spogliatoio si dice pronto a consegnargli la fascia di capitano, come lui stesso ha rivelato pochi giorni prima dell’inizio del campionato. Un aspetto, questo, che assume ancora più valore in un contesto dove la “romanità” è sempre stata una caratteristica fondamentale: Totti ha trasmesso la propria eredità a De Rossi, che a sua volta l’ha passata a Florenzi e la linea successoria ha già individuato il prossimo erede in Pellegrini. Alla fine, Dzeko deciderà di restare anche senza la fascia.

«La Roma è casa mia. Qui c’è tutto per vincere un trofeo e sono felice di poterci rimanere a lungo». Cento giorni dopo Roma-Juventus, Dzeko ha commentato così il rinnovo di contratto che lo lega ai giallorossi fino al 2022. La sua firma sul nuovo accordo lo porta ad accettare la squadra potenzialmente meno vincente e la soluzione meno remunerativa. La decisione di Edin va analizzata da tanti punti di vista, a cominciare da quello sportivo: la Roma gli ha garantito un ruolo di primo piano nel progetto tecnico quando a Milano sarebbe stato il comprimario di Lukaku, un elemento sacrificabile della coppia d’attacco nel momento in cui Conte avrebbe preferito puntare sulla rapidità di Lautaro Maríinez.

Edin Dzeko con la terza maglia della Roma, in Europa League: nelle coppe internazionali ha accumulato 39 gol in 90 presenze, di cui 24 in 36 partite con i giallorossi (Paolo Bruno/Getty Images)

Poi c’è l’aspetto tattico: sono bastati pochi allenamenti, a Paulo Fonseca, per capire come le qualità di Dzeko potessero non solo esaltare il suo gioco, ma anche creare evoluzioni interessanti. La sua capacità di giocare spalle alla porta ha portato la Roma ad adottare maggiore frequenza l’utilizzo di una palla lunga che si rivela una soluzione efficace contro squadre che pressano a tutto campo. Il gioco posizionale di Fonseca prevede il controllo dello spazio in larghezza e nella profondità, il bosniaco è l’uomo perfetto per favorire questo secondo aspetto, in due modi: creando gli spazi giusti sia tra le linee avversarie che tra gli stessi difensori, permettendo i frequenti inserimenti delle ali o del trequartista; oppure sfruttando il movimento dei compagni a ridosso dell’area di rigore per buttarsi nello spazio vuoto.

La centralità di Dzeko nella nuova Roma è assoluta: la società giallorossa ha cercato sul mercato un attaccante che si avvicinasse alle sue caratteristiche, in modo da tenere intatte le idee di gioco pure in assenza del bosniaco. È arrivato Kalinic, ma nel frattempo Fonseca ha evidenziato come Dzeko sia ritenuto imprescindibile dall’intero ambiente della Roma: «Ho parlato molto con Edin. Tutte le componenti della Roma sono state importanti nel convincerlo a restare. Poi il mio gioco è ideale per lui, e lui si è convinto», ha detto il tecnico portoghese al termine della partita di Europa League contro il Basaksehir.

L’interpretazione del ruolo di prima punta secondo Edin Dzeko: lettura dello spazio, inserimento, passaggio suggerito e poi controllo del pallone in una situazione difficile. L’attaccante bosniaco avrebbe anche potuto servire un compagno a rimorchio, ma qui preferisce fare tutto da solo.

Dzeko ha parlato di Roma come «casa mia», e non è una dichiarazione casuale. Alla città ha legato la propria dimensione domestica, i suoi due figli sono nati in Italia e la moglie ha successivamente confermato come si sia sentita sollevata nel momento in cui Edin ha deciso di rinnovare il contratto. Se si esclude poi il primo anno, dove il rendimento è stato al di sotto delle aspettative e ha generato un po’ di freddezza con la tifoseria, il bosniaco ha potuto godere dell’appoggio quasi incondizionato dell’ambiente giallorosso, una fiducia guadagnata con le proprie giocate ma anche grazie a un’evidente supremazia tecnica ed emotiva, manifestata a partire dalla sua seconda stagione in giallorosso.

Queste circostanze hanno contribuito a creare ben più di una semplice zona di comfort in cui trascorrere gli ultimi anni di competitività ai massimi livelli: Roma è l’habitat naturale di Edin Dzeko da un punto di vista umano, familiare e sportivo. A conti fatti, la scelta di non andare all’Inter si è rivelata esatta. Lo dicono i numeri di questo inizio di stagione (5 gol e 2 assist decisivi in 614 minuti di gioco), ma anche le sensazioni sul futuro: Dzeko è in perfetta efficienza fisica, ma è soprattutto il leader tecnico e politico di una squadra che ha deciso di ripartire da lui per costruire la sua nuova identità.