Il Barcellona ha scelto Koeman per riportare l’ordine

Il club ha fatto una scelta sorprendente, anche perché il tecnico olandese non ha avuto una grande carriera. In attesa di capire come finirà la vicenda-Messi, la sua conoscenza dell'ambiente è stata ritenuta una garanzia sufficiente.

Era l’estate del 1989 quando il Barcellona, su suggerimento di Johann Cruijff, si portò a casa Ronald Koeman, un ragazzone alto poco più di un metro e 80, dal fisico squadrato e con piedi talmente educati da diventare, in pochissimo tempo, uno degli idoli del tifo blaugrana. Le sei stagioni di Koeman in Catalogna sono state piene di successi e soddisfazioni: oltre ad aver aiutato il club a vincere la Liga per quattro edizioni consecutive, nel palmarès dell’olandese e in quello del club culé ci sono finite anche una Copa del Rey, quattro Supercoppe di Spagna e una Supercoppa Europea. La vera notte indimenticabile per Koeman e il Barça, però, è quella del 20 maggio 1992: finale di Coppa Campioni a Wembley, di fronte alla squadra di Cruijff c’è la Sampdoria di Gianluca Vialli e Roberto Mancini. A otto minuti dalla fine dei tempi supplementari l’arbitro concede una punizione dal limite per i blaugrana: sulla palla ci va Rambo – come successivamente verrà ribattezzato in Italia –, che spara un destro imparabile nell’angolino basso, giustiziando un giovanissimo Pagliuca e regalando al club catalano, e al suo popolo, la prima Coppa dei Campioni della loro storia.

A distanza di quasi trent’anni, Koeman è stato (ri)chiamato al capezzale di una realtà in crisi, reduce da un paio di stagioni disastrose, solo parzialmente salvate dalla vittoria della Liga 2018/19. Cambiare allenatore era obbligatorio, soprattutto dopo una stagione come l’ultima, apice negativo di un periodo caratterizzato da scarsa lungimiranza strategica, da troppe scelte sbagliate: tutto è iniziato nel 2017, con il divorzio discutibile da Luis Enrique, il quale aveva probabilmente annusato che da lì a poco sarebbero sorti problemi gestionali irrisolvibili. Dopo di lui è toccato a Ernesto Valverde, un tecnico con un carattere da antidivo che ha vinto cinque titoli, ma che non ha mai fatto davvero breccia nel cuore dei tifosi. Dopo la seconda eliminazione assurda in Champions League, in semifinale contro il Liverpool, è diventato il capro espiatorio di tutti i mali del Barça, ed è stato definitivamente scaricato dopo la figuraccia nella final four di Supercoppa spagnola, giocata a dicembre 2019. Per riportare il Barcellona ai fasti del passato, Bartomeu ha quindi virato su Quique Setién, un allenatore dogmatico e dalla filosofia di gioco vicina alla cultura calcistica del Barça, solo che la rosa catalana era stata costruita e allenata per giocare in un altro modo, era un contesto in cui era difficile imporre o anche solo ripristinare certi concetti in maniera rapida, e indolore. Già ai tempi di Betis e La Palmas, il tecnico cantabro aveva palesato diversi problemi in questo senso, supplendo però con il lancio e la valorizzazione di una grande mole di talenti.

Per provare a risolvere il rebus, presidente Josep Maria Bartomeu ha deciso di consegnare la guida della squadra a un idolo storico del club. Si tratta di scelta che dovrebbe servire, in primis, a provare calmare le acque di un mare esageratamente mosso, arrivato al punto di esondare definitivamente dopo gli ultimi sviluppi della delicata vicenda-Messi. Al netto di ciò, però, spiegare il motivo per il quale il Barcellona abbia virato su un profilo come quello di Ronald Koeman, è un esercizio abbastanza complicato. O, almeno, questa è la sensazione che emerge sfogliando i quotidiani spagnoli degli ultimi giorni, i quali hanno dato una lettura molto critica della situazione: soprattutto i giornali catalani hanno definito questa scelta «incomprensibile, ma perfettamente in linea con il caos societario che sta regnando attualmente al Barça», ponendo principalmente l’accento sulla carriera modesta vissuta fino a oggi dallo stesso Koeman.

Precisiamo subito una cosa: non sempre, e il calcio è pieno di esempi in tal senso, il vissuto di un allenatore risulta fondamentale quando si tratta di affrontare una nuova esperienza, ma sicuramente può creare facili appigli qualora le cose non dovessero andare bene. Koeman troverà una situazione molto complicata, e il fatto che conosca a fondo l’ambiente – con tutto ciò che ne consegue a livello di aspettative e discorsi legati a blasone e identità storica – potrebbe non bastargli. Perché, fondamentalmente, non dipenderà da lui. Bartomeu è il presidente uscente e quasi sicuramente non verrà rieletto. Il caso Messi potrebbe addirittura portarlo a dimissioni anticipate, e così i soci del Barcellona sarebbero costretti ad andare al voto ben prima delle elezioni programmate per il prossimo mese di marzo. Ma in casa blaugrana, nell’ultimo anno e mezzo, si è pensato solo a portare avanti varie lotte interne tra fazioni, trascurando in maniera evidente – e tragica – il perseguimento degli obiettivi sportivi. E allora si potrebbe quasi dire che, in attesa di tempi migliori, la società si sia cautelata con un profilo affidabile dal punto di vista aziendale, in attesa di risolvere le tante beghe in cui è impantanata.

Dal canto suo, Koeman vede il Barcellona come un punto di arrivo, tanto è vero che nel contratto firmato con la federazione olandese aveva espressamente richiesto (e ottenuto) l’inserimento di una clausola speciale, con la quale potersi liberare con effetto immediato qualora il club culé avesse bussato alla porta. Ed è effettivamente ciò che è avvenuto. «So che il presidente ha fiducia in me», ha detto durante la sua presentazione alla stampa, «e infatti arrivo a Barcellona per aiutarlo e prendere decisioni importanti per il bene della società». L’olandese, reclutato nel 2018 per rilanciare il progetto degli Oranje, su quest’ultimo concetto pare avere le idee molto chiare: «Andrà fatto un lavoro profondo dal punto di vista della scelta degli uomini. Solo così potremo tornare a essere i migliori al mondo». Pochi concetti ma chiari, essenziali e di facile comprensione per tutti i presenti, ma anche per gli assenti. Per esempio, durante la presentazione Koeman ha anche fatto intendere che, per la prima volta dopo tanti anni, il Barcellona non presterà più troppa attenzione alle esigenze del singolo calciatore, bensì tutte le decisioni verranno prese solo se a beneficiarne sarà l’intero gruppo. E poi, basta spese pazze: negli ultimi quattro anni, la dirigenza ha bruciato quasi 450 milioni di euro per rilevare i cartellini di Coutinho, Malcom, Dembélé, Griezmann, con i primi due fatti fuori in breve tempo e gli altri totalmente da recuperare, fisicamente ma anche mentalmente.

Ronald Koeman ha firmato un contratto fino al termine della stagione 2021/2022 (Josep Lago/AFP via Getty Images)

«Inutile fare nomi, non sono importanti: davanti a tutto c’è il Barcellona» ha poi salomonicamente concluso l’ex commissario tecnico dell’Olanda, la cui prima mossa ufficiale è stata quella di alzare il telefono e comunicare a Luis Suárez di cercare in fretta un accordo con la società per la risoluzione anticipata del contratto. Come il Pistolero, anche i vari Vidal, Rakitic e Umtiti non dovrebbero più far parte del progetto sportivo catalano. I problemi economici dei blaugrana, acuiti dall’emergenza Coronavirus, rappresentano un assist involontario sia per Bartomeu che per lo stesso Koeman: il primo ne approfitterà per abbattere in maniera sostanziosa il monte ingaggi, il secondo lavorerà sulle motivazioni di chi può realmente rappresentare il futuro del club. Per questo a Suarez, e non solo a lui, verrà dato il benservito.

Poi, com’è ovvio che sia, il giudice supremo rimarrà sempre e solo il campo. E, anche in questo caso, la scelta di Koeman potrebbe avere un senso: durante le sue ultime esperienze, da buon discendente di una scuola calcistica fortemente identitaria, ha spesso utilizzato il 4-3-3 come modulo di base. Un sistema, quello con tre centrocampisti e altrettanti attaccanti, che gli permetterebbe in primis di riportare finalmente Griezmann in zona centrale, come ai tempi della Real Sociedad. Parallelamente, si potrà attendere con calma il ritorno di Dembélé e rilanciare Pjanic da mezzala, chiedendo alla società pochi interventi mirati nelle zone che effettivamente hanno la necessità impellente di essere migliorate. Koeman, infine, avrebbe la possibilità di fare leva sulla propria influenza per convincere alcuni dei vecchi obiettivi di mercato ad accettare finalmente la destinazione blaugrana. Per esempio, non è un mistero che la dirigenza catalana segua da tempo Donny van de Beek, con il progetto di affiancarlo a Frenkie de Jong in una mediana tutta arancione. L’investimento economico sarebbe sicuramente ingente, ma se il calciatore si impuntasse rifiutando qualsiasi altra destinazione, ecco che l’Ajax sarebbe costretta ad abbassare le pretese.

Ragionamenti come questo sono all’ordine del giorno, soprattutto per società che – volutamente o meno – devono attraversare un periodo di spending review. E, sempre a proposito di pretoriani di Rambo, nei giorni scorsi al Barcellona è stato accostato anche Memphis Depay, leader del Lione e dei Tulipani. I due hanno un grande rapporto e il calciatore deve molto a Koeman dal punto di vista calcistico, visto che l’ex ct degli Oranje è stato l’unico in grado di intuirne veramente le doti da trascinatore, modellandogli addosso un nuovo ruolo, quello di attaccante. Nonostante abbia avuto Cruijff come riferimento dentro e fuori dal campo, il suo calcio è meno dogmatico rispetto ai dettami classici olandesi: nonostante il 4-3-3 sia costantemente al centro di ogni ragionamento tattico, Koeman talvolta ha proposto anche un 4-2-3-1 votato al dominio costante del possesso, in un processo che però non sempre ha dato i frutti sperati.

Koeman ha giocato con il Barcellona dal 1989 al 1995; il suo score totale è di 88 gol in 264 presenze, con dieci trofei sollevati al cielo (Toru Yamanaka/AFP via Getty Images)

I risultati ottenuti da Koeman con l’Olanda possono ritenersi tutto sommato positivi: gli Oranje non erano riusciti a qualificarsi agli Europei 2016 e al Mondiale 2018, mentre con il 57enne di Zaandam hanno sono arrivati alla Final Four di Nations League e hanno staccato senza problemi il pass per Euro 2020. Al di là dell’esperienza da Ct, però, la carriera del nuovo tecnico del Barça non può certo essere definita di primo piano. Anzi, tutt’altro, visto che gli unici buoni risultati sono stati ottenuti in patria tra il 2001 e il 2007, quando ha vinto due campionati alla guida dell’Ajax (secondo della storia a farcela prima come calciatore e poi in panchina, tra l’altro dopo Rinus Michels) e un’altra Eredivisie con il PSV. Il resto è tutto abbastanza dimenticabile: dall’esperienza all’AZ Alkmaar nel post Louis van Gaal, quando venne esonerato dopo sedici partite, all’avventura all’Everton, terminata dopo un anno tra gli sberleffi generali in seguito a una partenza a rilento in campionato e in Europa. In mezzo, inoltre, va segnalato anche l’esonero di Southampton, piazza in cui Koeman arrivò per prendere il posto di Mauricio Pochettino e che lasciò a causa di una brutta eliminazione ai preliminari di Europa League contro il Midtjylland. Certo, non si può certo dire che gli manchi esperienza internazionale: oltre ad aver allenato in Inghilterra e in Spagna – dove ha vinto una Copa del Rey, pagando però il fatto di essersi messo contro tre leader dello spogliatoio valenciano come Cañizares, Albelda e Angulo – ha vissuto anche una stagione al Benfica. Anche quella, però, è tutt’altro che memorabile.

Infine, va chiarita anche un’ulteriore – e forse fondamentale – chiave di lettura sui motivi che hanno spinto il Barcellona a puntare su Koeman: le alternative. Poche, difficili da convincere ad accettare l’incarico, soprattutto con il rischio di rimanere soli al comando di una situazione pronta a esplodere come una bomba a orologeria. Per questo pare che Massimiliano Allegri, mesi fa, abbia gentilmente declinato la proposta. E, sempre per lo stesso motivo, anche Mauricio Pochettino – sul quale, inoltre, pesa il fatto di essere un ex bandiera dell’Espanyol – ha detto no alla fine di una chiacchierata telefonica con Eric Abidal, direttore sportivo blaugrana. Koeman, probabilmente, è rimasto l’ultimo petalo di una margherita ormai sfogliata fino in fondo, rappresentando una soluzione rispettabile ma comunque di forte ripiego. Anche Gerard Delolufeu, che ha incrociato l’olandese durante la propria esperienza all’Everton, ha direttamente stroncato la decisione del club nel quale si è formato: «Di Koeman posso dire poco perché è un allenatore che non mi ha lasciato nulla», ha detto in un’intervista rilasciata a Radio Catalunya, «quando è arrivato all’Everton non vedevo l’ora di andarmene via». Parole pesanti, che si aggiungono alla freddezza e ai dubbi con i quali lo stesso allenatore è stato accolto a Barcellona. Di lavoro da fare ce ne sarà tanto: «Ripartiremo da una piccola fiamma e la alimenteremo per farla diventare un fuoco», ha chiosato Koeman. Sperando che, questa volta, non divampi un altro incendio indomabile.