L’incontro di Ronaldo e Neymar, tra il tramonto e l’alba

Nel 2009, in una partita tra Corinthians e Santos, si incrociano un appesantito Ronaldo e un giovanissimo Neymar. Un momento storico, di eredità passate di piede in piede, dall'afosa San Paolo.

Brasile, marzo 2009. Tredici mesi dopo la sua ultima partita italiana, quei dannati quattro minuti di Milan-Livorno nei quali gli saltò il tendine rotuleo, Ronaldo si dice pronto a celebrare l’ennesima rinascita con la maglia del Corinthians. Sì, ma quanto pronto? Non del tutto, telefonano i corrispondenti dal Brasile, ci vorrà ancora un po’; a fine mese ci sono le gare di qualificazione al Mondiale sudafricano, valuto che magari le posso aspettare per attraversare l’Atlantico una volta sola. Errore. Ronaldo Nazario – per distinguerlo da Cristiano – è sempre stato più svelto delle attese, in campo e fuori, e il 4 marzo si alza dalla panchina a metà ripresa per sostituire Jorge Enrique nel match di Coppa del Brasile contro l’Itumbiara. Quattro giorni dopo arriva il debutto nel campionato paulista, e il primo gol che, a tempo scaduto, permette al Corinthians di uscire indenne dal campo del Palmeiras. Non c’è dubbio, Ronaldo è tornato. In tutti i sensi, occorre volare in Sudamerica.

San Paolo è una megalopoli (12 milioni di abitanti censiti, il che significa che non sono tutti) perennemente strozzata dal traffico. Un incubo. Esci da Guarulhos, l’aeroporto internazionale, e subito vieni avviluppato dal colossale ingorgo delle tangenziali, che ti deposita in albergo tre ore dopo quando va bene. Non a caso, il cielo di San Paolo è pieno di elicotteri: non esiste al mondo un’altra città nella quale il traffico aereo sia così organizzato, a partire dalle piattaforme di decollo e atterraggio sul tetto di ogni grattacielo. Chi se lo può permettere, accorcia i tempi volando.

In quei giorni, però, la ressa sulla strada dell’aeroporto ha una ragione supplementare. Lo scalcagnato centro sportivo del Corinthians, il Parque Ecologico, si apre sulla Rodovia Ayrton Senna – c’è di che commuoversi – una delle grandi arterie di scorrimento (si fa per dire) che cingono l’immensa metropoli. Siccome fra strada e campo di allenamento principale ci saranno cinquanta metri in linea d’aria, e senza nemmeno un albero a disturbare la visuale, chiunque transiti da quelle parti in orario da seduta si sente in diritto di rallentare fin quasi a fermarsi per provare a scorgere il Fenomeno. Provocando le furiose e chiassose proteste di chi gli sta dietro, salvo fare esattamente la stessa cosa una volta guadagnata la posizione migliore. Insomma, è l’inferno. Però divertentissimo, perché anche il Ronaldo crepuscolare di quei giorni conserva un potere di richiamo indescrivibile. Entrare nel recinto degli ammessi non è difficile, basta una tessera colorata che è vera, ma avrebbe potuto serenamente essere falsa visto il livello di controllo, e la disponibilità a spostarsi come nulla fosse in una realtà parallela e surreale: quella in cui l’infido addetto stampa – tale Guilherme – ti promette ogni giorno un’intervista col preciso intento di non fartela fare, ma in cambio puoi ingannare l’attesa dentro a un circo irripetibile. Rileggere i vecchi appunti è uno spasso.

Molti bambini scavalcano il muro di cinta della favela per avvicinarsi al campo, ma in mezzo scorre una ferrovia locale: ai macchinisti non pare vero di lambire il terreno sul quale sta giocando RonaldoC’è una signora con un cilindro nero in testa che mi porge foglio di carta e carboncino e, indicando Ronaldo che si allena, mi chiede di disegnarlo. In poche attività sono ugualmente incapace, ma la signora – chissà a quale titolo si trova lì – insiste. È certamente pazza, ma almeno non aggressiva. Fingo di non sentirla più e mi concentro sulla sfilata di facce che emergono al di là della barriera, dalle finestre delle case di tufo che compongono la favela Pantanal: apprendo che si chiama così perché dopo due ore di pioggia affoga nel fango (il vero Pantanal è l’immensa pianura alluvionale divisa fra Brasile, Bolivia e Paraguay: luogo dell’anima, e di coccodrilli lunghi come limousine). Molti bambini scavalcano il muro di cinta della favela per avvicinarsi al campo dall’altro lato, ma è necessario che stiano attenti perché in mezzo scorre una ferrovia locale, lenta e sferruzzante, ai cui macchinisti non pare vero di lambire il terreno sul quale sta giocando Ronaldo. Le sirene delle locomotive a vapore suonano ogni 5 minuti, la gente si accalca ai finestrini, Ronie agita una mano per i primi e poi logicamente continua a giocare, ché se li salutasse tutti non si allenerebbe più.

È invece complicato ai limiti dell’impossibile resistere alla furbata di una bevanda gassosa, il cui marketing ha spedito fin qui tre bellezze plasticate sì, ma non in modo rovinoso. Ogni quarto d’ora montano il loro spettacolino rivolte prima ai giornalisti e poi alla favela: breve balletto e via il reggiseno, alzando il cielo la bibita benedetta. È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo (il giornalista).

Ronaldo ha esordito con la Nazionale brasiliana il 23 marzo del 1994, a pochi mesi dal Mondiale negli Stati Uniti; poche settimane dopo, il 4 maggio, gioca la seconda partita con la Seleçao, contro l’Islanda, e segna la sua prima rete (Antonio Scorza/AFP via Getty Images)

Ronaldo sta preparando al Parque Ecologico la sua quarta partita, la più importante visto che il giorno dopo, all’Arena Pacaembu, arriva il Santos. Leggo sulla Folha de Sao Paulo – il Corriere della Sera dello Stato paulista – che anche nel Peixe ci sarà un giocatore alla quarta partita, per lui in assoluto: un 17enne di belle speranze chiamato Neymar jr. Il giornale si spinge a considerare il match un ghiotto incrocio fra il passato e il futuro della Seleçao, e dunque ce n’è d’avanzo per cercare informazioni sul ragazzino. Scopro così che si tratta di uno dei vari fenomeni annunciati fin dall’infanzia, la maggior parte dei quali non arriva mai, ma che nel suo breve curriculum c’è qualcosa di più: due settimane di stage a Valdebebas, chiamato dal Real Madrid quando di anni ne aveva 14, e una controversa rinuncia malgrado il club più importante del mondo gli avesse offerto il tesseramento.

Neymar dice di aver sentito nostalgia di casa dopo una settimana, altri sostengono che il suo agente, Wagner Ribeiro, l’abbia riportato indietro perché il Real non voleva pagargli una commissione di 60 mila euro. Per essere certo di ciò che mi accingo a vedere, telefono allora a un importante dirigente di un grande club italiano, uno molto introdotto nel mercato brasiliano. Lo conosci? “Che domande…Certo che lo conosco, Neymar è davvero molto promettente – mi dice – e ovviamente ce l’hanno proposto. Ma la cifra richiesta è di 25 milioni, non me la sento di farla spendere per un ragazzino che sta appena debuttando. Il Santos, invece, vuole farselo pagare come se fosse un campione già affermato. Ma i rischi si corrono in due, così vorrebbe dire accollarseli tutti”.

Neymar è poco più di un bambino. La maglia bianconera del Peixe gli precipita addosso quasi fosse di due taglie più grande, e al minimo contatto finisce a terra travolto dai difensoriUna lunga passeggiata sull’Avenida Paulista, la Quinta Strada di San Paolo, ed ecco comparire il vecchio Pacaembu, lo stadio municipale che nel 2009 ospita le gare del Corinthians. Il San Paolo gioca al Morumbì, il Palmeiras alla Palestra Italia, la Portuguesa al Canindé, il Corinthians al Pacaembu. Fino al 2014, quando la nuovissima Arena Corinthians sarà la sede della partita inaugurale del Mondiale mandando in pensione l’anziano impianto del centro città. Avvicinarlo quel giorno non è semplice, fra le due tifoserie i rapporti sono pessimi e la polizia brasiliana è di quelle meno portate al dialogo. Tre ore dopo, infatti, finirà a mazzate. Ma in un modo o nell’altro si entra, col largo anticipo necessario in Sudamerica, dove i numeri sul biglietto – fila e posto – sembrano stampati lì per farli giocare al Lotto tanto poco vengono assecondati. L’attesa si riempie di chiacchiere varie, e scopro che sono davvero tutti lì per Neymar più ancora che per Ronaldo. Quando le squadre entrano in campo la mia curiosità è a livelli da record.

La pioggerella calda trasforma il pomeriggio in un sudario tropicale, pessimo clima per chi, come Ronaldo, è ancora visibilmente sovrappeso. Il fixing ufficiale dell’ufficio stampa parla di tre chili, a occhio saranno circa il doppio: Ronie seleziona con cura le occasioni nelle quali scattare, insegue soltanto i palloni che può raggiungere con certezza partendo dalla linea di fuorigioco, la cui lettura a lui è nota, ai suoi lanciatori meno. Se già la carente condizione ha ridotto la finestra di tempo nella quale farsi recapitare il pallone, Douglas e Boquita non hanno il timing necessario per centrare quella finestra: così Ronaldo finisce continuamente in fuorigioco, spazientendosi. Dovrà aspettare metà ripresa per avere una chance, nata peraltro da un retropassaggio temerario dei difensori avversari: allora l’uomo che fu il Fenomeno arriva da solo davanti al portiere e, incredibilmente per quelle che sono sempre state le sue buone abitudini, non centra la porta. Che delusione.

In 92 presenze ufficiali con il Brasile, Ronaldo ha messo insieme 62 reti: è il secondo miglior marcatore di sempre della Seleçao, davanti a lui c’è solo Pelé, con 72 gol (Antonio Scorza/AFP via Getty Images)

Se Ronaldo è ancora imbolsito, e i due titoli in seguito vinti con il Corinthians (campionato paulista e coppa del Brasile) lo troveranno appena un po’ più smilzo, Neymar invece è poco più di un bambino. La maglia bianconera del Peixe gli precipita addosso quasi fosse di due taglie più grande, e al minimo contatto finisce a terra travolto da difensori inevitabilmente più robusti di lui. Delle foto ricordo con Ronaldo prima del fischio d’inizio, però, qualcosa gli è rimasto addosso: la sensazione di dover fare qualcosa di speciale per non sprecare l’occasione storica. Così, dopo alcuni palloni perduti banalmente, Neymar fa due cose che lo battezzano in modo inequivocabile: un destro improvviso da trenta metri che Felipe, il portiere del Corinthians, devia a stento in angolo, e una serpentina con partenza da fermo che lo fa passare attraverso un muro di difensori. Due cose sole, però sufficienti. È un ragazzino, ma diventerà qualcuno.

Il Corinthians vince 1-0 grazie al gol di Dentinho, sia Ronaldo che Neymar vengono sostituiti; non è stata una gran partita, ma l’incrocio fra un tramonto e un’alba contiene sempre qualcosa di magico. Nel grande caos del ventre dello stadio è possibile avvicinare Ronaldo per un istante, davanti allo sguardo furente di Guilherme (tié!): “O garotinho é bom” dice allegro, ed è lo sparo dello starter per la splendida carriera di Neymar.

Da Undici n° 18