Il primo giorno della seconda settimana di quarantena ha il sapore piacevole della routine. La sveglia, il caffè con la spremuta e gli integratori contro l’influenza stagionale, non contro il Virus, naturalmente, e un vicino di balcone che ha iniziato, da qualche giorno, a salutarmi ogni volta che mi affaccio per attaccare discorso. Il lavoro da riprendere, come se fosse un normale lunedì. Le chiamate, le videochiamate, mettere una camicia aiuta, dicono, a darsi un po’ di energia in più.
Per la Roma è ancora piena estate, la fine di luglio 2019, cinque mesi inconsapevoli del futuro di virus, quarantene e treni stipati di fuorisede che scendono da nord a sud lungo la Penisola. Agosto qui è fatto di molte partite, difficili e meno difficili, per testare la forma della squadra prima dell’inizio della Serie A, previsto per il 25, in Sardegna contro il Cagliari.
Mi dedico allora alla preparazione degli allenamenti: concentro mattine e pomeriggi su fisico e tattica, fisico e movimenti offensivi senza palla, fisico e movimenti difensivi senza palla. Cancello anche i momenti di riposo. Mi avverte il mio secondo, Nuno Campos, che così aumentano i rischi per gli infortuni. È strano, penso anche, che il vice allenatore di Paulo Fonseca sia rimasto anche con me. Esisterà, nell’intelligenza artificiale, una sorta di sottile rancore digitale per aver separato due colleghi e amici, e aver costretto Nuno, che trovo gentile e discreto, ad assistere questo sconosciuto senza esperienza? Ma in realtà sono contento che ci sia Nuno, esperto nella valorizzazione di giovani promesse, disciplinato e attento alla tattica, con questa faccia che è quasi una maschera, i tratti un po’ esagerati da caratterista di cinema.
Il mercato è bloccato: se la dirigenza non mi concede altri fondi, sarò costretto a vendere. Lo faccio: a malincuore, accetto le offerte dalla Cina per Juan Jesus, per 6 milioni di Euro, e del Bologna per Bruno Peres, per 5 milioni. Con grande delusione, nelle casse per i trasferimenti non entrano undici milioni, i necessari per convincere l’Anderlecht a cedermi il diciottenne Yari Verschaeren, perfetto per poter giocare al posto di uno dei tre centrocampisti offensivi, da inserire in una rotazione che comprende già Kluivert, Zaniolo, Ünder, Perez, Mkhitaryan, e in parte gli infortunati Pastore e Perotti.
Se non riuscirò a raggiungere i 15 milioni chiesti dall’Anderlecht, cosa farò? Mi rendo conto che la fantasia, in questo momento, mi assiste meno di quanto avrei sperato. C’entra questa strana quarantena, per cui di tutto il tempo che speravamo di passare a leggere, scrivere e guardare film si riduce invece a pochi minuti incastrati tra un pasto e l’altro, con le ore che passano misteriosamente tra un applauso, un po’ di tristezza e l’ennesimo flash mob. Speravo di costruire una squadra sena confini, dal Maghreb all’America Centrale al Medio Oriente, ma le leggi che limitano l’arrivo di extracomunitari bloccano le mie velleità come se fossero frontiere chiuse. Non si poteva, nella programmazione del gioco, essere un po’ più lassisti sui regolamenti, renderlo più simile a un gioco, appunto, e non all’esperienza reale di allenare una squadra di Serie A? In fondo non mi pagano nemmeno. Individuo allora nel PSV, in Olanda, un volto perfetto: Mohammed Ihattaren, giovanissimo olandese di origine marocchina, veloce e sfrontato, perfetto per questa Roma. Ma mi chiudono subito la porta in faccia. Costa troppo. Arrangiamoci, dunque, con quello che abbiamo.
Le amichevoli filano bene, tutte, anche troppo: l’Udinese dominata completamente nonostante il 2-1 finale (Huntelaar, Cristante), il Latina maltrattato con un 5-0 (Ibañez, Dzeko, Kolarov, Piszczek, Ūnder), l’Inter rimontata da 2-0 a 2-2 (Zaniolo, Pellegrini), l’Avellino battuto infine per 3-2 (Huntelaar, Huntelaar, Kolarov). Il resoconto del precampionato è: sette partite, cinque vittorie, due pareggi; venticinque gol fatti, sei subiti. Kluivert, Kolarov e Pellegrini i migliori. Nuno Campos mi dice che i giocatori stanno trovando un buon affiatamento, che nello spogliatoio si respira una bella atmosfera. Abbracciatevi finché si può, vorrei rispondere.
La conferenza stampa prima dell’esordio in campionato è noiosa come sono sempre le conferenze stampa virtuali. Da ragazzino mi capitava di sognare di allenare una squadra vera, e non sognavo soltanto vittorie a San Siro, trofei, corse sotto la curva: immaginavo le conferenze stampa, le domande sceme e le risposte che avrei potuto dare, intelligenti oppure stronze, per scuotere il mondo così stolido e prudente del giornalismo sportivo. Un tizio mi chiede se sono sicuro di scegliere Smalling al centro della difesa, visto che è apparso nettamente fuori forma. Forse allora ne sai più tu di me, gli rispondo. Questa sì che era una bella opzione.
Al terzo minuto tutti i fantasmi che tenevo chiusi nel cassetto escono all’improvviso con un cambio di gioco di João Pedro che trova l’inserimento di Marko Rog al centro, completamente solo. Ma tira contro Pau Lopez, e per il momento tutto è salvo. Ma peggiorerà, ne sono sicuro. All’undicesimo, ancora Rog, ancora palla al piede, ancora un tiro in porta. Non potrei mai fare l’allenatore davvero, mi dico. Non potrei gestire la pressione di una partita fuori dai binari del mio controllo. È come quando ti capita di vedere una cosa divertente, e ridi a crepapelle per cinque minuti filati, e allora la mostri a un amico, per condividere quell’umorismo senza freni, e ti accorgi che non fa affatto ridere come pensavi: dopo un precampionato straordinario, i miei giovani diavoli che volevo pieni di talento e velocità, tecnica e imprevedibilità, crudeltà e spensieratezza, mi sembrano poco più che confusi adolescenti spaventati.
Ma sono un ingrato catastrofista, perché al minuto 29 finalmente si vede Zaniolo, con un tiro da fuori, e un minuto dopo Kolarov crossa dalla sinistra, il pallone viene messo fuori e raccolto da Pellegrini, che si sposta sul vertice dell’area destra, crossa sul secondo palo dove c’è Justin Kluivert che di testa segna il primo gol in campionato. Sei minuti dopo la palla è ancora nei piedi di Kluivert, il più sorprendente, veloce, straripante, esaltante giocatore della squadra in queste prime sette partite. Punta due avversari, li porta sul fondo, crossa sul secondo palo dove Cengiz Ünder in spaccata fa il 2-0. Al minuto 43 ancora Kluivert tira a girare da fuori area, e colpisce la traversa. Il resto della partita è una buona amministrazione. Alla fine sono 23 i tiri totali della Roma, un possesso scarso, 41 per cento, sintomo di una squadra veloce, una manovra fatta di lampi, una guerra lampo condotta da insaziabili ragazzini.
Sette giorni dopo, contro il Genoa in casa, dico alla squadra di giocare da subito in modo offensivo. Inserisco Carles Perez al posto di Ünder per non scontentare nessuno e perché sento che la partita può essere facile. E poi ho un debole per Perez, catalano del nord, con quel nome così bello, più di Carlo, di Charles o di Karl, bello come tutti i nomi catalani, come la lingua catalana che è un bellissimo ibrido tra spagnolo e italiano, ma in realtà ho un debole per Carles Perez perché rivedo in lui un altro giovane canterano passato da Roma di cui mi ero invaghito anni fa, Peter Pan con la faccia triste diventato poi piccolo fiammiferaio, Bojan Krkic. Al minuto 17 si apre la partita con il gol che non mi aspettavo: Dzeko controlla un pallone in area spalle alla porta, lo appoggia a destra a Piszczek che supera il vertice dell’area destra, tira fortissimo sul primo palo, ed è 1-0, sorprendente, facile, perfetto. Dieci minuti dopo un’azione quasi uguale: Veretout per Piszczek, il pallone questa volta è alto, lui non lo stoppa, non lo controlla per superare la linea ed entrare in area, ma lo calcia con il destro al volo. Due a zero. Il tempo finisce con 20 tiri a zero. Kluivert, però, si è fatto male, e devo inserire Mkhitaryan.
La quarantena durerà un altro mese, se tutto va bene, e devo resistere alla tentazione della noia, di skippare tutto il secondo tempo in cui c’è subito un’azione di quelle che viste dal vivo farebbero ridere di gioia, e non solo esultare, che passa da Zaniolo, Piszczek, un cross sul secondo palo, e Mkhitaryan in gol, tre a zero. C’è tempo, quasi al novantesimo, per il 4-0 di Kolarov, e tra poco le pentole che batteranno per l’appuntamento delle sei. Chissà se ci stancheremo, se si stancheranno. Oggi non sono uscito a fare nessuna spesa, nessun giro dell’isolato, nemmeno a ritirare la posta. Le stories di Instagram da Milano fanno vedere mandorli in fiore, vorrei riuscire a vederli prima che si ricoprano di foglie perdendo tutti i petali. Carles Perez in una story sul suo Instagram si allena sulla cyclette ascoltando gli Aventura, quelli di “Obsesión”, fortunatamente non sono las cinco de la mañana e io non ho dormido nada, anzi in quarantena si va a letto presto, almeno quello si riesce a fare, almeno per il momento.
E01: Il progetto – Un inizio in quarantena