Come ci è finito il West Ham in zona retrocessione?

A causa di un progetto confusionario, e di tanti investimenti sbagliati sul mercato.

Alla vigilia dell’annata 2016/17, il West Ham era una società con un futuro luminoso davanti a sé: sei anni dopo l’insediamento dei nuovi proprietari David Gold e David Sullivan, gli Hammers erano riusciti a conquistare la prima qualificazione all’Europa League. Inoltre, quella sarebbe stata la prima stagione da vivere allo Stadio Olimpico di Londra, un passo importante ma anche molto controverso per un club molto radicato sul territorio, visceralmente legato al suo storico impianto, Boleyn Ground. Le contestazioni dei tifosi per questa scelta strategica non hanno fermato il progetto, che però si è arrestato da solo subito dopo: il West Ham è stato eliminato nei playoff di Europa League dall’Astra Giurgiu, e da allora non è mai andato oltre l’undicesimo posto in classifica, nonostante tre cambi di manager – da Bilic a Moyes, da Moyes a Pellegrini e ritorno. L’ultimo ribaltone è arrivato il 28 dicembre scorso.

La realtà è che il progetto del West Ham è sempre stato confusionario, soprattutto sul mercato: secondo i dati di Transfermarkt, nelle ultime quattro stagioni il club dell’est di Londra ha concluso 39 operazioni in entrata, senza contare i prestiti. La grandissima parte di questi acquisti hanno reso sotto le aspettative, soprattutto gli attaccanti, che dalle parti di Boleyn Ground e dello Stadio Olimpico di Londra sembrano essere vittime di una vera e propria maledizione. Anche Sébastien Haller, per cui il West Ham ha investito 40 milioni di euro poco meno di un anno fa, non è riuscito a incidere davvero: il suo contributo si è fermato a quota sette gol, di cui tre da dicembre 2019 a oggi.

Nelle prime due partite dopo il lockdown, l’attaccante francese non è stato convocato da Moyes a causa di un infortunio, ma ovviamente le colpe del suo rendimento negativo vanno attribuite anche al contesto, alle scelte tattiche dei suoi due allenatori, e al modo in cui è stata costruita la squadra. Secondo Frank McAvennie, attaccante degli Hammers a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, «Haller non può giocare da solo, dà il meglio di sé quando è affiancato da Antonio, oppure da un altro giocatore offensivo. A Francoforte ha mostrato grande qualità perché accanto a lui c’erano altri due attaccanti, una punta pura come Jovic e un calciatore molto mobile come Rebic, mentre al West Ham è molto isolato».

Oltre a Haller, anche gli altri nuovi acquisti hanno deluso molto: Pablo Fornals, centrocampista arrivato dal Villarreal per 28 milioni di euro, ha giocato solo il 55% dei minuti da titolare, e in queste condizioni è difficile prendere davvero in mano la squadra; inoltre è stato utilizzato in tante posizioni diverse, un altro sintomo della confusione che regna al West Ham. L’attaccante Ajeti, fratello minore dell’ex giocatore del Torino, e il portiere Roberto hanno avuto un impatto ancora peggiore, praticamente nullo nel caso di Ajeti e addirittura disastroso per quanto riguarda l’ex Málaga, portato in Inghilterra dal Director of Football Mario Husillos: in otto partite, l’estremo difensore spagnolo ha incassato 17 gol, e a gennaio si è unito in prestito all’Alavés.

Proprio Mario Husillos è indicato da tutti come uno dei grandi colpevoli della crisi del West Ham, ovviamente insieme alla società che ha avallato il suo ingaggio nel 2018, poche settimane dopo la retrocessione del suo ultimo club, il Málaga. Secondo i dati del Telegraphil dirigente argentino ha speso 200 milioni di euro sul mercato in 17 mesi di mandato, e ha dato il via libera a cessioni che hanno indebolito il club, soprattutto a centrocampo – tra cui quelle di Pedro Obiang e Cheikhou Kouyate. Quando è arrivato l’esonero di Pellegrini, anche Husillos è stato sostituito, una decisione inevitabile e che ha sancito il fallimento definitivo di un progetto che non è riuscito a raggiungere alcun obiettivo. E che ha risucchiato in una spirale di negatività anche gli altri giocatori di talento dell’organico: Felipe Anderson, dopo una prima stagione nel complesso positiva, caratterizzata da nove gol e quattro assist, è tornato a essere abulico, poco incisivo e pure poco presente (appena 54% di minuti giocati in stagione); Lanzini e Antonio sono scomparsi dai radar, così come Yarmolenko; Wilshere, grande colpo dell’estate 2018, ha disputato solo otto partite.

Il 23enne difensore francese Issa Diop, ex del Tolosa, è il secondo giocatore più utilizzato nella rosa del West Ham, ed è una delle poche note positive nella stagione degli Irons (Jordan Mansfield/Getty Images)

Il ritorno di Moyes è stata ed è una chiara dichiarazione di intenti: almeno per questa stagione, l’obiettivo è evitare la retrocessione. E nient’altro. Neanche questa sarà un’impresa facile, data la situazione di classifica – il West Ham è terzultimo a pari punti con il Bournemouth, ma la squadra di Howe deve recuperare una partita – e le grandi difficoltà offensive mostrate prima e dopo il lockdown. Gli Hammers non segnano da tre partite, e nel prossimo match affronteranno il Chelsea di Lampard, pienamente in corsa per entrare in Champions League – il manager dei Blues è uno dei grandi talenti allevati nel vivaio del West Ham.

Le speranze di Moyes e dei tifosi Irons sono affidate soprattutto a Declan Rice, tra i pochissimi giocatori a salvarsi in questa orribile stagione, e al capitano Mark Noble, 33enne uomo simbolo del club, che proprio come Rice è cresciuto nell’Academy of Football, il leggendario settore giovanile del West Ham, considerato da sempre il fiore all’occhiello della società. Oltre a Rice e Noble, però, Moyes non ha a disposizione solo altri due local player. Anche questo storico primato è stato cancellato dal tempo, da un progetto che non ha funzionato e che sembra non riuscire a trovare una svolta.