Quando Juan Román Riquelme mise simbolicamente Carlos Tévez al centro del suo villaggio, ovvero del Boca Juniors di cui sarebbe diventato vice-presidente, lo fece con delle parole precise. «Nel mio barrio si gioca a calcio, e anche nel suo». Il “suo” è Ejercito de los Andes – o più comunemente Fuerte Apache – e Román non l’ha usato come riferimento geografico, ma come sineddoche di tutti i quartieri umili argentini dove i ragazzi crescono giocando nel potrero, gli spazi di terra battuta che in Argentina si trovano praticamente ovunque.
Thiago Almada è di Fuerte Apache, in senso letterale e figurato. Dopo una partita costellata di dribbling e grandi giocate contro il Lanús, un giornalista chiese al suo compagno di squadra Gastón Gimenez di descriverlo in una sola parola: «Potrero», rispose. In un suo saggio, l’antropologo argentino Eduardo Archetti ha sostenuto che il potrero e il ragazzo che vi gioca sono una sorta di prolungamento della pampa e del gaucho, nell’identità popolare della nazione rioplatense: quando emerge un giocatore così virtuoso tecnicamente e libero, l’Argentina non rimane mai indifferente, perché nulla è calcisticamente argentino quanto quello stile.
Negli ultimi due anni Gabriel Heinze ha costruito un laboratorio di calcio in grado di cambiare gli orizzonti al Vélez, e di portarlo a lottare per il titolo per lunga parte del campionato. Thiago Almada è stato uno dei protagonisti di questo ciclo; proprio l’ex difensore di Real Madrid e Roma lo fece debuttare a diciassette anni contro il Newell’s, e su di lui disse una frase che riassume molto bene il modo in cui si è ritrovato a essere la stella del Vélez: «L’unica cosa che mi fa pensare è che ha solo diciassette anni… (…) Poi dico: come posso lasciarlo fuori se è così forte?».
Thiago Almada è un giocatore estremamente sfaccettato, con un’infinità di soluzioni di gioco a disposizione e un solido spirito di adattamento. Nel suo indimenticabile esordio da titolare contro il Defensa y Justicia, ad esempio, giocò da falso nove e dimostrò che oltre a servirsi del suo magnetico dribbling nello stretto sapeva abbassarsi, spaziare, farsi trovare disponibile a ricevere, cucire il gioco con precisione e fare gol (segnò una doppietta). «Quando aveva 15 anni lo schieravo da enganche, dietro due attaccanti, mentre l’anno seguente l’ho spostato seconda punta e ha giocato una stagione fenomenale. Segnò 23 gol e vincemmo il campionato della Categoria 2001», racconta a Undici Héctor Manfredi, che allena nelle inferiores del Vélez da vent’anni e lo ritiene uno dei migliori talenti mai visti.
Thiago è un trequartista e Heinze lo ha schierato molte volte in quella posizione, ma per ragioni tattiche – il suo modulo preferito è il 4-3-3 – la sua esplosione vera e propria si è consumata prevalentemente giocando sugli esterni. Quella tendenza ancora pura a cercare di continuo l’uno contro uno, a trascinare il difensore in un duello in cui è costretto a reagire alle sue piccole e ossessive sterzate, a contenere il primo passo bruciante, a leggere le rapide rotazioni del suo corpo, è forse l’aspetto del suo gioco che Heinze ha cercato di sfruttare maggiormente: nel campionato appena concluso, quello della consacrazione, ha giocato dodici delle sue ventitré partite entrando a gara in corso probabilmente per creare un mismatch di freschezza e rompere gli equilibri.
Ha giocato indistintamente da ala destra o sinistra, provando a cogliere il meglio delle due posizioni: preferisce partire da sinistra, con un panorama più vasto davanti a sé per rientrare sul suo piede forte, ma anche quando gioca dall’altra parte non cambia tantissimo, prova sempre a venire verso l’interno, in cerca di soluzioni imprevedibili. Oltre alla facilità di dribbling, la caratteristica più sorprendente di Thiago Almada è la straordinaria pulizia nel gesto tecnico. I suoi tiri sono potenti e precisi, e hanno sempre traiettorie angolate, sia in area che dalla distanza – vedi la rete contro l’Independiente. Ha un repertorio vastissimo: contro il Colón, ad esempio, ha dato una dimostrazione della sua capacità di coordinarsi al volo, piegando alla sua volontà un pallone spiovente e scaraventandolo in rete da fuori. Sa tagliare in verticale la difesa con palloni filtranti, ma anche giocare a due tocchi e alimentare il possesso con intelligenza nelle scelte e un ottimo dosaggio nei passaggi; persino gli spioventi morbidi che lancia verso l’area arrivano con una precisione non comune.
È l’altra faccia del suo calcio, quella che lo rende diverso dai talenti frenetici di cui l’Argentina si innamora ciclicamente: sente il gioco e i suoi tempi, fa la cosa giusta nel modo giusto con una frequenza inconsueta rispetto ai coetanei. Una qualità perfetta per un gioco elaborato, di proposta e possesso, come quello di Heinze: ha tutti gli strumenti per interpretarlo, ma anche per offrire una variante estemporanea. Vedendolo giocare, non è difficile capire perché Pep Guardiola sembra aver pensato a lui per il futuro del suo Manchester City.
Un po’ di spunti interessanti di Thiago Almada: è evidente come la sua qualità si esprima in egual modo in diverse zone del campo, sempre con la palla attaccata al piede
Non si isola mai e fa da sempre ciò che il suo idolo Riquelme gli ha recentemente suggerito di fare: chiedere palla, gravitare nelle zone più calde dell’azione, essere un leader tecnico a cui la squadra può appoggiarsi in ogni situazione. «Vuole sempre ricevere il pallone, è uno di quei giocatori che da soli cambiano l’esito delle partite. Era il capitano e la stella della squadra, e un altro al suo posto probabilmente si sarebbe preso delle licenze, mentre lui era già molto maturo», spiega Manfredi, «poi ha saputo aggiungere molte altre cose all’enorme talento con cui è nato, come la professionalità e la voglia di imparare. Ad esempio, dopo il cambio di ruolo, ha subito iniziato a smarcarsi meglio, a evitare le zone troppo affollate, e infatti è cresciuto moltissimo anche con Heinze. Ha imparato anche a sopportare le botte che un giocatore con le sue caratteristiche subisce di continuo dai difensori: sa quando deve togliere la gamba, sa di non dover mai reagire».
Thiago Almada dimostra la sua vera età solo quando dribbla, per il resto irradia una maturità che si percepisce anche da quanto non sembri sentire il peso delle responsabilità. Anzi, sotto pressione si esalta: nell’ultimo anno ha calciato e segnato tre rigori in circostanze difficili contro il Boca alla Bombonera, contro il River al Monumental e al 96′ di uno scontro a eliminazione diretta di Copa Sudamericana contro l’Aucas, ai 2850 metri di Quito. Con tutto da perdere, ha deciso il passaggio del turno. Inoltre le sue spalle, strette e leggere come tutto il resto di quel corpo esile e brevilineo, si fanno enormi quando decide di prendere una posizione: non si è fatto problemi a dire pubblicamente che al posto di Mauro Zárate non avrebbe mai esultato dopo aver segnato alla squadra che ha dato da mangiare alla sua famiglia, così come non ha patito in campo la bufera mediatica che lo ha avvolto quando sembrava sul punto di non rinnovare il contratto o di trasferirsi al Manchester City. È la personalità, seppur con declinazioni differenti e meno irruenti, figlie di due formazioni diverse, come lo stesso Thiago ha sempre specificato, a creare una corrispondenza diretta con Carlos Tévez, probabilmente più della provenienza comune o dalla sottile vena di rabbia con cui esulta ai suoi gol. A diciannove anni appena compiuti, Thiago Almada è il talento più puro del campionato argentino, il giovane con la sensibilità tecnica più elevata e con il repertorio più completo. Il prossimo passo è coniugare al meglio anche in Europa i due linguaggi del suo calcio, al contempo tradizionale e moderno. Nato nel potrero, ma pronto per il mondo.