Rafael Tolói, concentrazione e pazienza

Il difensore brasiliano si è imposto grazie alle sue qualità, e Gasperini gli ha permesso di diventare uno dei migliori in Serie A. Lo abbiamo incontrato a Bergamo.

Solo quando viene posata la macchina fotografica, Rafael Tolói si concede un sospiro di sollievo. «Sono più stanco che dopo un allenamento con Gasperini», scherza. Il che, considerando l’intensità con cui gioca l’Atalanta, è tutto dire. «È la prima volta, così», dice mentre si accomoda sul divano, nel salotto di casa sua. Sembra sorpreso dell’attenzione, ma è al contempo rilassato o, per meglio dire, concentrato. «Non dimentico i sacrifici fatti, so qual è stato il mio percorso, so che non è stato facile. Non posso permettermi di sprecare tutto, non me lo perdonerei». Osservarlo, prima mentre posa e poi mentre parla, aiuta a capire che tipo di persona è e qual è il suo segreto: la capacità di essere concentrato in campo e fuori, nella routine e nelle occasioni speciali.

«Da quando ho 13 anni vivo da solo. Sono andato via di casa per giocare a calcio, a Goiás, senza i miei genitori perché avevano un lavoro nel mio paese. Flavia, mia moglie e mamma di Maria, la nostra figlia, è sempre stata con me: mi ha aiutato tanto», spiega Tolói, guardandoci negli occhi. Lo farà dall’inizio alla fine, tranne una volta sola. La concentrazione si vede anche da queste cose: non è annoiato né distratto, è focalizzato su quello che sta facendo, su quello che sta dicendo. Vuole dirlo bene e vuole che si capisca. Tutto ciò che fa parte del mestiere, va fatto al meglio. Quando sbarcò alla Roma, nonostante fosse in prestito per mezza stagione senza certezze di riscatto e avesse davanti una coppia performante come Benatia e Castán, la prese molto sul serio: «Non vidi nemmeno la città da tanto mi allenavo».

Sembrò una meteora, sei mesi per poi tornare in Brasile, arrivederci e grazie, invece era la scelta più logica, secondo il suo progetto di vita professionale: «In Brasile si parlava tanto di me, molte squadre mi volevano, ma io volevo il calcio europeo. E volevo l’Italia. Scelsi la Roma anche perché c’erano molti brasiliani in rosa che potevano aiutarmi. Mi fecero sentire subito a casa. Fossi andato in una squadra senza connazionali, chissà, avrei avuto più difficoltà e la mia storia sarebbe stata diversa». Intelligenza è la parola d’ordine, in questo caso nella scelta di Roma. E lo sarà in tutto ciò che riguarda Tolói. «Alla fine raggiunsi l’obiettivo: farmi conoscere in Europa. Anche se la Roma non mi riscattò. Furono mesi importanti».

Tolói, qui e là, aggiunge una frase – «Per me era importante» – come se l’avesse ripetuta a se stesso cento, mille, infinite volte. Di nuovo tornano le parole chiave: intelligenza e concentrazione. Sono qualità spesso sottovalutate nei giocatori perché non si vedono. Non sempre, almeno. «È complicato gestirsi. Io mi isolo, non leggo i giornali, non ascolto. Penso a lavorare, agli allenamenti, perché poi in partita si vede quello che hai fatto durante la settimana». Il gioco è sempre più complesso, le informazioni sono sempre di più così come le distrazioni: bisogna saperle gestire. Secondo Tolói «è vero, oggi serve una professionalità molto più grande che qualche anno fa. Il calcio la pretende. Se sei giovane devi cercare di imparare velocemente, anche se hai qualità sopra la media, perché la carriera è corta, bisogna cogliere ogni opportunità. E bisogna capirlo per tempo. Se penso che ho 29 anni e sono già a metà… mamma mia. Mi sembra ieri quando cominciavo a giocare. Siamo privilegiati, ma non dobbiamo darlo mai per scontato».

Non sono parole banali soprattutto nella pratica, cioè quello in cui Tolói è davvero sopra la media. L’intelligenza si nota soprattutto negli aspetti fuori dal campo, come l’alimentazione («In questo l’Atalanta ci aiuta tanto. Poi noi dobbiamo gestirci: durante l’anno dieta. Qualche strappo alla regola solo in vacanza») e nella velocità con cui un calciatore apprende quello che gli viene richiesto. Sembra facile per Tolói perché il gioco di Gasperini è un vestito su misura: ai terzi di difesa è richiesto coraggio, difesa in avanti, in aggressione, in anticipo, e proiezioni in zona offensiva, «caratteristiche che ho sempre avuto: se giochi in una linea a quattro devi stare più in posizione, mentre in una difesa a tre c’è più possibilità». E allora bingo, sì, come sottolineano i 5 assist più un gol in stagione finora, ma non basta, troppo facile.

«Sono stato fortunato a incontrare Gasp», ammette, ma anche ad aver capito, assorbito, interpretato le priorità del calcio italiano in cui la tattica viene prima del resto. Da brasiliano, non è affatto scontato. «La tattica mi piace, mi appassiona» afferma Tolói, a domanda specifica. «In futuro, chissà, potrò anche fare l’allenatore: con tutte le cose che sto imparando, potrei pensarci». La ricetta da giocatore, per ora, è semplice da dire, meno da fare: «Devi studiare e poi mettere in pratica. Quando sono arrivato in Italia ho capito subito che la tattica era importante. Sono cresciuto tantissimo. Nell’Atalanta, poi, per come giochiamo, so che non possiamo sbagliare niente: abbiamo dei movimenti e dei concetti da applicare bene. Ora li ho memorizzati, ma ci vuole applicazione e tempo».

Si vede che gli piace quello che fa. Quando glielo facciamo notare e gli chiediamo se fa la differenza, risponde di sì, senza esitare: «Giocare a calcio è fantastico. È sempre stato il mio sogno e dei miei genitori, della mia famiglia. Li ho lasciati per amore di questo sport. Lo devi fare con il cuore, con sentimento perché il calcio chiede tanto ma ti dà tanto. Noi abbiamo la carriera più bella. Devi solo stare attento, fare le cose giuste, essere un esempio». La cultura del lavoro cresce spontaneamente in un ragazzo che ha lasciato la famiglia per inseguire un sogno. È meno naturale che quel sogno, una volta conquistato, un ragazzo sappia tenerselo così stretto: «Dipende solo da te. Il segreto è ricordarsi che non si finisce mai di imparare, di crescere. Bisogna solo averne voglia».

Per fortuna di Tolói, con Gasp c’è tanto da imparare. E per fortuna di Gasp, nella rosa nerazzurra ci sono giocatori come Tolói, disposti ad apprendere. Quando Rafael aggiunge che il suo allenatore è «sempre molto concentrato», ci fa riflettere: di lui abbiamo appena pensato e scritto la stessa cosa. Ecco l’alchimia: due persone che si trovano, si intendono e si migliorano a vicenda, ogni giorno. Ecco il segreto di Tolói, di Gasperini, dell’Atalanta. «Sono a Bergamo da quando è arrivato il mister. Il suo lavoro è di altissimo livello. Ci ha fatto crescere, con lui siamo diventati tutti più forti», al punto da conquistare la Champions, la prima nella storia della Dea. «È un’altra cosa. Incontri squadre che giocano per vincere. Per noi è stata un’esperienza bellissima: speriamo continui». Ma il campionato italiano è così diverso? «Sì, anche per via della formula: hai tempo, ci sono più partite e molte squadre giocano anche per il pareggio. In Champions sono tutti scontri frontali, non ci sono ragionamenti». E il fatto che l’Atalanta non sia stata una semplice comparsa ma sia approdata ai quarti conferma la bontà di un modello dalle radici italiane, del calcio artigianale nostrano, ma dal respiro europeo.

È lo stesso modello, seppur declinato in un sistema e uno stile di gioco diversi, che Roberto Mancini ha importato in Nazionale e che sta cambiando la cultura calcistica italiana, l’idea stereotipata che noi stessi avevamo del nostro calcio, e che pian piano conquista tutti. «Mi piace l’Italia. È cresciuta molto dopo quello che è successo, dopo il Mondiale mancato. Si è ricostruita con Mancini, ora ha un gioco bello, mi piace». E anche se la difesa è a quattro, il ct chiede di aggredire in avanti, di tenere alto il baricentro: di fare, insomma, quello che Tolói fa alla grandissima nell’Atalanta. Ammicchiamo. Rafael intuisce: «Sarebbe un onore poter indossare la maglia azzurra: ho i bisnonni italiani e sono da cinque anni qui, in questo Paese bellissimo: ho il cuore azzurro», afferma, abbassando per la prima volta lo sguardo e accennando un sorriso imbarazzato. «Ho fatto tante partite con l’Under 20 del Brasile», dice, ripensando alla Seleção. «Ma risponderei subito alla chiamata di Mancini». E perché no, aggiungiamo: giocatori come Tolói è sempre meglio averli in squadra. E non solo per le qualità calcistiche.