Alcuni momenti di importanza fondamentale, storica o iconografica, nel calcio ma non soltanto, accadono per questioni di centimetri. A guardare ogni gol o quasi, ogni momento decisivo di una partita, e a soffermarsi su ogni frame del replay, possiamo immaginare le migliaia di cose che, anche se di pochissimo, potevano andare storte e non l’hanno fatto. Vale per tutto, certo, e ogni giorno della vita: è la questione della farfalla e dell’uragano, sono le infinite catene di rapporti di causa ed effetto che condizionano ogni accadimento nel mondo. Il calcio, tuttavia, ha il potere di mostrarlo bene. Riguardando il gol di Lionel Messi al Bernabéu contro il Real Madrid, Clásico del 23 aprile 2017, colpisce ad esempio quel movimento, ignorato da chiunque, che Luis Suárez fa per tagliare fuori dalla traiettoria del tiro del suo capitano il difensore Nacho Fernández. Senza quel movimento, forse il pallone di Messi non sarebbe passato.
Penso a questo mentre riguardo il gol bello ma non straordinario di Messi, il 3-2 all’ultima azione, all’ultimo secondo disponibile di un Clásico che il Barcellona di Luis Enrique vince così, in trasferta, per agganciare il Madrid in cima alla classifica. Potevano essere ancora più epiche, le cose: se il Barça avesse vinto il campionato, ad esempio, e invece la Liga verrà vinta proprio dal Real, e anche la Champions verrà vinta dal Real, la seconda in due anni, la terza in quattro. Una cosa difficile da sopportare se sei la bandiera del Barcellona, probabilmente, e altrettanto probabilmente tutto questo c’entra con il vero evento di quella partita, cioè l’esultanza di Messi.
Dopo il gol, Messi corre in uno dei quattro angoli del Bernabéu, si toglie la maglia, e la mostra. I volti di quello spicchio di stadio, si vede chiaramente nelle foto da bordocampo, sono attoniti. Alcuni fanno foto, ma quasi tutti sono zitti a guardare il gesto. Messi mostra il lato posteriore, quello con il suo cognome e il suo numero, non quella con lo stemma del Barcellona. Il Barcellona, in questo gesto, non c’entra. Il Real Madrid sì, anche se non è, comunque, il destinatario principale. Chi è il destinatario, allora? Quello che Mourinho descrisse come «il rumore dei nemici», probabilmente: quel rumore per cui erano tre anni che Messi non segnava in un Clásico, che aveva preso a nascondersi dai match più importanti. Poi, naturalmente, c’entra il Pallone d’Oro di Ronaldo, le Champions vinte da Ancelotti, da Zidane, il dominio europeo del Real. Oppure, un’altra risposta, un po’ più a effetto ma non per questo da scartare: il destinatario è la storia.
Messi afferma, con quella maglia mostrata, un concetto non così dissimile da quello di Cristiano Ronaldo quando gli venne per la prima volta la frase «eu estou aqui», esultanza poi diventata, grazie all’intuito di marketing che circonda ogni azione del portoghese, claim utilizzato anche dalla Juventus nella presentazione del giocatore. È la rabbia di atleti paranormali che non riescono ad accettare del tutto la presenza dell’altro, inconveniente incredibile senza il quale, naturalmente, sarebbero celebrati ogni giorno come i più grandi della loro epoca se non di sempre.
Il gesto di Messi, però, si stacca dall’io sono qui di Cristiano, perché non mette sul palcoscenico se stesso, ma la sua maglia. Come se, mostrando quel manufatto, la 10 blaugrana con le cinque lettere stampate in giallo, Lionel stesse affermando non la sua esistenza umana, ma quella già in forma di memoria: Messi, il 23 aprile 2017, ha fatto quello che solitamente gli eroi lasciano fare a chi li celebra e canta: ha creato un oggetto di culto, del proprio culto.
Il fatto che l’abbia fatto un calciatore, atleta e personaggio pubblico da sempre schivo e silenzioso è ancora più particolare. Se un gesto simile fosse appartenuto a un Mourinho, per dire, sarebbe stato naturalmente meno significativo, si sarebbe perso nel lunghissimo bestiario di provocazioni dell’allenatore. Invece Messi non la intende come sfida, ma come simbolo. Una pietra sopra a tutte le discussioni: questa maglia e questo nome sono tutto quello che conta. Ed è anche con gesti come questo che la figura di Messi si distanzia di quei pochi centimetri che bastano a renderlo diverso e impossibile da equiparare al deuterantagonista Ronaldo: Messi è meno umano di Cr7, forse meno “completo”, ma più mistico e trascendente. Quella maglia mostrata come la pelle di San Bartolomeo nella Cappella Sistina di Michelangelo, come una sindone svelata al pubblico ammutolito, ne è la dimostrazione.