Le stagioni sbagliate di Ferguson al Manchester United

Trofei persi, errori di mercato o eliminazioni inattese: eventi negativi che però sono state sempre riscattati da un manager leggendario, anche nella gestione degli alti e bassi.

Il 6 novembre 1986, quando Alex Ferguson diventa manager del Manchester United al posto dell’esonerato Ron Atkinson, i Red Devils si trovano relegati al diciannovesimo posto dell’allora First Division; inoltre sono appena stati eliminati dal Southampton in Coppa di Lega dopo un umiliante 1-4 incassato al The Dell. Bisognerà attendere due settimane per la prima vittoria del nuovo corso – 1-0 a Old Trafford contro il Queens Park Rangers con gol di John Sivebaeck, dopo aver raggranellato appena un punto contro Oxford United e il neopromosso Norwich – e oltre un mese per il primo successo in trasferta, un inaspettato 1-0 ad Anfield contro il Liverpool. Alla fine, l’onta della retrocessione viene evitata: lo United chiude all’undicesimo posto in campionato e si toglie la soddisfazione di eliminare i rivali cittadini del City in FA Cup, prima di uscire al turno successivo contro il Coventry – che alzerà poi la coppa a Wembley.

Nella sua autobiografia del 1999, uscita sull’onda lunga del treble appena conquistato, Ferguson ricorderà così quei momenti: «Sapevo che stavo iniziando un viaggio lungo e difficile: avrei dovuto ricostruire dal basso cercando di infondere la mia autostima in tutte le componenti dell’organizzazione. Ma soprattutto volevo che si creasse un legame con i giocatori, i tecnici, il personale del club: tutti dovevano sentirsi parte di una realtà che stava per rinascere».

Inizia così un’epopea lunga 27 anni, 1.500 partite e 38 trofei, in cui la figura dell’allenatore/manager alla Ferguson diventerà il nuovo standard di riferimento, oltre che il simbolo di un’utopia irrealizzabile: quella di un tecnico capace di restare così tanto e così a lungo alla guida di un grande club, resistendo a pressioni, evoluzione del gioco e del business, e pure agli inevitabili alti e bassi. Perché sì, anche Sir Alex ha dovuto fare i conti con stagioni nate male e finite peggio, che potevano riscrivere in modo diverso la storia sua e del Manchester United. Ma forse il segreto della sua longevità sta proprio nell’aver fatto contare quelle stagioni, più di altre, quando è arrivato il momento di ricostruire i Red Devils.

1989/90

Nel 1987/88, alla sua prima stagione intera da allenatore, Ferguson era riuscito a portare lo United al secondo posto in classifica, seppur a nove punti dal Liverpool campione. L’anno successivo, però, una striscia di nove partite senza vittorie – una sconfitta e otto pareggi – tra ottobre e novembre aveva impedito ai Red Devils di dare continuità all’ottimo risultato: ecco un altro undicesimo posto in campionato, e in più eliminazione al sesto turno di FA Cup contro il Nottingham Forest.

Per questo, durante l’estate 1989, Ferguson conduce una robusta campagna di rafforzamento che porta in dote Neil Webb, Mike Phelan, Paul Ince, Gary Pallister e Danny Wallace: da quando si è seduto sulla panchina dei Red Devils, ha comprato 16 giocatori (per un totale di 13 milioni di sterline) e ne aveva ceduti 18, con i soli Bryan Robson e Mike Duxbury a costituire ciò che restava della squadra che ha preso in corsa due anni e mezzo prima.

La stagione si apre bene il 19 agosto, con un 4-1 all’Arsenal campione a Old Trafford. E nemmeno lo sfortunato 1-1 contro il Crystal Palace di tre giorni dopo – pareggio in extremis di Ian Wright al termine di una gara che lo United domina in lungo e in largo – lascia presagire quello che Ferguson definirà «il periodo peggiore della mia carriera». La sfida contro il Derby del 26 agosto si conclude con la prima di quattro sconfitte in cinque partite, l’ultima è un eloquente 1-5 al Maine Road contro il City. «I segnali che provengono dalle stanze dirigenziali e dallo spogliatoio raccontano di una squadra spaccata», scrive Harry Harris sul Mirror nel primo di tanti momenti in cui Ferguson si ritrova contro tifosi e stampa. A dicembre, nel bel mezzo di una striscia negative che si protrarrà fino a fine gennaio (sei sconfitte e quattro pareggi in dieci partite di campionato) Steve Curry del Daily Express, in un articolo intitolato “Fergie the Flop!”, lo definisce «il peggior allenatore della storia dello United».

Il titolo di questo video su Youtube è «The Maine Road Massacre of 1989»

Proprio nei giorni immediatamente successivi alla sconfitta nel derby, la dirigenza aveva rinnovato il contratto di Ferguson per altri tre anni, in quello che può essere considerato il turning point decisivo nella carriera dell’allenatore scozzese: «Mi hanno dato fiducia e tempo per proseguire nel mio lavoro», dirà anni dopo. Alla fine lo United chiude al tredicesimo posto (cinque punti sopra la zona retrocessione) e il 17 maggio 1990 vince la settima FA Cup della sua storia, battendo 1-0 il Crystal Palace nella ripetizione del match disputato cinque giorni prima e terminato 3-3 dopo i tempi supplementari.

1994/95

Dopo aver vinto le prime due edizioni della neonata Premier League, all’inizio dell’annata 1994/1995 il Manchester United è favorito per il three-peat, nonostante la concorrenza del Newcastle e, soprattutto, del Blackburn, che in attacco può contare sulla coppia formata da Chris Sutton (che Ferguson aveva provato a strappare al Norwich) e Alan Shearer.

Le otto vittorie in nove partite tra ottobre e dicembre – tra cui un 5-0 al City e i due successi, uno dietro l’altro, negli scontri diretti proprio contro Newcastle e Blackburn – sono il picco di una stagione che sembra inarrestabile, almeno fino al 25 gennaio 1995. Ad inizio secondo tempo della sfida contro il Crystal Palace, Eric Cantona – che tre giorni prima aveva firmato il secondo successo stagionale contro il Blackburn – viene espulso per un fallo a palla lontana su Richard Shaw; mentre abbandona il terreno di gioco, reagisce alle provocazioni razziste di un tifoso avversario colpendolo con un calcio al volto. È un gesto a suo modo iconico che, però, gli costa nove mesi di squalifica, privando Ferguson del centro tecnico ed emotivo della squadra.

«Non riuscivo a dormire. Mi alzai alle tre di mattina e vidi il video. Rimasi scioccato», disse Alex Ferguson, qualche tempo dopo

L’inerzia emozionale, a quel punto, passa dalla parte dei Rovers: nonostante due scontri diretti perduti, Shearer e compagni riescono a prolungare un estenuante duello punto a punto con lo United fino all’ultima giornata. Quando, cioè, la squadra di Ferguson spreca il “regalo” del Liverpool vittorioso ad Anfield contro il Blackburn, facendosi bloccare sull’1-1 dal West Ham e chiudendo il campionato a un punto dal Blackburn, a un punto dal titolo. Una settimana dopo, poi, una rete di Paul Rideout condannerà i Red Devils alla sconfitta nella finale di FA Cup. Una chiusura in linea con una stagione nata male pure in Europa: lo United era stato eliminato ai gironi di Champions League alle fase a gironi, sconfitto da Goteborg, Galatasaray e Barcellona. Questi risultati convincono Ferguson ad accelerare il processo di rinnovamento che aveva in mente da tempo, e a inserire in prima squadra Gary e Phil Neville, David Beckham, Paul Scholes e Nicky Butt. Il 19 agosto 1995, lo United si schiera così per l’esordio nella nuova stagione contro il West Ham: Schmeichel, G Neville, Parker, Pallister, Irwin; P Neville, Butt, Keane, Sharpe; Scholes, McClair. Gli Hammers vincono 3-1 e durante Match of the Day, programma della BBC, Alan Hansen dice che «non si può vincere con i ragazzini». A fine stagione i Red Devils completeranno il double Premier League-FA Cup, bissando il successo in campionato anche nella stagione successiva. Quattro anni dopo vinceranno il Treble.

2004/05 e 2005/06  

Il biennio 2004-2006 è il peggiore per Ferguson dal punto di vista delle campagne europee; tra l’altro è lo stesso periodo in cui lo United chiude tre stagioni consecutive senza vincere la Premier League  – che va all’Arsenal “degli Invincibili” e per due volte al Chelsea di José Mourinho. Nella Champions 2004/2005, la corsa si ferma agli ottavi di finale: doppio 1-0 a favore del Milan, che ipoteca il passaggio del turno deciso già nel match di andata a Old Trafford grazie, a un grave errore di Roy Carrol sulla rete di Crespo, dopo un intervento maldestro che ricorda sinistramente quello di Howard su Costinha – che permise al Porto di eliminare i Red Devils nel 2004. L’anno dopo va addirittura peggio: lo United arriva ultimo in un girone abbordabilissimo con Lille, Benfica e Villareal, mettendo insieme una sola vittoria (a fine settembre contro i portoghesi), tre pareggi e due sconfitte.

Rooney arriva a Old Trafford nel 2004, e lascerà lo United solo tredici anni dopo: con Ferguson in panchina, vincerà cinque volte la Premier League e una la Champions, considerando solo i trofei più importanti (Paul Barker/AFP via Getty Images)

Sono anni complicati, non solo perché lo United vince solo un trofeo – la Coppa di Lega del 2006 – ma perché Ferguson deve ricostruire la squadra intorno a Rooney e Cristiano Ronaldo. In quattro sessioni di mercato arrivano Heinze, van der Sar, Park Ji Sung, Vidic, Evra e Carrick; inoltre Sir Alex deve fare i conti con il ritiro di Roy Keane, i frequenti infortuni ai giocatori chiave (Ruud van Nistelrooy su tutti) e il burrascoso ingresso in società della famiglia Glazer. In un articolo del luglio 2006 sul Guardian, Rob Smith scrive che «Ferguson sta distruggendo la sua legacy ogni giorno che passa sulla panchina dello United»; per tutta risposta, arrivano tre Premier League vinte di fila e la seconda Champions della carriera, nel 2008, dopo la finale di Mosca contro il Chelsea. E nel 2009, a Roma, solo il Barcellona di Messi e Guardiola impedirà il back-to-back ai Red Devils.

2011/2012

Il 13 maggio 2012, a due minuti dalla fine dell’ultima giornata di Premier League, il Manchester United è virtualmente campione d’Inghilterra per la ventesima volta nella sua storia. La vittoria in casa del Sunderland (0-1, gol di Rooney) e il contemporaneo 1-2 del Manchester City contro il QPR in cerca di punti salvezza sembrano l’ideale conclusione di un campionato folle, da montagne russe, caratterizzato dall’8-2 inflitto dallo United all’Arsenal, ma anche dall’1-6 interno contro il Manchester City del 22 ottobre – «la peggior sconfitta della mia carriera», aveva dichiarato Ferguson al Telegraph. In mezzo anche la terza eliminazione ai gironi di Champions League, con il ko in casa del Basilea all’ultima giornata che aveva condannato lo United alla “retrocessione” in Europa League e a una inattesa eliminazione agli ottavi per mano dell’Athletic Bilbao di Marcelo Bielsa, poi finalista perdente contro l’Atlético Madrid.

Ferguson saluta i tifosi al termine della partita contro il Sunderland, nell’ultima giornata della Premier League 2011/2012; gli 89 punti accumulati dal suo Manchester United resteranno un primato per una squadra seconda in classifica fino a un anno fa, quando il Liverpool di Klopp ha chiuso il campionato con 97 punti, una lunghezza dietro il City di Guardiola (Michael Regan/Getty Images)

Nonostante questi alti e bassi, lo United riesce a far valere la propria maggior durezza mentale nel duello con il City per la vetta della Premier League: recupera cinque punti sui rivali, poi accumula un vantaggio di otto lunghezze. Un margine rassicurante fino ad aprile, un mese nero: i Red Devils mettono insieme quattro punti in quattro partite, perdono casa del Wigan, pareggiano 4-4 a Old Trafford contro l’Everton – con Jelavic e Pienaar che in due minuti, tra l’83’ e l’85’, annullano il doppio vantaggio dello United – e soprattutto vengono sconfitti nel derby di ritorno contro il City. A due giornate dalla fine, il colpo di testa di Vincent Kompany rimette avanti in classifica i Citizens per differenza reti.

Le partite contro Swansea e Newcastle si rivelano una pura formalità, e così arriva all’ultima giornata con le posizioni che appaiono cristallizzate: a Ferguson, infatti, non basta vincere, deve farlo e deve pure sperare in un improbabile stop interno del City contro il QPR. A Manchester, la rete di Zabaleta in chiusura di primo tempo pare chiudere ogni discorso, poi in un quarto d’ora Cissé e Mackie ribaltano il risultato e il mondo in quello che sembra essere il preludio a uno psicodramma collettivo. Le cose cambiano di nuovo in pochi secondi, a partire dal minuto 91:12. Quando, cioè, David Silva batte il calcio d’angolo che Dzeko converte nella rete della speranza per il City di Mancini. Da lì in poi sarà solo “Agueroooooo!”.

Qualche tempo dopo, Sir Alex parlerà così a ESPN: «Una delle cose che ho sempre cercato di fare è trasmettere l’idea di rappresentare i valori del club dentro e fuori dal campo. Perciò quando sono tornato negli spogliatoi dopo che avevamo perso la Premier ho detto ai miei giocatori che non avevano niente da rimproverarsi, e che dovevano fare due cose: andare a testa alta e dire a tutti che l’anno successivo saremmo stati noi a vincere il campionato». Facile intuire come sia andata la Premier League 2012/2013: l’ultima vittoria di Ferguson nell’ultima stagione da manager del Manchester United. L’ultima Premier League vinta dal Manchester United.