Gonzalo Higuaín è stato legato per sette anni all’Italia, a club italiani, e tutti i suoi momenti di transizione sono stati vissuti e raccontati come un grande evento, come un possibile sovvertimento dello status quo. Nel 2013, il suo arrivo al Napoli doveva segnare la sua resurrezione – a Madrid la sua stella era stata offuscata da Ronaldo e Benzema – e doveva portare la squadra azzurra a un livello superiore, più internazionale, dopo gli anni di Cavani e Mazzarri. È andata più o meno così, anche se il percorso è stato più accidentato: è stato necessario l’intervento di Sarri, ma nell’estate 2016 Higuaín era considerato uno degli attaccanti migliori al mondo e il Napoli era diventato una squadra di culto a livello europeo, per il calcio che praticava, per ciò che aveva fatto vedere in campo. Del resto il Pipa era riuscito a centrare un record incredibile, quello dei 36 gol in una sola stagione, e la sua rincorsa aveva coinvolto un po’ tutti, era stata una vicenda trasversale, che andava al di là del Napoli.
Poi è arrivato il trasferimento alla Juventus, probabilmente l’affare più incredibile e anche più controverso nella storia della Serie A, di certo il più costoso almeno fino all’arrivo di Ronaldo. Anche allora, lo sbarco di Gonzalo Higuaín avrebbe dovuto segnare una svolta: la Juventus voleva rafforzare la sua leadership interna e posizionarsi definitivamente come un top team europeo, una doppia missione più o meno compiuta, solo che nel frattempo Higuaín è diventato sempre più marginale nel progetto bianconero, è scivolato giù nelle gerarchie, si è immalinconito. Nonostante questa situazione oggettivamente difficile, il suo passaggio al Milan venne presentato come un altro momento da kolossal, anche se poi è andata come sappiamo. Infine, la doppia reunion con il suo mentore Sarri, al Chelsea e poi alla Juventus: altre due possibilità ai massimi livelli, fuori tempo massimo o quasi, accanto a Hazard, a Cristiano Ronaldo, a Dybala, a Douglas Costa.
Proprio all’inizio della sua ultima stagione alla Juventus, Gonzalo Higuaín ha fatto capire perché la sua sola presenza generava questo “traffico emozionale”, questa attesa così carica – come quando esce una notizia sul nuovo film di Christopher Nolan o Woody Allen, sul nuovo album di Bruce Springsteen, e allora sai, perché lo sai, che alla fine potrai anche restare deluso dalla trama o dagli arrangiamenti, ma certe cose, certi momenti, certi guizzi anche isolati, ci saranno per forza, e allora ne varrà la pena. Siamo a Torino, all’Allianz Stadium, è il 31 agosto del 2019. Di fronte ci sono la Juventus di Sarri e Ronaldo e Higuaín e il Napoli di Ancelotti, difficile pensare a un incrocio più intricato di rancori misti a nostalgie. Proprio il Pipa segna un gol dei suoi, uno dei più belli mai realizzati in Italia e forse anche nella sua carriera in senso assoluto: in un attimo Gonzalo stoppa il pallone col sinistro dentro l’area di rigore, si gira e sterza col destro dribblando secco Koulibaly, e infine tira una sassata, sempre col destro, all’incrocio dei pali opposto. Secondo lo Sky Tech, l’attaccante argentino ha impiegato un secondo e 48 centesimi per fare tutto questo. Rivedendo il video, sembrano anche troppi.
Un’azione da vedere e rivedere
Sono questi i guizzi che hanno fatto grande Higuaín, anche se per un certo periodo, o solo per alcuni istanti. Abbiamo potuto goderne in Italia, è stato un grande privilegio. Basta scorrere la classifica cannonieri di questi ultimi anni per rendersi conto che pochi attaccanti puri di Serie A sono stati (o sono) così forti, così decisivi: Tévez, Icardi, Immobile, Dzeko, il suo successore Mertens, il suo compagno Dybala, ovviamente Ronaldo e oggi Lukaku. Sono otto nomi, probabilmente ne abbiamo dimenticati un altro paio, ma la sostanza non cambia: Higuaín è stato un protagonista assoluto, un centravanti spesso bellissimo da veder giocare, forse non è riuscito a rispondere bene a certe situazioni avverse – l’instabilità emotiva è sempre stato il suo limite più grande, e forse ha condizionato, se non addirittura compromesso, la sua carriera – ma ha segnato gli ultimi anni anni del campionato italiano. Proprio come avevamo pensato al momento del suo arrivo, nel 2013. Possiamo discutere sul fatto che il suo rendimento non sia stato all’altezza delle sue qualità; probabilmente è andata proprio così, ma la sensazione che la sua tecnica e la sua incisività sotto porta fossero (di molto) superiori alla media ha ammantato tutta la sua avventura con il Napoli, con la Juventus, persino nei sei mesi al Milan – con i rossoneri, infatti, è riuscito comunque a realizzare otto gol in 22 partite.
Molto spesso, nel raccontare un giocatore dal vissuto controverso, diciamo che tecnicamente non si discute. È una frase fatta che però aderisce perfettamente alla carriera e alla vita di Gonzalo Higuaín, soprattutto ora che ha lasciato la Juventus e – probabilmente – anche il calcio ai massimi livelli, per trasferirsi all’Inter Miami, nella MLS. Se il giudizio sulla sua carriera resta sospeso – magari c’è incertezza se definirla grande oppure semplicemente ottima – e se il professionista e l’uomo hanno vissuto momenti splendenti e altri più oscuri, esattamente come tutti noi, il lascito di Higuaín-giocatore, di Higuaín inteso come veicolo di intrattenimento calcistico, è enorme: la quantità, la qualità e la varietà dei suoi gol hanno portato il campionato italiano in un mondo fatto di forza e di bellezza, di letalità insospettabile, data la sua fisicità particolare, un po’ tozza, non certo esplosiva; la sua capacità di giocare con i compagni e, subito dopo, di distruggere i portieri avversari ci ha mostrato come possono essere i centravanti del futuro, egoisti quando occorre, quando è necessario, ma anche funzionali in un sistema tattico complesso. Tutte cose che abbiamo visto e rivisto, le abbiamo perse e poi le abbiamo ritrovate; a un certo punto sono diventate sempre più rare e allora la sua avventura è terminata, forse con un pizzico di rimpianto, ma anche l’addio di Higuaín deve essere vissuto, salutato, come un grande evento. Se lo è meritato, dopotutto.