Papu Gómez ha segnato il gol più importante della stagione dell’Atalanta, almeno finora, partendo dalla posizione a lui meno congeniale. Al 47′ della sfida contro la Dinamo Zagabria, riceveva con i piedi sulla riga destra, saltava un avversario, ne dribblava un secondo e tirava rubando il tempo al portiere avversario. Tutto a regola d’arte nonostante stesse convergendo sul piede debole e non potesse trovare la miglior coordinazione, lui che è destro naturale. In quella partita è stato decisivo, non solo per la rete del definitivo 2-0: Gasperini lo ha utilizzato come pedina per dare scacco matto al collega Bjelica, che non ha saputo trovare una contromisura, così la Dinamo ha sofferto fin dai primi minuti su quella corsia, e lì ha perso la partita. Papu Gómez ha dovuto adattarsi, ha coperto una posizione che non copriva da anni, eppure ha governato la gara: un gol, quattro passaggi chiave, 92 tocchi totali, cinque tiri, otto contrasti. Chiamasi: prestazione totale.
Non si era mai vista, negli ultimi anni, la versione del Papu trequartista di destra che attacca in verticale, senza fronzoli, sia il diretto avversario che la porta, altrimenti non si spiegherebbero i cinque tiri effettuati contro la Dinamo a fronte di una media di 2,5. Inoltre, in quella partita più che in altre, Gómez non si è limitato a innestarsi nel vertiginoso ritmo di gioco dell’Atalanta, ma lo ha imposto, dimostrando una resistenza aerobica pari se non superiore a quella dei compagni. In sostanza, Papu non solo migliora tatticamente, ma è anche perfettamente integro fisicamente, al punto da rendere oggi evidentemente infondata l’attesa di un suo calo, la sensazione che sia alle porte il momento in cui l’Atalanta debba fare a meno di lui. La stagione in corso, in cui gli anni sulle spalle del Papu sono ormai 31, quindi le possibilità di aggiungere ulteriori sfaccettature al suo gioco sembravano nulle, è invece quella della piena maturità: tattica, e psicologica, dal momento che Gómez alza il suo livello nelle partite più difficili, in particolare in quelle di Champions.
Papu Gómez rimane quindi il perno attorno al quale ruota l’attuale Atalanta di Gasperini, esattamente come ruotava la squadra dello scorso anno, nonostante siano versioni piuttosto diverse tra loro. Il motivo è racchiuso in quella giocata, in quel gol contro la Dinamo, che è una sintesi della migliore capacità del numero dieci nerazzurro: l’adattamento. Gómez si adegua alle specifiche situazioni di gioco, di partita in partita, con la stessa efficacia con cui, in questi anni, si è adattato all’evoluzione dei meccanismi dell’Atalanta. Oggi è la variabile tattica, l’uomo dai mille volti, Gasperini può scegliere di volta in volta quale versione del suo capitano mandare in campo. In passato, è stato il jolly del tecnico, l’unico elemento in rosa in grado di interpretare il ruolo mancante, quello che serviva per completare uno scacchiere tattico sempre fedele ad un unico spartito, ma che via via è diventato più complesso.
La più memorabile versione alternativa del Papu è quella da regista dello scorso anno, infatti ha toccato il vertice in carriera in quanto a presenza nella manovra, con 46 passaggi in media a partita, l’84,4% di precisione, 3,2 passaggi chiavi e ben undici assist in Serie A. Gómez non ha cambiato posizione, partiva come al solito dal lato sinistro della trequarti, ma aveva una diversa destinazione e diversi compiti: si abbassava tra i due centrocampisti e consentiva al pallone di uscire dalla difesa, lasciando a Ilicic il compito di rifinire l’azione in zona avanzata, accorciando semmai in zona seconda palla.
Toccava a Duván Zapata coprire tutto il fronte d’attacco, quindi Gasperini ha potuto sfruttare Papu al centro del campo, non solo per sgravare Freuler e De Roon da pesanti responsabilità nell’avvio dell’azione, ma anche per spingere la squadra nel suo processo evolutivo. La Dea era infatti reduce da due anni al vertice, non era più una piccola, non poteva più permettersi un gioco di rimbalzo sugli avversari, era ormai costretta a dominare le partite, ad affrontare avversari chiusi, ad avere un maggior controllo sul pallone. Gasperini è riuscito nell’impresa trascinando Gomez in una nuova dimensione, e quest’ultimo ha avuto il merito di aver assecondato le nuove richieste, anche se questi cambiamenti l’avrebbero allontanato dalla porta, e l’hanno obbligato a un lavoro più dispendioso. La cosa più bella e più importante è che Gómez ha sfruttato questa trasformazione a suo vantaggio, per continuare a migliorare.
La splendida rete realizzata contro la Dinamo Zagabria
Nei primi anni in nerazzurro, invece, soprattutto per via dell’assenza di Ilicic, era il centro di gravità tecnico in una squadra verticale. Tendeva a isolarsi per dare all’Atalanta la creatività e la qualità che mancavano negli altri elementi. Giocava da ala, come da abitudini (fu Simeone, nel San Lorenzo, a impostarlo esterno, nonostante Gómez volesse giocare al centro, da trequartista), ma anche senza cambiare posizione fu costretto a modificare i tempi del suo gioco per adeguarsi allo spartito di Gasperini: doveva rifinire le azioni senza però rallentare una manovra diretta e rapida, altrimenti avrebbe mandato fuori giri tutti i compagni, in particolare Kurtic e poi Cristante, che si inserivano al centro del campo, negli spazi aperti dai movimenti a uscire di Petagna.
Papu rimaneva nella sua comfort zone di esterno sinistro a piede invertito con compiti di regia, ma doveva reinventare un intero set di movimenti e giocate predefinite per essere la pausa in un perenne moto. Era l’uomo di ragionamento che non aveva tempo per ragionare: una discreta sfida, per lui. Gómez ha dichiarato di aver imparato «a giocare più semplice», quindi a pensare più veloce, ed è arrivato alla massima sintesi nella stagione 2016/17, quando ha firmato 16 gol e 10 assist. Dal suo adattamento è dipesa la fortuna dell’Atalanta, oltre che quella personale. Ma l’impressione era che quell’annata fosse il punto di arrivo, qualcosa di irripetibile, e che rapidamente Gómez sarebbe stato utile in termini di personalità più che tecnico-tattici.
All’inizio della passata stagione, i media italiani mettevano in luce le sue prestazioni opache: in un’Atalanta ormai settata su ritmi elevati, sembrava l’unico incapace di reggerli, la pecora nera. In quel momento, allora, Gasperini ne arretra il raggio d’azione, trovando la formula magica per una nuova impennata nel rendimento di Gómez, e, di conseguenza, di quello dell’Atalanta. Pochi giorni fa, l’allenatore della Dea ha dichiarato che Papu «meriterebbe il Pallone d’Oro». Di certo è un giudizio di parte, ma proprio perché arriva dall’interno dell’Atalanta definisce l’importanza dell’argentino nel suo stesso contesto. E non solo: Gómez viene sottovalutato per via di una carriera spesa in squadre minori, quando invece potrebbe rientrare nella lista dei migliori calciatori del continente. In ogni caso resta un modello a cui qualsiasi giovane calciatore dovrebbe ispirarsi perché studia, capisce e interpreta se stesso in funzione del gioco, e si evolve per esso, con esso. Un giocatore meno flessibile mentalmente avrebbe potuto essere condizionato dai cambiamenti del suo corpo (sempre meno esplosivo sul breve ma ancora potente e prestante sul lungo) e dal variare delle indicazioni tattiche, invece lui ne ha approfittato per apprendere nuove sfumature, per completarsi, e per aggiornare se stesso a una versione più efficace in relazione all’età che avanza.
Non è più l’ala autentica di inizio carriera, ma passando da attaccante libero, trequartista, regista avanzato, a tratti anche mezzala, è diventato un «giocatore offensivo tuttofare, difficile da collocare», come ha spiegato il suo allenatore. Uno che dove lo metti, funziona. Se c’è da eleggere un simbolo del ciclo dell’Atalanta, quello è di certo il Papu Gómez, perché è l’unico elemento di continuità tra la prima Atalanta di Gasperini e quella attuale, e lo è perché ha alzato il livello personale assieme alla quello della squadra, a prescindere dal ruolo. Anzi, ci è riuscito proprio perché ha saputo interpretare qualsiasi compito con una naturalezza fuori dal comune.