La vita è un pallone: Ilaria Mauro

Intervista all'attaccante dell'Inter e dell'Italia sulla sua carriera e sulle trasformazioni che sta vivendo il calcio: tra queste, anche quella dei palloni di ultima generazione, come il Nike Flight.

Ilaria Mauro è uno dei volti più riconoscibili del calcio femminile italiano: attaccante della Nazionale e dell’Inter, ha accettato l’offerta della società nerazzurra pochi mesi fa, dopo essere stata un simbolo della Fiorentina – con cui ha giocato quattro anni e ha vinto lo scudetto, nel 2017. Ha giocato anche all’estero, in Germania, tra il 2013 e il 2016: due stagioni al Sand, una al Turbine Potsdam e oltre 30 gol nella Frauen-Bundesliga. Con l’Italia, ha accumulato 49 presenze e 15 gol, vivendo dall’interno il il processo di miglioramento che ha portato la Nazionale Azzurra a essere considerata una tra quelle con il maggior potenziale di crescita, fino ad approdare agli ottavi di finale dei Mondiali 2019.

In virtù di una carriera così ricca, Mauro è una testimone diretta di come siano aumentate la visibilità e l’importanza del calcio femminile, ma anche di come sia cambiato il calcio in generale, anche per quanto riguarda l’avanzamento tecnologico degli strumenti di lavoro. Il pallone Nike Flight, che viene utilizzato in Serie A, in Premier League e nel campionato russo, è parte di questa trasformazione in corso. Anche Ilaria Mauro ha potuto provare in prima persona la rivoluzione aerodinamica garantita da otto anni di ricerca e sperimentazione, che hanno portato alla creazione di un pallone assolutamente innovativo: la tecnologia brevettata AerowSculpt, infatti, permette alla sfera di risentire meno degli effetti aerodinamici quando è in volo – con un 30 per cento in meno di “oscillazione” rispetto ai palloni precedenti. Questo è possibile grazie alla superficie non liscia, ma attraversata da una serie di fossette, simili a quelle di una pallina da golf. E il concetto è proprio quello: le scanalature evitano che la forza d’urto modifichi la traiettoria impressa dai calciatori, come provato dai test eseguiti con oltre 800 giocatori.

È un adattamento reciproco, dunque: i brand cercano di trovare le migliori soluzioni per i calciatori, che a loro volta devono adeguarsi alle cose nuove dall’interno, ai cambiamenti rispetto al passato. È il senso delle parole di Ilaria Mauro, che abbiamo intervistato e con cui abbiamo parlato del momento che sta vivendo e della sua carriera, ovviamente, ma anche delle trasformazioni in corso nel mondo del calcio, a partire proprio dalla rivoluzione di Nike Flight.

Ⓤ: Ilaria, hai provato questo pallone? Come vivi dall’interno l’innovazione tecnologica? Credi che ci siano veramente dei margini grossi perché il gioco possa cambiare?

Purtroppo noi non utilizziamo Nike Flight in partite ufficiali, ma ho avuto modo di provarlo spesso in allenamento. Il tempo passa e le cose si evolvono, e chiaramente questo pallone è molto diverso da un pallone di dieci anni fa: magari allora il peso faceva la differenza, poteva cambiare tutto, la traiettoria, la velocità. Quindi penso che un pallone del genere, che ti permette di controllare meglio il tuo gioco, sia migliore rispetto agli altri.

Ⓤ: Quanto ci mette una giocatrice ad adattarsi a un nuovo pallone, a una nuova innovazione? Quanto ci metti a riadattare il tuo tiro, il tuo passaggio, lo stop?  

Bisogna fare gli allenamenti, se arriva un nuovo pallone con un peso diverso, un materiale diverso, chiaramente più ti eserciti e più rapidamente riesci a ad abituarti. Durante gli allenamenti, è importante giocare tanto con la palla. Alla fine, anche gli allenamenti sono cambiati molto rispetto a 15 anni fa. Io mi ricordo quando ero al Tavagnacco, ho iniziato il femminile con loro: era il 2002, allora si correva tantissimo e si faceva pochissima palla, ora si fa tanta palla e poi si cura anche la parte atletica. Oggi la cosa fondamentale è il tocco, la sensibilità che dai al pallone. Anche il tiro da fuori, le punizioni, i rigori, il passaggio, la traiettoria: è tutto da provare. Non è che arriva il pallone magico, e noi lo mettiamo subito dove vogliamo. Forse Cristiano Ronaldo riesce a fare così, che non si allena e la mette dove vuole, o magari Messi ci riesce. Noi non ancora, però.

Ⓤ: Hai parlato del Tavagnacco, la tua prima squadra femminile di alto livello. Ma, se andiamo ancora indietro, qual è il tuo primo ricordo calcistico giocato e la diapositiva che ti viene in mente quando pensi alla prima volta che hai toccato un pallone?

Quando ho giocato con mio fratello nel cortile di casa con i suoi amici. Avevo due anni e mezzo, camminavo tipo ubriaca, e ho questa immagine di me con un pallone più grande di me (la foto che vedete in basso, ndr). Loro sono stati bravi e gentili a farmi giocare: che dei ragazzi di cinque o sei anni più grandi di me mi dicano: “ok dai vieni anche tu!” non è proprio scontato, no? Quella è la prima diapositiva, poi è stato speciale il primo giorno di allenamenti nella squadra maschile della Up Reanese, la prima con cui ho giocato tra il 1994 e il 1995. La mia carriera calcistica è iniziata lì, e sono stata fortunata perché i ragazzi li conoscevo già, perché giocavo anche a ricreazione con loro e quindi diciamo che non è stato un impatto difficile. Come ho detto era una squadra maschile, anche il mister era maschio, ma era molto socievole e disponibile: io ero l’unica ragazza in mezzo ai maschietti ma per me non è stato difficile, ricordo che dopo un po’ arrivò anche un’altra ragazza e dopo un mese disse che non faceva per lei. Io, ripeto, sono stata fortunata, perché secondo me iniziare a giocare con i maschi ti dà una marcia in più, te ne accorgi quando arrivi in Serie A femminile. Ti forma in un altro modo rispetto alle altre ragazze, dal punto di vista caratteriale, fisico, ma anche per lo stile di gioco.

Ⓤ: Come sono andati il lockdown e il ritorno al gioco, agli allenamenti? Quali sono state le nuove emozioni? È stata una nuova prima volta?

Il lockdown l’ho passato per due settimane a Firenze, poi sono salita a casa. Quindi ho fatto un bel po’ a casa con i miei. È stata abbastanza dura, ma credo sia andata così un po’ per tutti alla fine, no? Perché comunque ero abituata a fare allenamenti ogni giorno, alla solita routine, a vedere gli amici, a vedere le mie compagne di squadra. Poi mi sono ritrovata a casa, a fare gli esercizi in salotto: non è stato semplice. Poi sono tornata in campo, nel giorno del primo allenamento ho detto: “oh finalmente!”. È stato veramente come la prima volta, anzi ancora più speciale, perché poi quando ti tolgono qualcosa di importante forse te ne accorgi solo quando non ce l’hai più. Poi io, vabbè, ho una storia a parte perché poi ho fatto due settimane e poi mi sono fermata di nuovo, quindi si può dire che è stata una terza prima volta quando sono tornata ad allenarmi a tutti gli effetti.

Ⓤ: Avevi un sogno nei primi anni in cui volevi giocare a calcio? C’è qualcosa che hai già realizzato da un lato e un qualcosa che non hai ancora realizzato dall’altro?

Quando ho iniziato a giocare non pensavo a “vorrei arrivare, vorrei fare”, mi sono goduta tutti gli anni, anno per anno. Poi a un certo punto, quando mi hanno chiamato in Nazionale, lì ho realizzato che ero arrivata a giocare per l’Italia, quindi ero tra le migliori nel Paese e quindi ho iniziato a fare dei sogni nel cassetto, tipo andare all’Europeo, e ci sono riuscita. Poi volevo segnare all’Europeo e ho segnato all’Europeo. Una cosa che vorrei fare e che mi manca, ma è un po’ difficile, è segnare a un Mondiale. È difficile perché ormai il Mondiale si giocherà tra un sacco di tempo. 

Ⓤ: Ma in realtà anagraficamente ce la fai benissimo (Ilaria Mauro ha 32 anni e i Mondiali femminili si giocheranno nel 2023, ndr)

Parliamone un attimo: fisicamente dobbiamo vedere. Anche perché nel frattempo ci sono tantissime giovani che stanno crescendo e nelle ultime partite con la nazionale la CT Bertolini ne ha chiamate molte. Sono il futuro e io sono contentissima perché comunque ci deve essere un ricambio generazionale come avviene in tutta Europa. È giusto che anche in Italia ci siano ragazze nuove che portano aria nuova, io non sono una che dice: “Oh devo giocare io, oh devo fare io!”. Le giovani son il presente e il futuro, quindi ben venga il cambiamento.