Andrea Pirlo cambierà il concetto di allenatore?

Staff tecnico allargato, figure specializzate, cura minuziosa dei dettagli: oggi l'allenatore non è più un accentratore, ma un leader "illuminato". Il caso di Andrea Pirlo può fare scuola in Serie A?

Se per assurdo in qualche remoto laboratorio segreto fosse in costruzione il prototipo dell’allenatore ideale, che riunisse in un unico cervello le qualità dei migliori tecnici in circolazione, risolverebbe davvero i problemi di qualsiasi squadra al mondo? Riuscirebbe a vincere il treble ogni anno, con un top club europeo? E se sì, sarebbe anche in grado di resuscitare una squadra scalcagnata delle serie minori e di riportarla in alto? Le sfide del calcio moderno sono così stratificate ed eterogenee da farci chiedere sul serio se lo stesso profilo di allenatore – ma potremmo aggiungere: calciatore, o direttore sportivo – possa incastrarsi alla perfezione con le centinaia di situazioni, di ambienti, di gruppi di lavoro che formano le peculiarità di ogni realtà del calcio professionistico.

Messa da parte la sorpresa per l’ingaggio di Andrea Pirlo come nuovo allenatore della Juventus, la prima esperienza assoluta in panchina per l’ex Maestro del centrocampo, Fabio Paratici ha, con un’acuta espressione, sintetizzato al meglio le motivazioni dietro questa scelta: «È una decisione molto naturale, una decisione juventina». In altre parole, Pirlo incarna quei valori, che siano tecnici, caratteriali, morali, che si integrano alla perfezione con l’ambiente bianconero. È il senso profondo di quanto si diceva prima: Andrea Pirlo può essere l’uomo giusto per la panchina della Juventus, e essere il profilo completamente sbagliato per un’altra realtà. Restituendo al concetto un’altra prospettiva, si potrebbe dire che Maurizio Sarri sia stato e sia tuttora il tecnico ideale per molte squadre: molte, ma non la Juventus.

È fin troppo ovvio – e lo era sin da quando Agnelli aveva presentato Pirlo come nuovo tecnico dell’Under 23 bianconera, pochi giorni prima del clamoroso ribaltone – che la società juventina speri di ritrovarsi per le mani il nuovo Guardiola o il nuovo Zidane: per ora si può soltanto sottolineare come la figura di Pirlo condivida con i due grandi nomi della panchina sopracitati l’idea di una crescita umana e professionale all’interno dello stesso club, sviluppandone genomi e caratteri. Pirlo appartiene alla Juventus, è un’espressione di un sentire comune ad ambiente e società; è anche una faccia riconoscibile, glamour, un asset in quel percorso di costruzione di una brand identity che nella visione della società bianconera è un aspetto fondamentale.

Ma siccome l’improvvisazione non fa parte della filosofia del club, la mancanza di esperienza in panchina del Genietto bresciano dovrà essere in buona parte assorbita dalla presenza di uno staff tecnico competente e navigato. I più attenti si saranno accorti come tra i collaboratori tecnici di Pirlo ci siano due figure, il vice Igor Tudor e Roberto Baronio, che hanno già allenato in passato: Tudor lo abbiamo già visto in Italia sulla panchina dell’Udinese, oltre ad avere anche esperienze tra Croazia, Grecia e Turchia, mentre Baronio ha lavorato a livello giovanile, allenando Under 19 italiana e le squadre Primavera di Brescia e Napoli. L’idea che quindi l’allenatore non sia più un monarca assoluto, un despota che segue soltanto i suoi istinti, ma un primus inter pares di un gruppo di lavoro, è senza dubbio una conquista recente, e che nel caso di Pirlo acquista ancora maggior rilievo.

Nelle sue quattro stagioni da calciatore alla Juventus, tra il 2011 e il 2015, Pirlo ha disputato 164 partite in competizioni ufficiali e ha realizzato 19 gol; con i bianconeri, ha vinto quattro scudetti, una Coppa Italia e due Supercoppe Italiane (Joosep Martinson/Getty Images)

Del resto, il calcio, da comparto conservatore e refrattario a ogni idea di rinnovamento, negli ultimi anni ha fatto poderosi passi in avanti sotto l’aspetto della comprensione del gioco, che oggi tocca ambiti svariati e diversificati: dall’alimentazione alla Sport Science, per non parlare dell’utilizzo di dati e statistiche. E non è un caso che Pirlo si sia scelto come ulteriore collaboratore tecnico Antonio Gagliardi, a lungo responsabile dell’area Match Analysis delle Nazionali italiane. Sembrano lontani i tempi in cui, come hanno raccontato Simon Kuper e Stefan Szymanski nel loro libro Soccernomics, Roberto Mancini sconfessava apertamente gli analisti del Manchester City che gli suggerivano di battere i calci d’angolo a rientrare per avere più chance di segnare.

In fondo, l’idea dell’allenatore spigoloso che decide in totale autonomia appartiene al calcio del secolo scorso, e in qualche modo è connaturata a un’idea machista del calcio, anche nel linguaggio (l’uomo forte, il sergente di ferro, e così via). Ma non si pensi che questa nuova era “illuminata” della panchina appartenga solo a neofiti come Pirlo. Jürgen Klopp, indiscutibilmente uno dei migliori allenatori dell’ultimo decennio, ha più volte rimarcato l’importanza dei suoi collaboratori. Come una volta ha avuto modo di dire: «Non sarei nessuno senza di loro. Penso che una persona forte lo è veramente se si circonda di persone che, in certi ambiti, sono ancora più brave. Quando ho iniziato ad allenare ero da solo, ma era tanti anni fa e il mondo è cambiato. Avere queste qualità intorno è davvero importante».

Da Undici n° 34