Finalmente Everton

James, Calvert-Lewin e Ancelotti: tutti i motivi per cui il nuovo corso Toffees è partito alla grande, e può pensare in grande.

Nel 4-2 con cui l’Everton ha battuto il Brighton a Goodison Park c’è tutto l’inizio di stagione dei Toffees. È stata prima di tutto una gara divertente, giocata ad alto ritmo, non priva di errori da una parte e dall’altra, con la squadra di Ancelotti che alla fine ha saputo sfruttare la maggior qualità tecnica a disposizione e una capacità superiore di interpretare i momenti della partita. L’Everton si è preso la sua settima vittoria nei primi sette incontri del 2020/21, l’ha fatto dando la sensazione di avere una brillantezza tecnica, atletica e mentale che mancava da anni alla seconda squadra di Liverpool – non in termini di età, ma di importanza.

Questo scintillante inizio di stagione è arricchito da una lista infinita di record infranti: ad esempio Dominic Calvert-Lewin ha segnato in ognuna delle prime quattro partite di campionato, uno score che in maglia blu non si vedeva dai tempi di Tommy Lawton, ma era il 1938. DCL potrebbe ambire al titolo di attaccante migliore di questa prima parte di campionato se solo Kane non fosse in versione supereroe senza maschera: ha stappato la partita contro il Brighton segnando il sesto gol in quattro partite di campionato, a cui aggiunge una tripletta in Carabao Cup e la sensazione di giocare un calcio che fino a un anno fa non sembrava nemmeno nelle sue corde: è l’uomo di riferimento quando Ancelotti chiama il gioco in verticale; attacca la profondità quando i centrocampisti cercano lo spazio alle spalle della difesa; salta sulla testa dei centrali avversari su tutti i cross dalle fasce.

Lo stato di forma di Calvert-Lewin nasconde tra le righe l’idea che questo momento di divertimento totale dell’Everton non sia sostenibile per tutta la stagione. Qualcosa inevitabilmente cambierà: intanto il calendario inizierà a presentare avversari di un altro spessore già dalla prossima partita, il derby con il Liverpool. Poi si abbasserà la capacità realizzativa degli attaccanti: anche contro il Brighton sono arrivati quattro gol con sei tiri nello specchio, ma gli xG totali dicono che l’Everton ha segnato solo due gol in più di quelli attesi in Premier League. E finora i Toffees sono rimasti in svantaggio solo 21 minuti in totale, mai nel secondo tempo: non dover giocare contro un avversario che ha il punteggio e il cronometro dalla sua parte semplifica un bel po’ di cose.

Già dall’esordio in campionato l’Everton aveva lanciato un segnale ai naviganti: la vittoria con il Tottenham – 0-1 al termine di una gara più squilibrata di quel che dice il risultato – aveva fatto vedere una squadra diversa da quella degli ultimi anni, quel sleeping giant, il gigante dormiente, che da troppe stagioni si era abituato a una mediocrità che sembrava non voler e poter andare via. Ancelotti ha voluto costruire un nuovo sistema secondo i suoi principi, in cui posizioni e compiti variano a seconda degli interpreti e degli avversari, ma non ha rinunciato a dare all’Everton un’identità nella quale sapesse riconoscersi: la possibilità di esplodere in un gioco verticale, diretto, elettrico e rapide transizioni offensive per risalire il campo.

Il 4-4-2 con cui l’ex allenatore del Napoli aveva normalizzato la squadra al suo arrivo a Liverpool è stato sostituito da un 4-3-3 leggermente asimmetrico, punto di partenza di una formazione che deve prima di tutto avere la maturità di saper leggere la partita e i suoi momenti, e reagire di conseguenza. La difesa, ad esempio, può essere aggressiva, giocare in avanti e pressare forte sul pallone, come nei primi minuti del secondo tempo contro il Brighton, quando gli avversari sembravano in maggiore difficoltà; ma l’Everton di oggi è più a suo agio quando può rintanarsi al limite della sua area di rigore, fare blocco davanti alla porta per non concedere spazi alle spalle dei centrali e non regalare tiri facili agli attaccanti avversari.

La prima doppietta di James in Premier League, nel 4-2 contro il Brighton

Stesso discorso per il centrocampo. Si parte dalle letture difensive di Allan e Doucoré – rispettivamente mediano e mezzala destra – che hanno il compito di coprire il campo in ampiezza, dare copertura alla difesa e nel caso disporsi in verticale per schermare il mediano avversario. Il terzo centrocampista dovrebbe essere Andre Gomes, o comunque un uomo più votato al palleggio, con libertà di prendersi il pallone dai difensori e costruire sul fianco sinistro in collaborazione con il terzino Lucas Digne. I compiti però non sono immutabili: contro il Brighton l’assenza di Gomes e Allan ha dato una maglia da titolare al giovane Tom Davies (in posizione di mediano, con caratteristiche diverse dal brasiliano) e a Sigurdsson, che ha giocato da mezzala sinistra, con licenza di trovare la posizione anche più largo se necessario.

Appena recuperato il pallone il centrocampo può essere bypassato, usato solo come corridoio di transito nella verticalizzazione per i tre attaccanti. Se il già citato lancio su Calvert-Lewin è un’opzione, affidarsi al sinistro di James Rodríguez è la prima scelta. È lui a prendersi le maggiori responsabilità creative della squadra. Con un giocatore della sua caratura, con tutto quel talento a disposizione, l’equazione è piuttosto semplice: quando è coinvolto mentalmente e tatticamente, al centro del disegno del suo allenatore, e ha in mano le chiavi della manovra, può giocare un calcio celestiale, che va oltre i tre gol e tre assist nelle cinque partite disputate fin qui.

Nato nel 1997, cresciuto nel vivaio dello Sheffield United, Dominic Calvert-Lewin si è trasferito all’Everton nel 2017; da allora ha accumulato 140 presenze in competizioni ufficiali, con 41 gol segnati (Alex Livesey/Getty Images)

Era ovvio fin dall’inizio che il Diez avrebbe avuto un ruolo fondamentale ma non era scontato che fosse subito così pronto per diventare il motore del sistema. È lui a dare imprevedibilità alle azioni dell’Everton e a portarle a un livello superiore. In questo primo scorcio di stagione è stato un rebus irrisolvibile per gli avversari: contro le difese che aggrediscono alte e lasciano spazi alle spalle, James sa usare la pausa per trattenere il possesso e poi lanciare i compagni con filtranti verso la porta; contro un atteggiamento più prudente, che si preoccupa soprattutto di non lasciare spazi nell’ultimo terzo di campo, ha bisogno di una frazione di secondo per individuare uno spiraglio nel muro difensivo, associarsi con i compagni in spazi ridotti o risolverla in proprio calciando da lontano. Partendo da destra il colombiano cuce il gioco verso l’interno e disegna traiettorie che tagliano il campo sia in fase di costruzione – magari con il cambio di gioco verso il terzino opposto – sia in fase di rifinitura, cercando la traccia verso Calvert-Lewin e Richarlison, che da ala sinistra muove verso l’area per diventare una seconda punta. La chiave di volta è la qualità nei passaggi lunghi, quella che crea i maggiori scompensi nel piano gara avversario: secondo i dati Soccerment, James tenta mediamente 6,3 passaggi lunghi ogni 90 minuti (contro una media di 3,4 dei suoi pari ruolo) e lo fa con una precisione irreale, pari all’82%, mentre tutti gli altri si vanno mediamente poco sopra il 53%.

I numeri impressionanti di James – così come quelli di Calvert Lewin e di tutta la squadra – dovrebbero calare nel corso della stagione per assestarsi su una normalità più sostenibile, ma per il momento è lui a guidare la rinascita della squadra, è l’uomo simbolo. È per questo che il New York Times poche settimane fa ha pubblicato un articolo in cui parla dell’impatto che ha avuto sulla squadra di Liverpool, chiedendosi se sia uno di quei casi in cui il giocatore è più importante del club per cui gioca. L’annuncio dell’acquisto di James è stato magnifico, in tutti i sensi: la sua foto in maglia blu brillava nella notte di Liverpool sull’Albert Dock; contemporaneamente un cartellone pubblicitario a Times Square lo ritraeva con il volto sorridente; poi anche una barca a Miami Beach tinta di blu e la Torre Colpatria di Bogotà illuminata di blu con il numero 19 davano al Diez il benvenuto nella famiglia dei Toffees.

Dopo aver giocato alle dipendenze di Ancelotti al Real Madrid e al Bayern Monaco, James Rodríguez ha deciso di riunirsi con il suo allenatore preferito all’Everton: per rilevare il suo cartellino dal Real Madrid, il club inglese non ha versato una quota iniziale, ma in seguito potrebbe dover pagare dei bonus al raggiungimento di certi obiettivi (Jan Kruger/Pool/AFP via Getty Images)

L’acquisto di James è il simbolo di un Everton diverso dal passato. Avevamo raccontato qualche mese fa il lavoro della nuova proprietà del club: l’impegno dell’imprenditore anglo-iraniano Farhad Moshiri insediatosi quattro anni fa che vuole sfruttare la cornice della Premier League per creare un brand calcistico accattivante, spendibile su più livelli in tutto il mondo. Nelle prime quattro stagioni, Moshiri aveva investito circa 400 milioni di euro ottenendo in cambio un aumento degli introiti commerciali del 90% e una società con il 19esimo fatturato più alto in Europa. E ha già in cantiere il nuovo stadio, la cui inaugurazione segnerà l’inizio di una nuova fase del progetto societario. Una trasformazione che ha in Ancelotti il suo prolungamento in campo: all’allenatore italiano è stato affidato il compito di costruire una squadra ambiziosa, attraente e vincente, partendo da un nucleo di giovani come Calvert-Lewin, Keane, Davies, Kenny, Richarlison. Così l’acquisto di James diventa ancora più importante: non è un giocatore spendibile ancora sul mercato, per costi ed età, ma in campo fa da moltiplicatore di forze, è l’uomo che dà  nuove dimensioni al gioco dell’Everton migliorando i compagni, aiutandoli a crescere e a mettersi in mostra.

I giovani sono al centro del progetto, James è al di sopra delle parti, e per il momento il nuovo Everton è la squadra più intrigante d’Inghilterra. Il nuovo Everton vuole cambiare il corso della storia, vuole togliersi di dosso la polvere accumulata a centro classifica nelle ultime stagioni e cancellare l’etichetta di gigante dormiente che non è più in grado rispettare il suo passato. Ancora per qualche giorno può godersi la vetta della classifica, in attesa del derby contro un Liverpool che viene dalla sconfitta con sette gol subiti in casa dell’Aston Villa. Non potrebbe esserci momento migliore per provare a tornare grandi.