L’Italia di Mancini è la migliore possibile, per oggi e per domani

Gli Azzurri sono ripartiti da un'identità di gioco ambiziosa, da un gruppo di giocatori forti nel presente e proiettati nel futuro.

Alcune volte può succedere che un percorso sportivo, non importa se breve o lungo, lasci in eredità qualcosa di più del risultato finale – anche quando questo viene raggiunto. È il caso dell’Italia di Roberto Mancini, una squadra che ha dominato il girone di qualificazione a Euro 2020, che ha sbriciolato molti primati statistici, ma che ha fatto anche qualcosa di più, qualcosa di meno tangibile ma forse più significativo. Partiamo, però, proprio dai numeri e dai raffronti storici, davvero impressionanti: grazie alle undici vittorie di fila ottenute tra il 20 novembre 2018 (amichevole con gli Stati Uniti finita 1-0) e il 18 novembre 2019 (lo straripante 9-1 all’Armenia), la squadra di Mancini ha aggiornato il record detenuto dall’Italia di Vittorio Pozzo, che a cavallo tra il 1938 e il 1939 vinse nove partite ufficiali consecutive; le dieci gare del girone di qualificazione sono state tutte vinte, non era mai successo prima nella storia, così come non era mai successo che l’Italia conquistasse dieci vittorie su dieci partite in un anno solare; nel percorso di qualificazione, gli Azzurri hanno segnato 37 gol e ne hanno subiti solo quattro; i sei successi consecutivi in trasferta hanno permesso all’Italia di superare il primato precedente, colto nel 1963; grazie alla vittoria con la Grecia, un mese fa, la squadra di Mancini ha centrato la qualificazione matematica alla fase finale di un grande torneo estivo con tre giornate di anticipo rispetto alla fine del girone di qualificazione. Un altro evento mai verificatosi in passato.

Abbiamo iniziato parlando dei numeri perché è proprio da qui, dal peso dei risultati raggiunti, che parte e si materializza il discorso sull’eredità e sul valore prospettico di questo percorso: la squadra di Mancini ha conquistato l’Europeo e un posto tra le teste di serie del torneo – inoltre giocherà sempre a Roma nel girone eliminatorio –, e l’ha fatto dimostrando di essere una Nazionale viva, che ha ideato e sta portando avanti un progetto di crescita trasversale, che è concentrata sul presente, ed è pure proiettata nel futuro. Abbiamo visto e stiamo vedendo migliore Italia possibile in questo momento, per tutti gli aspetti. A cominciare dal rapporto triangolare tra gli uomini scelti da Mancini, la qualità e l’identità del gioco: fin dall’inizio della sua esperienza come commissario tecnico dell’Italia, l’ex allenatore di Lazio e Inter ha deciso di imporre un calcio moderno, ha manifestato l’ambizione di voler determinare sempre il contesto di ogni partita. Non è un discorso di approccio offensivo o difensivo, piuttosto di creare e custodire e alimentare un’identità che possa caratterizzare la squadra contro ogni avversario, e che per farlo esalti le doti dei migliori talenti a disposizione. Nell’Italia, i giocatori più determinanti sono Bonucci, Jorginho, Verratti, Bernardeschi, Insigne: tutti elementi di qualità, che sanno trattare il pallone, anzi vogliono farlo il più possibile. Inevitabile, allora, che Mancini abbia scelto uno stile di gioco orientato al possesso, che cerca sempre di alzare la frequenza e l’intensità della manovra offensiva, che determina anche qualche rischio difensivo, certo, ma che forse anche per questo genera entusiasmo e partecipazione da parte del pubblico.

Jorginho e Verratti esultano dopo uno dei gol realizzati alla Grecia nel match del 12 ottobre 2019: i due centrocampisti della Nazionale hanno segnato, rispettivamente, tre e due gol nel percorso di qualificazione agli Europei (Alberto Pizzoli/AFP via Getty Images)

C’è una perfetta aderenza tra le idee in cui crede questa nuova Italia e gli uomini che sono stati scelti per rappresentarla, e la notizia migliore – oltre ai risultati, di cui abbiamo già detto – sta nel fatto che questa sensazione di aver fatto le cose giuste, nel momento giusto, con i giocatori giusti, possa estendersi nel tempo, possa andare oltre il presente. Insieme al gruppo storico, infatti, ci sono tanti altri talenti che sembrano già pronti a interpretare questa filosofia, pure nel futuro: da settembre 2018 a oggi, Mancini ha fatto esordire, tra gli altri, Barella (22 anni), Zaniolo (20), Tonali (19), Sensi (24), Emerson Palmieri (25), Gianluca Mancini (23), Di Lorenzo (26), Castrovilli (22), Mandragora (22), Kean (19), Orsolini (22), Meret (22); ha dato fiducia a Lorenzo Pellegrini (23), ha convocato Luca Pellegrini (20), Bastoni (20), Cistana (22).

Non è solo un elenco di giovani senza un filo logico, selezionati più o meno a caso, per assecondare la moda e/o qualche buona prestazione con le squadre di club, piuttosto parliamo di giocatori convocati per essere parte del progetto: Donnarumma (20 anni), Barella e Chiesa (22 anni) sono titolari inamovibili; Lorenzo Pellegrini, Kean e Zaniolo sono stati utilizzati spesso, dall’inizio e/o come armi a partita in corso, stesso discorso anche per Emerson Palmieri e l’ultimo arrivato, Sandro Tonali. Ripetiamo ancora: non è solo un elenco di giovani senza filo logico. E questa frase ha un significato profondo anche leggendola da un’altra prospettiva: pur avendo caratteristiche diverse tra loro e rispetto ai titolari, i giovani calciatori scelti da Mancini hanno un profilo moderno, amano e praticano un calcio di qualità e intensità; anche i difensori (Di Lorenzo, Emerson Palmieri, Mancini, Cistana) giocano in maniera ambiziosa, aggrediscono in avanti, sanno e vogliono assumersi responsabilità in fase di impostazione e/o di spinta.

Il fatto che l’Italia sia stata costruita seguendo delle linee guida chiare, per identità tattica e quindi per richieste individuali ai calciatori, è stata confermata dal ct Mancini all’indomani della vittoria contro la Bosnia. Quando gli è stato chiesto se il roster per Euro 2020 fosse già definito, il tecnico ha spiegato: «Non penso a nuovi innesti perché i tempi sono stretti ed e’ difficile che ciò possa avvenire, abbiamo poche partite e la scadenza di giugno è troppo vicina per pensare a esperimenti». Questa forma di ritrosia rispetto alla possibilità di alterare la rosa è una conseguenza dell’approccio iniziale di Mancini, secondo il ct l’Italia avrebbe dovuto assumere le sembianze di un club, più che di una selezione nazionale, come per cercare di riprodurre i progetti che hanno portato la Spagna e la Germania a dominare il calcio internazionale degli anni Dieci, e che in qualche modo sono stati importati anche dalla Francia, dal Belgio, dall’Inghilterra.

Da quando è diventato ct della Nazionale, Mancini ha guidato gli Azzurri in 19 partite: lo score è di tredici, vittorie, quattro pareggi e due sconfitte (Marco Bertorello/AFP via Getty Images)

Certo, questo primato assoluto e prioritario dell’identità tattica ha anche un possibile lato oscuro, per cui alcuni giocatori che potrebbero imporsi nella seconda parte di stagione rischierebbero di restare comunque fuori dalla lista finale per l’Europeo. Allo stesso modo, l’eventuale assenza di un titolare, di uomo-cardine del progetto, potrebbe avere delle ripercussioni pesanti, dopotutto una squadra che vive di alcuni meccanismi fissi è inevitabilmente meno duttile nei cambi, è più legata alla condizione dei singoli. L’altro (piccolo) cono d’ombra su questa nuova Italia riguarda la consistenza degli avversari incrociati finora: il girone di qualificazione era abbastanza morbido, la Nazionale con il ranking più vicino agli Azzurri (che a partire dall’inizio del girone hanno recuperato tre posizioni nella classifica Fifa, dalla 18esima alla 15esima) affrontata durante il percorso verso Euro 2020 è stata la Bosnia, 35esima; la Finlandia qualificata alla fase finale si trova al 55esimo posto, la Grecia al 58esimo; Armenia e Liechtenstein sono molto più in basso, rispettivamente alla posizione numero 102 e 181.

In virtù di tutto ciò, il discorso sui risultati eccellenti diventa quasi laterale rispetto alla sensazione di crescita organica della squadra di Mancini, per quanto riguarda personalità, qualità del gioco e prospettive future. Proprio in relazione a quest’ultimo aspetto, pochi giorni fa il ct dell’Under 21 Paolo Nicolato ha lamentato lo scarso utilizzo di giocatori italiani Under 21 da parte dei club: «Ho fatto un conto, in Serie A abbiamo solo cinque giocatori titolari, e tre di questi sono con Mancini». Ecco, il tecnico degli Azzurrini ha evidenziato un problema strutturale che incide sulla sua squadra, ma allo stesso tempo ha sottolineato come il meccanismo di accesso alla Nazionale maggiore sia diventato più rapido, più inclusivo. Mancini lo ha privato di Tonali e Zaniolo in questa giro di convocazioni, ma l’ha fatto per inserirli nel gruppo, per utilizzarli, sulla scia della strategia attuata con Nicolò Barella appena un anno fa – l’attuale centrocampista dell’Inter si è preso il posto da titolare nella Nazionale maggiore pur essendo ancora eleggibile nell’Under 21, con cui ha comunque disputato gli Europei di categoria. Insomma, nel nostro Paese ci sono dei giovani d’eccellenza che non fanno più anticamera prima di approdare alla Nazionale maggiore. Una piccola rivoluzione culturale che sta avvicinando l’Italia alle altre grandi rappresentative europee, anche se ovviamente il percorso di riavvicinamento è solo all’inizio.

Andrea Belotti è stato il calciatore dell’Italia più prolifico nelle qualificazioni agli Europei 2020: quattro gol in sette partite (Stefan Wermuth/AFP via Getty Images)

Anche per questo, forse, l’Italia di oggi è simile all’Italia di domani: è come se Mancini stesse lavorando contemporaneamente su entrambe le squadre, sta dilatando nel tempo il suo progetto, bilanciando attentamente responsabilità e insegnamenti, ricerca del risultato immediato e creazione del contesto migliore perché il suo lavoro possa svilupparsi anche nel futuro. La costruzione di questo futuro, però, è un processo nato da un’altra piccola rivoluzione, una cesura netta con il passato che ha riguardato l’approccio tattico al gioco. L’ha spiegato lo stesso commissario tecnico nella conferenza stampa di presentazione di Italia-Armenia, due giorni fa: «Quando presentai il mio progetto, dissi ai giocatori: “Serve fare qualcosa di diverso, serve gestire la partita, serve recuperare palla in una zona avanzata di campo”. L’obiettivo non era vincere subito, ma intanto volevamo riportare la gente vicino alla Nazionale, costruire un gioco vincente perché poi i risultati sarebbero stati naturale conseguenza. Mi aspettavo ci volesse più tempo perché si materializzasse un’identità visibile ed efficace, invece i ragazzi mi hanno stupito, hanno colto al volo quest’occasione». Se anche il professionista che sta alla base di questa rinascita è rimasto sorpreso di quanto sia stata veloce, allora non è eccessivo pensare che la strada intrapresa sia proprio quella giusta. Non resta che percorrerla, anzi sarà divertente capire dove porterà, a quali altezze potrà arrivare.