L’Italia di Mancini avrà un anno di più

Lo slittamento degli Europei al 2021 darà agli Azzurri l’opportunità di recuperare alcuni giocatori, Zaniolo su tutti, e di crescere ancora in esperienza, qualità e intesa.

La forza di un progetto sta nella sua capacità di esistere e resistere nonostante i contrattempi, nonostante le avversità. Anzi, è proprio questo il senso di un progetto: immaginarne e prepararne uno a lungo termine vuol dire creare una base su cui costruire il futuro, una guida cui poter fare riferimento nei momenti di difficoltà, di indecisione, che sia costantemente fonte di risposte e fiducia e ispirazione. Questo discorso vale per tutti gli aspetti e tutti gli ambiti della vita, per tutte le cose che si progettano, o che è possibile progettare. Vale anche per lo sport e il calcio, certo. L’ha spiegato bene Roberto Mancini, commissario tecnico della Nazionale italiana: alla metà di marzo, pochi giorni prima che la Uefa prendesse la decisione inevitabile di far slittare al 2021 gli Europei di calcio, disse che la sua squadra «avrebbe vinto quest’anno, ma se ci sarà un rinvio vincerebbe il prossimo anno». Al di là della frase a effetto, è evidente che Mancini abbia grande fiducia nelle possibilità dell’Italia, crede nel progetto che ha portato avanti insieme con la Federazione.

Non ha tutti i torti, del resto gli Azzurri si sarebbero presentati al primo Europeo itinerante della storia dopo un percorso di qualificazione perfetto, mai visto prima per quantità di risultati – dieci vittorie su dieci partite, 37 gol fatti e solo quattro subiti – e qualità del gioco, quindi con l’entusiasmo di chi ha costruito qualcosa di importante, di chi è certo di avere imboccato la strada giusta. Il rinvio degli Europei avrebbe potuto cancellare e in effetti potrebbe effettivamente cancellare questo surplus emotivo, magari l’Italia arriverà alla sfida con la Turchia allo stadio Olimpico di Roma – l’impianto della Capitale è stato confermato come sede della gara inaugurale degli Europei, venerdì 11 giugno 2021 – dopo aver pareggiato o perso qualche amichevole, quindi con il morale leggermente più basso rispetto a quanto sarebbe avvenuto ora, in questi giorni. E invece è qui, proprio qui, che si esprime la forza del progetto-Italia: al netto dei risultati intermedi, Mancini nel 2021 avrà a disposizione una squadra sicuramente più forte rispetto a quella del 2020, perché lui e i suoi giocatori avranno guadagnato un anno in più, quindi avranno accumulato nuove conoscenze, nuove sicurezze. È il destino piacevole e favorevole dei progetti fatti guardando al futuro, fondati su concetti destinati a durare nel tempo, su un gruppo di giocatori costruito perché si esprimesse al meglio fin da subito, ma che fosse già proiettato alle stagioni successive.

Il caso di Nicolò Zaniolo, da questo punto di vista, è pienamente rappresentativo: il centrocampista della Roma aveva subito un infortunio molto grave a gennaio, e quindi difficilmente sarebbe stato a disposizione di Mancini. A vent’anni da compiere era già un elemento importante della Nazionale, sarebbe stato sostituito da un giocatore con caratteristiche probabilmente diverse – Orsolini, Kean oppure Castrovilli – ma ora è tornato in corsa, e potrebbe essere un’arma in più nella manifestazione che si giocherà tra un anno. Anche perché, nel frattempo, Zaniolo avrà vissuto un’altra stagione di studio, di perfezionamento. Di crescita.

Il recupero di Zaniolo è una bella storia, ma il discorso sulle sue prospettive – almeno dal punto di vista temporale – vale anche per tutti gli altri giovani talenti che Mancini ha inserito gradualmente nel roster azzurro, giocatori destinati a essere la spina dorsale dell’Italia che verrà: da settembre 2018 al 18 novembre 2019 – data dell’ultima gara ufficiale dell’Italia – il commissario tecnico ha fatto esordire Nicolò Barella (22 anni), Sandro Tonali (19), Stefano Sensi (24), Emerson Palmieri (25), Gianluca Mancini (23), Giovanni Di Lorenzo (26), Gaetano Castrovilli (22), Rolando Mandragora (22), Moise Kean (19), Riccardo Orsolini (22), Alex Meret (22); ha dato fiducia a Lorenzo Pellegrini (23), ha convocato Alessandro Bastoni (20), Andrea Cistana (22) e Luca Pellegrini (20).

Tutti calciatori di grande qualità e con margini di sviluppo molto ampi, quindi ancora sconosciuti. Tra un anno, alcuni di questi – o magari tutti – potrebbero aver fatto dei passi in avanti, potrebbero essere candidati a un ruolo ancora più importante nella Nazionale. In questo modo, offrirebbero nuove alternative a Roberto Mancini, che a sua volta avrebbe il compito/obbligo di ridisegnare una squadra in linea con le indicazioni e gli stimoli arrivati dal calcio dei club, da questa nuova generazione di aspiranti campioni.

Federico Chiesa in azione contro la Finlandia, a Tampere: da quando è diventato ct, Mancini ha utilizzato quasi sempre da titolare l’esterno della Fiorentina, che al momento conta 17 presenze e una rete con la maglia Azzurra (Claudio Villa/Getty Images)

Questa potrebbe apparire come una fonte di incertezza, ma in realtà è un’ulteriore dimostrazione della forza, attuale e potenziale, del progetto-Italia: tutti i nomi che abbiamo fatto sono sovrapponibili e integrabili al gruppo storico intorno al quale Mancini ha costruito la Nazionale – parliamo ovviamente di Donnarumma, Bonucci, Jorginho, Verratti, Bernardeschi, Chiesa, Insigne, Belotti, Immobile. Pur avendo caratteristiche ed età differenti, si tratta di giocatori su cui il commissario tecnico ha fondato il nuovo ciclo, anche dal punto di vista tattico: dopo molto tempo, l’Italia possiede di nuovo un’identità di gioco chiara, riconoscibile, ma soprattutto perfettamente calibrata sulle doti migliori espresse dal gruppo, ovvero la sensibilità tecnica, la capacità – per non dire la volontà continua – di gestire le partite attraverso il possesso palla, i ritmi alti, una fase difensiva aggressiva.

Sono prerogative che appartengono anche a tutti i giovani osservati e selezionati da Mancini, e allora i cambiamenti che potrebbero avvenire da qui a un anno, e che avverranno inevitabilmente nel futuro, saranno ispirati al progetto iniziale, anzi saranno una perfetta continuazione di quanto fatto finora. Del resto era stato proprio Mancini ad annunciare che ci sarebbe stata una rivoluzione, e che sarebbe stata radicale: nella conferenza stampa di presentazione di Italia-Armenia, l’ultima gara del girone di qualificazione a Euro 2020, il ct ha raccontato il momento in cui ha presentato il suo progetto ai giocatori: «Dissi che serviva fare qualcosa di diverso, gestire la partita, recuperare palla in una zona avanzata di campo. L’obiettivo non era vincere subito, ma intanto volevamo riportare la gente vicino alla Nazionale, costruire un gioco vincente perché poi i risultati sarebbero stati una conseguenza naturale di questo approccio, di questo lavoro. Mi aspettavo che avremmo impiegato più tempo perché si materializzasse un’identità visibile ed efficace, invece i ragazzi mi hanno stupito, hanno colto al volo quest’occasione».

Jorginho e Bonucci esultano dopo la vittoria sulla Grecia, che ha dato la matematica certezza della qualificazione europea alla Nazionale di Mancini (Claudio Villa/Getty Images)

Proprio in virtù di questo cambiamento già avviato ma ancora in corso, lo spostamento degli Europei al prossimo anno potrebbe permettere all’Italia di crescere ancora, di immagazzinare esperienza. Sarà un’opportunità per i giocatori più affermati – che dovrebbero giocare dei match amichevoli in maglia azzurra, e quindi potrebbero affinare la loro intesa, la loro conoscenza del sistema di Mancini – ma soprattutto per i giovani, che avranno un po’ di tempo e un po’ di partite in più per coltivare il loro talento, per imporsi definitivamente nei loro club, oppure per trasferirsi e confermarsi in società più grandi, che giocano competizioni più importanti.

Così potrebbero proporsi come attori protagonisti dell’Italia di Mancini, una squadra ma soprattutto un progetto che ha mostrato di essere davvero coerente, ambizioso, inclusivo, e che perciò può guardare con entusiasmo anche a un Europeo che trasloca di un anno nel futuro, quel futuro che ora non può fare paura, non più.

Da Undici n° 33