Tutto ciò che è andato storto tra Sarri e la Juventus

Alla base ci sono le stesse motivazioni che hanno spinto la dirigenza bianconera a scegliere Pirlo come successore.

Tutto è avvenuto in meno di ventiquattro ore. Venerdì 7 agosto 2020, più o meno a mezzanotte, Andrea Agnelli ha annunciato in diretta televisiva che la Juventus avrebbe fatto «delle valutazioni sull’operato di tutti, anche di Maurizio Sarri». Intorno alle 14 di sabato 8 agosto 2020, la Juventus ha ufficializzato l’esonero di Maurizio Sarri. Meno di dieci ore dopo, Andrea Pirlo è stato annunciato come nuovo tecnico dei bianconeri. La risoluzione così immediata di una questione così delicata, così importante, non lascia spazio a molti dubbi: la decisione di licenziare Sarri, e di sostituirlo con Pirlo, era già stata presa. Oppure covava sotto la cenere, e allora serviva solo che il tizzone giusto prendesse fuoco. A partire da questo dato di fatto, è interessante provare a capire cosa non abbia funzionato in un progetto dal potenziale enorme, che però è imploso dopo un solo anno ricco di contraddizioni, di emozioni altalenanti, ma anche molto forti.

Solo quindici giorni fa, infatti, Maurizio Sarri e la Juventus hanno festeggiato lo scudetto. Un titolo vinto in maniera non certo spettacolare ma comunque comoda, a due giornate dal termine che potevano essere di più; un successo che sembrava aver dato al tecnico toscano un bonus di credibilità, che pareva aver certificato uno status – quello di allenatore vincente – fondamentale per affrontare bene il futuro, per provare a ultimare una rivoluzione solo abbozzata, intravista tra le pieghe di una stagione strana, perciò irripetibile. La realtà ci ha detto che il rapporto tra Sarri e la Juve era regolato in maniera esattamente contraria: erano i risultati, non tanto l’attesa e la speranza del cambiamento, a tenerlo in piedi. Quando uno degli obiettivi principali – la qualificazione ai quarti di Champions League – è stato fallito, per di più in maniera inattesa per non dire clamorosa, l’intera impalcatura è crollata. Del resto non poteva essere altrimenti, guardando l’andamento della stagione dal punto di vista della società bianconera, oltre gli almanacchi: un gioco più godibile rispetto al passato, la promessa con cui e per cui Sarri è sbarcato a Torino, si è visto troppo poco perché la Juve concedesse ulteriore fiducia all’ex tecnico di Napoli e Chelsea. Forse i dirigenti bianconeri hanno pensato che non ci fosse granché da salvare nel loro stesso progetto, se il presupposto principale era stato raggiunto raramente, o comunque solo in parte.

In tanti, prima e durante la prima stagione di Sarri a Torino, hanno ricamato sulla sua presunta estraneità al mondo bianconero, sul fatto che fosse un allenatore molto distante – tecnicamente, culturalmente, mediaticamente –  dall’universo juventino. Le scelte finali della dirigenza alimentano questa sensazione, su cui ovviamente non possiamo avere conferma, ma la realtà dei fatti, l’unica cosa che possiamo intercettare e interpretare, va in una direzione molto diversa: Sarri era stato chiamato alla Juventus per continuare a essere Sarri, per cambiare le cose dal punto di vista tattico, calcistico, per creare un’identità di gioco diversa rispetto al passato. E non ci è riuscito, se non in alcuni aspetti, in alcuni momenti. Magari aveva intenzione di riuscirci su un periodo più lungo, ma ciò che è riuscito a mostrare non gli è bastato per meritarsi questo credito dilatato nel tempo.

Quando gli sono state chieste delle spiegazioni sul fatto che la sua Juve non fosse una squadra tanto diversa rispetto agli ultimi anni, lo stesso Sarri ha spiegato: «Sto cercando di adattarmi a certe caratteristiche, non avrei mai dato in altre squadre la libertà offensiva che, per esempio, ho dato a Dybala. Un collettivo come le mie altre squadre non lo vedrete mai». A Torino, Sarri non è stato davvero radicale, ha provato ad avviare un cambiamento ma poi ha dovuto/voluto smussare alcuni angoli appuntiti, l’ha fatto fin troppo e alla fine ha pagato proprio questo. La sua scelta, che alla fine possiamo definire vicina a una clintoniana o blairiana Third Way, si è rivelata fin troppo prudente, come succede al tavolo da poker quando hai delle ottime carte ma decidi di non rilanciare, e alla fine vinci poco e/o comunque tremi di fronte all’all-in del tuo avversario, che forse bluffa o forse no.

Magari il vero problema di Sarri è stato quello di non riuscire a imporre il suo cambiamento su giocatori con una dimensione e un vissuto più grandi dei suoi, magari Sarri è stato davvero scelto e poi è stato percepito come un Piano-B rispetto ad altri allenatori dall’approccio simile al suo, o comunque diverso rispetto al suo predecessore. È lecito pensare tutto questo, tuttavia è impossibile dirlo con certezza, e francamente la Juventus non può essere considerato un un club che sceglie in maniera improvvisata, o impulsiva, l’allenatore della prima squadra. Quindi resta il fatto che il tecnico toscano ha avuto una grande occasione e comunque non ha fatto all-in, non si è giocato tutto e subito, ha preferito adattare parte dei suoi principi alla ricerca del risultato, piuttosto che di una nuova identità di gioco.

E alla fine sono stati proprio i risultati a tradirlo: lo scudetto vinto non ha controbilanciato il mancato successo in Coppa Italia e in Supercoppa, il fallito accesso ai quarti di Champions League e soprattutto la mancanza di un gioco brillante e convincente. Si tratta di un crudele contrappasso rispetto all’avventura vissuta a Napoli: ancora oggi, il Napoli-di-Sarri viene ricordato – si può dire anche che viene rimpianto – come una delle esperienze calcistiche più brillanti e coinvolgenti negli ultimi dieci (venti? trenta?) anni di Serie A, non solo a Napoli ma anche altrove, nonostante non abbia vinto nulla. La Juventus-di-Sarri ha vinto uno scudetto ma in realtà non è esistita, se non per alcuni concetti tattici che si sono manifestati in alcune partite – una difesa leggermente più alta e aggressiva rispetto al passato, la ricerca del sovraccarico dal lato di Dybala, un possesso palla più ricercato, soprattutto in verticale.

Al netto del mancato impatto di Sarri, va anche considerato che la Juventus non gli ha offerto tutte le condizioni ideali per imporsi. La maggioranza dei giocatori bianconeri era ed è reduce dal ciclo precedente, quindi era abituata a praticare un altro tipo di calcio, a vincere con un altro tipo di calcio; tra i nuovi acquisti, Matthijs de Ligt e Adrien Rabiot sono stati gli unici a far vedere una certa aderenza alle idee dell’allenatore – tra l’altro il centrocampista francese l’ha dimostrato solo nelle ultime gare della stagione. Inoltre, Sarri ha dovuto fare a meno per lunghissimi periodi di Chiellini, Demiral e Douglas Costa, elementi con caratteristiche vicine o teoricamente adattabili al suo calcio. Sarri ha scelto di addolcire o comunque rimandare la sua rivoluzione anche per questo, e alla fine non è riuscito a incastrarsi davvero con il nuovo ambiente, che forse è rimasto (troppo?) legato al passato ma non ha neanche percepito gli stimoli giusti, più profondi, più convinti e convincenti, per lasciarsi trasportare nel futuro. In un futuro diversi. Così un progetto inizialmente ibrido ma molto ambizioso è rimasto solamente ibrido, e a volte la differenza tra ibrido e incompiuto è troppo breve perché non si faccia confusione – a livello tecnico e tattico, ma anche dialettico, emotivo, progettuale.

In virtù di tutto questo, la scelta di sostituire Sarri con Pirlo si spiega in maniera facile, per non dire automatica. Evidentemente, il management della Juventus crede che questo gruppo di calciatori sia effettivamente in grado di cambiare approccio al gioco, non a caso Fabio Paratici ha detto che «il nostro obiettivo è seguire la strada tracciata dalle big europee, vogliamo proporre un certo tipo di calcio, di grande qualità e applicazione». Maurizio Sarri non ha convinto la Juve-squadra e la Juve-società a farlo, forse è stato troppo morbido sul campo di allenamento e troppo spigoloso nel rapporto con i giocatori, forse ha avuto anche poco tempo, in una stagione troppo anomala, per riuscirci davvero. Ora Pirlo è stato chiamato perché si pensa possa avere avere l’autorità e l’autorevolezza per indurre tutti a camminare in una certa direzione, fin da subito, senza tentennamenti o compromessi. Per fare davvero la rivoluzione, o almeno questi sono i presupposti del nuovo ciclo. Proprio ciò che non è riuscito a Maurizio Sarri, paradossalmente.