Prosegue l’approfondimento sulle maglie da calcio del passato, ricordate per essere legate a un episodio, a una partita, a un giocatore o semplicemente per un design indimenticabile. Il primo appuntamento è qui.
Nei primi trent’anni di Bundesliga, tra le squadre vincitrici non c’era nessuna squadra della Ruhr. Il Borussia Dortmund aveva segnato il gol inaugurale del campionato tedesco dopo la riforma, nel 1963/64, ma i successivi decenni furono talmente avari di soddisfazione che quella rete – firmata da Timo Konietzka – rimase l’unico motivo per cui valeva la pena ricordare il Bvb. Nel 1965/66 i gialloneri conquistarono il primo grande trofeo, la Coppa delle Coppe, ma già negli anni successivi la loro importanza nel panorama calcistico tedesco e internazionale svanì, fino alla retrocessione nel 1972. Anche quando tornarono in Bundesliga nel 1976, il Dortmund si abituò a essere una squadra anonima, che finì per vivacchiare nelle parti meno nobili della classifica. A fine anni Ottanta, la media spettatori alle partite del Borussia era di 22mila, la metà rispetto a soli dieci anni prima.
Poi, nel 1991, sulla panchina del Borussia Dortmund arrivò Ottmar Hitzfeld. Ai tifosi quel nome diceva poco, anzi assolutamente nulla: si era imposto come un bravo tecnico alla guida del Grasshoppers, ma il campionato svizzero rimaneva pur sempre qualcosa di irrilevante. E invece a Dortmund cambiò tutto, anche perché Hitzfeld coinvolse nel suo progetto tecnico giocatori che di lì a poco avrebbero fatto la storia del Borussia: Chapuisat, Kohler, Möller, Sammer, Reuter. La prima stagione di Hitzfeld si concluse con un secondo posto, con lo Stoccarda che la spuntò per la miglior differenza reti. La vittoria della Bundesliga arrivò nel 1994/95, e fu bissata nell’anno successivo. Nel 1993 i gialloneri arrivarono in finale di Coppa Uefa, dove vennero battuti dalla Juventus. Si presero la rivincita quattro anni dopo quando vinsero, proprio contro i bianconeri, la prima e al momento unica Champions League della loro storia.
Hitzfeld aveva messo il Borussia Dortmund sulla mappa del calcio internazionale: negli anni in cui il tecnico stava costruendo una credibilità attorno al progetto del suo club, Nike stava facendo lo stesso nel mondo del calcio. Già negli anni Ottanta, la presenza dello swoosh era nota agli appassionati di calcio, dovuta in gran parte alle scarpe che alcuni tra i più importanti giocatori indossavano – per esempio, ai Mondiali del 1994 otto giocatori del Brasile avevano ai piedi calzature Nike. Ma non bastava: bisognava aggredire il mercato della sponsorizzazione dei club. Negli anni Ottanta il primo accordo con un club europeo fu portato a termine con il Sunderland, che però era tutt’altro che una squadra con una visibilità fuori scala. Visto che i club più importanti avevano contratti di ferro con realtà presenti da più tempo – e che nessuna delle due parti si sognava di stracciare – Nike decise di cominciare la sua scalata sposando il progetto di squadre emergenti, con un potenziale importante: nella prima metà degli anni Novanta lo swoosh vestì Psv, Arsenal, Psg, Lione e, appunto, Borussia Dortmund.
Il contratto di sponsorizzazione con i gialloneri arrivò un anno dopo quello siglato con il Psg, e Nike mise subito in chiaro un concetto: voleva cambiarne la storia, esattamente come Hitzfeld stava provando a fare sotto l’aspetto tecnico. Nel 1990 Nike ereditò il Dortmund da adidas, e mutò profondamente l’estetica del club. Con adidas si erano visti dei design molto puliti, con un colletto nero e le three stripes che incorniciavano la maglia – divise anni Ottanta, per così dire. Nike cambiò tutto, proponendo design mai visti, accelerando quel processo di creatività dei kit da calcio che negli anni Novanta raggiunse il suo apice. E poi propose un’innovazione che, a vederla oggi, ci fa pensare alla faccia dei tifosi del Bvb quando la videro per la prima volta: non più il placido giallo zinco che il Dortmund aveva vestito sin dagli anni più remoti, ma un giallo fluo che dalle parti di un campo da calcio non si era mai visto. Una dichiarazione forte, più che un semplice cambio di tonalità: lo stile del calcio è cambiato. Quel colore – il Volt Yellow – sarebbe rimasto sulle maglie del Dortmund fino al 1998, accompagnando i trionfi e accrescendo la popolarità della squadra.
Il Borussia vinse la Champions nel 1997, e indubbiamente la maglia di quell’anno conobbe un successo mondiale: giallo luminoso, ovviamente, colletto nero, maniche a righe giallonere e due bande nere lungo i lati della divisa. Era anche l’ultimo anno di sponsorizzazione di Continentale, presente sulle maglie del Dortmund fin dal 1986/87. Quella maglia, nella versione away (con il giallo e il nero che si “scambiano”), è finita anche nella quarta stagione di Better Call Saul, quando Kai, uno degli operai tedeschi, la indossa in una discoteca. Quel design era arrivato dopo anni di sperimentazione da parte di Nike, che aveva trovato nel designer Drake Ramberg un autentico visionario. «Crescendo a Portland negli anni Ottanta, l’unica finestra che avevamo sul soccer era il calcio tedesco, il sabato mattina. Ma non avevo nemmeno idea della differenza che passasse tra Bayern Monaco e Borussia Dortmund. Come designer sei quasi un antropologo, devi muoverti in profondità. Capire cosa sono, cosa rappresentano questi club. E non c’era Internet. Così mi informavo su libri, riviste. Una volta in Germania ho visto lo stadio, i trofei, gli spogliatoi, ho parlato con i giocatori, con i dirigenti».
Ramberg ha raccontato lo spirito di quegli anni nel dipartimento creativo di Nike: «Non c’erano regole, eravamo solo io e la mia squadra. Il nostro compito era essere creativi, dare vita alla legacy di questi club. Essere fedeli al loro spirito. Era il sogno di un graphic designer, perché potevi semplicemente divertirti, senza nessun tipo di restrizione». Il primo lavoro per il Dortmund, nel 1990, fu già esplicativo degli orizzonti creativi di Ramberg e del suo team. Il cambiamento cromatico, con quel giallo fluo, il nero sulle spalle che con un disegno a due cuspidi si faceva spazio sul petto, un colletto bianco. La maglia away aveva lo stesso design, ma con un ardito accostamento tra viola, giallo e bianco. Nella Ruhr, e non solo, non avevano mai visto qualcosa del genere.
Probabilmente, però, la maglia più celebre di quel decennio di sperimentazione grafica (e di successo) fu la divisa del 1994/95. Fu l’anno della prima Bundesliga vinta dai gialloneri, e Chapuisat segnò 12 volte in 20 partite. Il Borussia scendeva in campo con delle ali sulle braccia, per davvero. «La grafica delle ali», ha detto Ramberg, «era ispirata allo stemma della città di Dortmund, che aveva un’aquila. Negli anni precedenti mi divertivo con la grafica, il concetto di movimento, le sfocature. Ma quell’anno decisi di cambiare rotta, e disegnare forme geometriche pulite. Ogni volta che la vedo… wow, fantastica». Lo stesso design fu portato l’anno successivo sulle maglie della Nigeria: una facile associazione, visto che i giocatori nigeriani sono noti come Super Eagles.
In quell’anno Nike inventò un altro elemento immaginifico: un colletto molto pronunciato, le cui strisce corrono in profondità e incastonano lo swoosh. Una creazione presente sulle maglie del Borussia Dortmund e del Psg di quella stagione, che in qualche modo divenne un biglietto da visita della straordinaria inventiva del team americano in quegli anni: con il “revival” delle terze maglie Nike di quest’anno, ispirate proprio ai design degli anni Novanta, quel colletto è stato riproposto per il third kit del Chelsea.
Quello tra Nike e Borussia Dortmund fu un sodalizio vincente, che durò fino al 2000 (e poi sarebbe stato riallacciato dal 2004 al 2009). All’inizio di quella collaborazione, nessuna delle due parti avrebbe potuto immaginare cosa sarebbe successo negli anni a venire. Fu un successo che andò di pari passo, su due strade parallele: il Dortmund che si imponeva tra le squadre preminenti d’Europa, e Nike che beneficiava di quella vetrina per cambiare il panorama estetico delle maglie da calcio, espandendo il suo marchio. L’Arsenal e il Psv furono due ottime mosse da parte del brand americano, ma senza il Dortmund, probabilmente, la storia non sarebbe stata la stessa.