Ibrahimovic all’Ajax era un mostro senza controllo

Un talento enorme, ancora da sgrezzare, che non si era mai visto in un attaccante con una fisicità così accentuata.

Il gol contro l’Italia agli Europei 2004 è la prima grande manifestazione del talento di Ibrahimovic con la Nazionale svedese. Seconda partita del girone, risultato sull’1-0 per gli Azzurri a cinque minuti dalla fine. Il pallone salta più volte nell’area italiana prima di alzarsi in una lenta parabola non distante dalla porta; rimbalza a terra e Buffon sembra poterlo bloccare, ma Ibra gli taglia la strada; lo anticipa e calcia in salto con una torsione innaturale del ginocchio e di tutta la gamba: la traiettoria è l’unica possibile per il gol, supera un goffo tentativo di salvataggio di Vieri appostato sulla linea di porta e si infila in rete.

Un gesto talmente singolare da non essere riproducibile se non da quel giocatore, in quello specifico momento della sua carriera. A Euro 2004 Ibrahimovic non ha ancora 23 anni e due mesi dopo avrebbe chiuso la prima tappa fondamentale del suo percorso di formazione: un triennio all’Ajax in cui ha consolidato le qualità che aveva già mostrato ai tempi del Malmö.

Gli olandesi lo comprano nel 2001 per una cifra vicina ai 10 milioni di euro, rendendolo il giocatore più costoso della storia del club. In quella sua prima versione, Ibrahimovic è una seconda punta atipica, con interpretazioni del gioco tutte sue, per questo difficile da comprendere – per l’allenatore, ma forse anche per i compagni. Inizia a giocare titolare con continuità solo al secondo anno, dopo una prima stagione difficile, grazie al lavoro di Ronald Koeman (subentrato a Co Adriaanse a dicembre 2001) che ne intuisce le potenzialità. «Con il pallone fra i piedi è straordinario, ma è ancora giovane e va lasciato maturare», dice il tecnico olandese, oggi alla guida della Nazionale.

Koeman capisce di avere tra le mani un talento enorme ma ancora tutto da modellare. Ibra è già un giocatore unico, un mix di potenza, elasticità, velocità, tecnica, su un corpo lunghissimo, con la coordinazione di una cintura nera di taekwondo. In epoca moderna ancora non si è visto un giocatore così alto e con quella proprietà tecnica, capace di sostenere i ritmi di un calcio che stava diventando più veloce e più cerebrale allo stesso tempo: sembra venuto dal futuro, un futuro nemmeno troppo vicino, nel suo repertorio ci sono colpi e giocate meravigliose, poca efficienza, poca concretezza, allo stesso tempo. Una partita del 2002/03, la sua prima grande stagione da professionista, spiega come a 20 anni Ibrahimovic sia un enigma irrisolvibile per gli avversari, nonostante lui stesso non sia ancora in grado di capitalizzare al meglio le sue qualità. È il De Topper, il classico d’Olanda contro i rivali storici del Psv Eindhoven.

Definizione di “dominio”, in un breve video (via)

Nella prima parte della clip in alto, Ibra controlla perfettamente con il petto un passaggio dalla rimessa laterale nonostante la marcatura, poi alza un campanile senza troppa logica: dà la possibilità a un difensore di mettergli il corpo addosso. Non è un problema: la mette giù di nuovo con un tocco delicato, l’avversario cade come colpito da un’onda d’urto e tutta la difesa scappa all’indietro vedendo che una forza inarrestabile corre verso la porta, pronta a travolgere qualsiasi cosa come farebbe una valanga. Poi però arriva al limite dell’area, nel dubbio se passare, tirare o continuare la corsa, viene fermato. Nella clip successiva Ibra si muove in area di rigore, tra due difensori, come farebbe un centravanti vero: riesce a uscirne vincitore grazie alla sua rapidità, e allo stesso tempo tiene a distanza gli avversari con una forza da lottatore.

Negli highlights allargati all’intera partita, si vede come Ibrahimovic offra una prestazione insolitamente completa per un attaccante di soli 21 anni. A volte gioca sulla destra; altra volte parte dalla sinistra per accentrarsi come un’ala; sta in area come un numero novr; scambia nello stretto e lancia i compagni in profondità come un trequartista. Poi però ci sono giocate indolenti che stonano con il suo talento: su un raddoppio perde un pallone banale per un passaggio pigro, si porta il pallone fuori dal campo per un dribbling di cui potrebbe fare a meno, e quando ha diverse opzioni fa la scelta sbagliata. È un giocatore poco concreto, il talento è quello di una potenza incontrollata e incontrollabile, anche oltre i suoi stessi interessi. «Mi piace molto dribblare, a volte lo faccio invece di passare il pallone, capisco che un compagno si possa arrabbiare ma non mi importa», dice in un’intervista. Quando poi trova la giocata giusta è impossibile difendere contro di lui, semplicemente.

Con la maglia dell’Ajax, Ibrahimovic ha accumulato 110 presenze in competizioni ufficiali con 48 gol realizzati, di cui nove nelle coppe europee (STR/AFP via Getty Images)

Nel 2007 Giorgio Rondelli sul Corriere della Sera scriverà di lui: «Forte, veloce, resistente e cattivo. È il calciatore del terzo millennio». Cioè uno che secondo necessità sa usare «il fioretto, oppure la sciabola sfruttando un fisico da tre quarti-ala del rugby. Con le sue caratteristiche atletiche, Ibrahimovic deve essere considerato e quindi allenato, come se fosse un decathleta». Poche settimane dopo la partita con il Psv, il 23 aprile 2003, sfiora il passaggio alle semifinali di Champions League, ma sul suo cammino c’è il Milan che alzerà il trofeo: solo un gol al novantesimo di Tomasson, rubato a Inzaghi con un tocco sulla linea di porta, elimina l’Ajax in un 3-2 a San Siro dopo lo 0-0 dell’andata. Ma è già chiaro che può andare oltre l’Ajax: Ibrahimovic chiude la sua prima grande stagione con 18 gol, di cui cinque in Champions (preliminari inclusi).

La stagione 2003/04 sarà l’ultima in Olanda. È chiaramente fuori scala per l’Eredivisie e il suo talento si manifesta ancora in forme che non hanno molti precedenti. Come il gol qui in basso, contro l’AZ Alkmaar, l’ennesimo che avrebbe potuto segnare solo lui. La palla gira verso la porta, Ibra è già andato oltre la traiettoria e il suo marcatore lo costringe ad assecondare la corsa tirandolo vistosamente per un braccio come in una proiezione da judoka. Ibra salta, si coordina in area e calcia colpendo con la punta. Se si ferma il video un attimo prima del salto si può notare come in quel momento la forza che sta mettendo il difensore non ha nessun effetto: il difensore potrebbe essere digitalmente cancellato dalla scena, non cambierebbe nulla, Ibra non lo sente

Cose a cui Ibrahimovic ci avrebbe più o meno abituato, con gli anni

In estate arriva il gol all’Italia a Euro 2004, uno spartiacque nella sua carriera. A quel punto tutti si accorgono di Ibrahimovic. Quando ad agosto ripartono i campionati alcune delle migliori squadre d’Europa sono pronte ad acquistarlo. Lui inizia comunque la stagione con la maglia dell’Ajax. Allora decide di dare un ultimo saggio delle sue capacità segnando il gol più assurdo di tutta la sua avventura olandese, come per lasciare la bellezza negli occhi dei tifosi che lo stanno guardando per l’ultima volta.

Un’azione che da sola racchiude l’intero spettro delle qualità che un attaccante può avere, ma che non dovrebbe poter controllare. Non tutte insieme, non a quel livello. Prima di iniziare la sua corsa, Ibrahimovic resiste alla carica di un avversario che gli salta addosso, lui non si scompone. È quasi imbarazzante per il difensore che si trova in aria mentre Ibra ha già messo la fronte verso la porta e sta puntando i suoi compagni. Da lì è un compendio di potenza, velocità, tecnica e inganno, in piccoli movimenti concatenati: la figura di Ibrahimovic è una delle forme uniche della continuità dello spazio di Boccioni mentre attraversa la realtà immobile dei difensori. Un’opera veloce e futurista, fino al tiro di sinistro: stilisticamente la parte più brutta, ma a quel punto insignificante, un gesto puramente utilitaristico in un’azione eterea.

Niente male come messaggio d’addio

È il 22 agosto, l’ultima perla che regala all’Ajax. Meno di dieci giorni dopo diventa un giocatore della Juventus, dove inizia una nuova tappa della sua carriera e del suo percorso di sviluppo: una transizione in cui lentamente sostituirà alcuni frammenti della sua supremazia atletica e dell’imprevedibilità nel dribbling con inedite doti da regista e da centravanti. In un articolo per Eurosport che ripercorre le tappe della carriera di Ibra, il periodo alla Juventus viene raccontato partendo da una citazione di Arancia Meccanica. «Sto togliendo l’Ajax che è in te». Sarebbero parole di Fabio Capello, allenatore della Juventus, nelle vesti dello scienziato che sottopone il suo paziente alla cura Ludovico: il pragmatismo del tecnico friulano è una terapia d’urto per un giocatore ancora superficiale e fumoso. Ma nell’infinita ricerca della perfezione e della vittoria – che sarà l’unica vera costante della sua carriera – Ibrahimovic è insospettabilmente ricettivo ai suggerimenti.

Dopo due anni a Torino, infatti, è già un giocatore diverso. Negli anni all’Inter Ibrahimovic è meno anarchico, forse meno imprevedibile: l’elasticità non è quella del teenager arrivato all’Ajax nel 2001, e il gol che ha contribuito a eliminare l’Italia ai gironi non gli appartiene più, se non per alcuni sporadici momenti. Con il tempo, il suo gioco diventerà ancora più efficace, si evolverà  fino a renderlo un attaccante totale, capace di sintetizzare in una sola figura il lavoro di una prima e una seconda punta, dettando una tendenza – che privilegia i sistemi con un solo attaccante centrale – destinata ad affermarsi fino ai giorni nostri. E anche oltre. Ma tutto è iniziato ad Amsterdam, quando era un mostro di talento senza controllo.