Otto talenti che non ci aspettavamo

Fino a qualche mesi fa li conoscevano in pochi, ora sono sulla bocca di tutti: Sabitzer, Greenwood, Minamino, Davies, Kumbulla, Gilmour, Mings, Camavinga.

Con il calcio fermo da quasi due mesi, diventa difficile valutare i progressi e lo sviluppo dei calciatori in rampa di lancio del panorama italiano e internazionale. Tuttavia per alcuni di loro questa è stata comunque la stagione che li ha fatti uscire dall’anonimato in cui erano confinati, alcuni a causa della giovane età, altri per via di un percorso di crescita meno dirompente e immediato rispetto ad alcuni pari ruolo delle big europee. Abbiamo selezionato otto profili che si sono messi in luce nella prima (e finora unica) parte dell’annata 2019/2020.

Marcel Sabitzer

In realtà quello di Marcel Sabitzer è uno dei nomi più ricorrenti quando si tratta di raccontare l’ascesa del Red Bull Lipsia: parliamo di un giocatore da 42 gol e 32 assist in 179 presenze dal 2016/2017, punto fermo durante la gestione di Hasenhuttl e in quella di Nagelsmann. Eppure abbiamo iniziato a inquadrarlo nei giusti termini solo dopo la vittoria a San Pietroburgo contro lo Zenit, impreziosita da uno splendido gol di collo-esterno destro di controbalzo: nella pulizia e nella bellezza di quel gesto c’è tutta la qualità tecnica finora sottovalutata di Sabitzer, un elemento che ha anche doti di leadership magari non immediatamente visibili, ma che alla fine emergono pure in un sistema anti-individualista come quello del Lipsia – e di tutte le squadre Red Bull. L’altra grande caratteristica di Sabitzer è la sua versatilità: stando ai dati Transfermarkt, non c’è ruolo che non sia in grado di ricoprire sulla trequarti sfruttando le sue qualità di costruzione, rifinitura e conclusione dell’azione, grazie ad un calcio dalla distanza potente e preciso. Oltre a questo, l’austriaco è bravo a occupare gli spazi di mezzo alle spalle della prima linea di pressione, sa creare superiorità attraverso combinazioni rapide e sa attaccare la porta partendo dal lato debole. La sua è una dimensione creativa lineare e ragionata che non gli impedisce, però, di sfruttare ottime doti di conduzione palla in verticale quando si tratta di spezzare un raddoppio o guidare la transizione. A 26 anni, e all’apice del suo prime tecnico, fisico e psicologico, è pronto per il salto in una big europea.

Billy Gilmour

Se un domani si dovrà indicare la partita in cui Billy Gilmour si è preso il Chelsea, ricordare il 2-0 al Liverpool in FA Cup sarà quasi naturale. Una prestazione talmente convincente da far passare in secondo piano una vittoria contro l’invincibile armata di Jurgen Klopp, per di più in uno dei ruoli – centrocampista centrale davanti alla difesa – chiave del calcio moderno. La naturalezza con cui Gilmour ha interpretato a modo suo compiti e funzioni che normalmente sono di un veterano come Jorginho, senza pagare eccessivo dazio a una dimensione fisica ancora da costruire, è una perfetta rappresentazione per il manifesto della linea verde con cui Lampard sta rinnovando il Chelsea: rispetto all’italo-brasiliano, il diciottenne scozzese è un regista molto più istintivo e verticale, che tende a ribaltare velocemente il fronte del gioco e ad eludere la prima pressione avversaria attraverso prolungate progressioni palla al piede.

Se fossimo in NFL diremmo che Jorginho è un quarterback che costruisce il suo vantaggio posizionale guadagnando una yard alla volta, mentre Gilmour è uno di quelli che preferisce puntare direttamente al bersaglio grosso sfruttando l’abilità dei vari Abraham, Pulisic e Mason Mount nell’attacco della profondità. Una caratteristica che lo rende più adatto al tipo di calcio che il tecnico ha in mente e che potrebbe facilitarne la crescita e l’inserimento in pianta stabile nel sistema.

Un po’ di azioni di Billy Gilmour nella partita contro il Liverpool in Fa Cup: c’è tutto, passaggi verticali, interventi in scivolata con perfetto tempismo, trasmissioni ragionate, progressioni palla al piede

Alphonso Davies

Anche se sembra far più notizia per le sue abilità da tiktoker che per quelle sul campo, Alphonso Davies è la vera grande sorpresa nella stagione del Bayern Monaco. Le aspettative sono sempre state alte fin dal momento del suo arrivo dalla Mls, eppure, complice l’avvicendamento in panchina tra Kovac e Flick, il suo impatto con il calcio europeo ha stupito per portata e immediatezza. Non è solo una questione di numeri – un gol e sette assist in 28 presenze – ma anche di varietà del gioco: Davies è un elemento multidimensionale, in grado di interpretare al meglio il ruolo dell’esterno sinistro sia nell’accezione offensiva che in quella difensiva, grazie a una sensibilità tattica assolutamente fuori scala per un giocatore così giovane, che proviene da un contesto dalla competitività relativa. Parliamo di un talento naturale nell’accezione più pura del termine, in grado di replicare e mettere in pratica velocemente tutto ciò che impara in allenamento e in partita, sfruttando qualità fisiche superiori rispetto ai suoi coetanei. Forse i miglioramenti più importanti a medio termine sono quelli esperibili dal punto di vista tecnico, in termini di scelta della singola giocata, ma la sensazione è che a Monaco abbiano già trovato un potenziale erede di David Alaba.

Davies si è trasferito al Bayern Monaco a gennaio 2019 dai Vancouver Whitecaps; con il club bavarese, conta 35 presenze e due gol in tutte le competizioni (Glyn Kirk/AFP via Getty Images)

Mason Greenwood     

Con i suoi 19 anni da compiere il primo ottobre del 2020, Greenwood è una delle poche note positive nell’ennesima stagione altalenante del Manchester United, di cui è diventato il più giovane marcatore in una competizione europea grazie alla rete realizzata all’Astana nel girone di Europa League. Dopo gli scampoli di gara che gli aveva concesso nella parte finale della scorsa stagione, Solskjaer ha deciso di inserirlo con più continuità nelle rotazioni, affidandosi alla sua capacità di avere un impatto immediato anche a partita in corso. Greenwood è un attaccante moderno e fisicamente ben strutturato, in grado di agire da prima o seconda punta, naturalmente ambidestro, e già molto avanti per quel che riguarda la comprensione del gioco e la capacità di muoversi senza palla. Al momento la componente istintiva continua ad essere quella prevalente ma la base su cui lavorare è ottima, e l’allenatore norvegese è convinto di fare di lui il prossimo punto di riferimento dell’attacco dei Red Devils. Prima dell’interruzione delle varie competizioni, Greenwood poteva vantare dodici gol stagionali in 35 presenze complessive, di cui solo quindici da titolare.

Marash Kumbulla

Il 19enne albanese è stato a lungo il segreto meglio custodito del Verona di Juric, una delle migliori espressioni difensive del campionato italiano – 26 gol subiti, solo Juve, Lazio e Inter hanno fatto meglio. Dopo appena una presenza in tutta la stagione scorsa – appena 16 minuti nel 4-0 dei gialloblù contro il Cittadella il 27 dicembre 2018 – Kumbulla non solo è diventato titolare fisso ma addirittura il perno centrale del sistema difensivo del tecnico croato: a lui, infatti, Juric ha demandato il compito di alzare la linea in fase di riaggressione, cercando l’anticipo sul diretto avversario al limite della propria metà campo, spesso anche oltre.

Più che un azzardo, la scelta di Juric è volta prevalentemente a mascherare quelli che sono i limiti sul primo passo, nella progressione e nella lettura delle situazioni: Kumbulla, infatti, è un giocatore che dà il meglio di sé non solo nel gioco aereo ma anche nelle lunghe fasi di difesa posizionale, quando non deve pensare troppo e può concentrarsi sull’aspetto prettamente fisico della marcatura. La maturazione e l’adattabilità in contesti meno scolastici, anche dal punto di vista della costruzione dal basso, è l’elemento chiave che ci permetterà di valutare le potenzialità di uno dei difensori più promettenti del panorama europeo.

Kumbulla è nato a Peschiera del Garda da genitori albanesi; ha la cittadinanza italiana, ma ha deciso di rappresentare la sua Nazionale d’origine, con cui ha esordito il 14 ottobre 2019 (Alessandro Sabattini/Getty Images)

Eduardo Camavinga 

Ad aprile 2019 Camavinga era già diventato – a 16 anni, 4 mesi e 27 giorni – il più giovane esordiente nella storia dello Stade Rennais, oltre che il primo 2002 a esordire nei più importanti campionati europei, battendo il record di precocità di Kylian Mbappé. La partita che l’ha imposto all’attenzione del grande pubblico, però, è datata 18 agosto: quella messa in mostra contro il Paris Saint-Germain, sconfitto 2-1 dalla squadra bretone, è stata una prestazione sontuosa su entrambi i lati del campo, forse persino troppo consistente per un calciatore così giovane.

Eppure, mai come in questo caso, quello anagrafico è il dettaglio meno importante quando si tratta di valutare potenzialità e prospettive: Camavinga è un giocatore fisicamente già ben strutturato (1.85 per 70 chili), elastico e quasi danzante nei movimenti, perfettamente a suo agio tanto in una mediana a due quanto da centrale in un reparto a tre. Dal punto di vista tecnico è ancora piuttosto elementare – poco più di 40 palloni toccati in media a partita, con una pass accuracy che sfiora il 90% – anche se ha già dimostrato di trovarsi a suo agio a giocare sia sul corto che sul lungo; notevole, invece, la sua capacità di coprire il campo senza palla e la qualità e il tempismo dei contrasti (quattro in media per partita), sebbene debba ancora imparare a tenere a freno una naturale irruenza che gli ha già fruttato sei ammonizioni e un’espulsione in 24 gare di campionato.

La cosa più sorprendente di Camavinga è l’assoluta sicurezza nel controllo del pallone e del proprio corpo, in ogni situazione: in questa breve clip, il centrocampista del Rennes esegue le sue giocate in zone diverse del campo senza scomporsi mai, con una naturalezza incredibile

Takumi Minamino    

Messo in secondo piano (come tutti suoi compagni di squadra del Salisburgo) dal ciclone Haaland, Minamino ha a sua volta cambiato squadra nella finestra invernale di mercato, passando al Liverpool per una cifra vicina ai tredici milioni di euro. Nonostante sia stato il primo giapponese a realizzare una tripletta in una competizione europea – l’8 novembre 2018 contro il Rosenborg in Europa League – ha sempre dovuto fare i conti con la fama di essere un attaccante versatile, dinamico e ipercinetico ma che tende a sbagliare troppo scelte e giocate in area di rigore. Da questo punto di vista la sua prima parte di stagione (nove gol e undici assist in 29 presenze) è stata addirittura sorprendente e gli è valsa la chiamata di Klopp, che ha individuato in lui il backup perfetto per ciascuno dei titolarissimi del suo tridente offensivo.

Takumi Minamino è sbarcato in Europa nel 2015, il Salisburgo lo acquistò dal Cerezo Osaka poco prima che compiesse vent’anni; da quando è arrivato al Liverpool, ha giocato sette partite in tutte le competizioni (Paul Ellis/AFP via Getty Images)

Tyrone Mings 

Debuttando con la maglia dell’Inghilterra a Sofia lo scorso 14 ottobre, durante un match valido per le qualificazioni a Euro 2020, Tyrone Mings ha riscritto la sua storia per l’ennesima volta. Una storia fatta di povertà, infortuni gravi e seconde occasioni che sembravano non dover arrivare mai. Dopo 17 partite complessive in Premier League con la maglia del Bornemouth tra il 2015 e il 2019, questa aveva già portato in dote 23 presenze, due gol e una costanza di rendimento che fino ad ora gli era sconosciuta, tanto da guadagnarsi il soprannome di “van Dijk dell’Aston Villa”. Con l’olandese, in effetti, condivide il proprio essere late bloomer, un giocatore esploso in età non più verdissima e il cui trasferimento è stato caratterizzato da un somma – 25 milioni di sterline nel luglio 2019 – considerata spropositata in relazione a quello che si riteneva essere il suo reale valore e l’interpretazione fisica del ruolo.

All’atto pratico, però, i margini di miglioramento sembrano essere relativi e la sua adattabilità a un contesto di alto livello costituisce un interrogativo non da poco in chiave futura, soprattutto in relazione alla possibile avventura in Nazionale. Di certo, però, al momento dello stop per la pandemia, Mings era in piena corsa per scalzare Maguire dal ruolo di centrale titolare accanto a Stones. Non male per un ragazzo che prima del provino con l’Ipswich, nel 2013, guadagnava 45 sterline a settimana e lavorava in un pub per arrotondare.