Era solo questione di tempo, tra Cancelo e Guardiola

Il portoghese si è integrato nel Manchester City, e ora è un giocatore diverso.

Quando alla fine della partita dominata e vinta contro il Chelsea, Guardiola si è avvicinato a João Cancelo per complimentarsi della sua prestazione, è stato naturale ripensare al confronto tra Pep e Joshua Kimmich al termine di un Borussia Dortmund-Bayern Monaco di qualche anno fa, o alla lezione individuale impartita a Raheem Sterling subito dopo la finale di FA Cup del 2019 – finale che, tra l’altro, Sterling aveva marchiato a fuoco con una tripletta nel 6-0 contro il Watford. Questi momenti sono ormai parte integrante della comunicazione guardiolista, un cult da universo memetico che racconta come la genuina passione per il gioco e la maniacale cura dei dettagli del tecnico catalano siano l’interlocuzione primaria – talvolta l’unica possibile – tra lui e i suoi giocatori, soprattutto quelli che ha formato o sta formando in prima persona.

Quando si tratta di correggere, spiegare, confrontarsi su aspetti tattici, Guardiola non può e non vuole aspettare il rientro negli spogliatoi o una successiva riunione tecnica, non riesce proprio a farlo. Evidentemente, nessun momento gli sembra più adatto di quello in cui i calciatori rifiatano dopo il fischio finale, o sostano a centrocampo per scambiarsi saluti e magliette con gli avversari. Ma se con Kimmich e Sterling abbiamo visto all’opera il Guardiola pedagogo, che spiega quando, dove e come si è sbagliato, che una cosa fatta bene può sempre essere fatta meglio, con Cancelo siamo di fronte al Guardiola che ha visto quello che doveva vedere, cioè quello che si aspettava, quello che aveva preparato. Quindi un uomo, prima ancora che un allenatore, felice.

È una questione di prossemica e di gestualità: Guardiola sorride, scherza, dà a Cancelo – che tra i due, curiosamente, appare come quello meno soddisfatto di quanto fatto – un paio di buffetti di incoraggiamento, come il padre che dice al figlio che ha fatto bene a fidarsi di lui e a seguire i suoi consigli e che adesso non deve far altro che continuare così.


Un anno fa, di questi tempi, Guardiola aveva dichiarato che Cancelo doveva decidere «se restare e lottare per guadagnarsi il posto oppure no». Oggi il tecnico catalano dice che ha avuto ragione lui, che il portoghese «ha capito molte cose e sta facendo vedere le sue incredibili qualità» e che, in fondo, era solo questione di tempo. Per capire, per capirsi e perché Cancelo migliorasse per qualità, continuità e impatto delle sue prestazioni in un sistema dalle sovrastrutture più complesse rispetto a quelle cui era abituato, e quindi potesse diventare «un giocatore completamente diverso da quando è arrivato». Queste parole di Pep sono successive alla partita contro il Newcastle del 26 dicembre 2020: quella, cioè, in cui Cancelo si è preso definitivamente il Manchester City, tra l’altro nel corso di una stagione in cui, ben al di là dei numeri relativi ai minuti giocati – sono già 1.300 contro i 1.800 totali in tutta l’annata 2019/2020 – e alle occasioni create – 23 in 11 gare di Premier League – la reale differenza sta nel modo in Cancelo cui riesce a mettere finalmente in pratica un’idea di gioco che parte dal compito e dalle funzioni, più che dal ruolo e dalla posizione da occupare in campo.

Impiegato da mezzala destra nel 3-4-3 “a diamante” d’ispirazione bielsista, Cancelo ha agito da vero e proprio regista offensivo del City, entrando dentro il campo e occupandosi della gestione e della rifinitura di gran parte dei possessi nell’ultimo terzo: alla fine i palloni toccati saranno 104 (dieci più di De Bruyne) e i passaggi riusciti 68 (su 79 tentati). Ma, come detto, le statistiche rappresentano un elemento incidentale rispetto alla percezione visiva. La connection con Sterling è stata l’elemento decisivo per aver ragione della difesa dei Magpies, organizzata per blocchi posizionali particolarmente bassi: in occasione della prima rete di Gundogan, Cancelo è, di fatto, il trequartista aggiunto che riceve al limite dell’area, legge perfettamente il movimento del compagno ad attaccare la profondità e lo serve sulla traccia interna, in questo modo ha tagliato fuori l’intera catena di destra degli avversari; negli highlights che vedete sotto, poi, c’è un’altra azione orchestrata nello stesso modo, con un bellissimo pallonetto che cerca e trova Sterling a pochi metri dalla porta; nel raddoppio di Ferrán Torres, infine, Cancelo fa tutto da sé, sfrutta l’errore di Ritchie sulla riaggressione e costringe Federico Fernández a un intervento rischioso e a bassa percentuale all’interno dell’area piccola, e infatti il pallone finisce all’ex Valencia, che fa gol a porta spalancata.

Questo video poteva intitolarsi anche “Cancelo Skill Show”

In fase di non possesso, poi, Cancelo scalava come quarto di destra o agiva da centrocampista difensivo nelle coperture preventive  alle spalle di De Bruyne, impegnato a sporcare le linee di passaggio del duo Hayden-Longstaff. Di fatto il portoghese è diventato l’equilibratore di una squadra che ha ritrovato quella fluidità posizionale ammirata anche a Stamford Bridge: «Ha coraggio, vuole sempre il pallone tra i piedi e non ha paura di sbagliare. Lui preferisce restare più largo ma certe volte gli chiedo di giocare in questa posizione anche se non è abituato» ha detto Guardiola.

Nulla di tutto questo era però scontato accadesse. La teorica aderenza di Cancelo a questo approccio tattico si è ben presto scontrata con una realtà che, almeno all’inizio, lo ha visto in difficoltà nell’applicazione dei principi del juego de posición, soprattutto per ciò che riguarda lettura, comprensione ed esecuzione della giocata. Cancelo, in Serie A, era un terzino – anzi: un laterale – abituato a far progredire l’azione sulla base di una superiorità tecnica e fisica priva, però, di una reale coerenza associativa. Il suo problema non era, non è mai stato, la necessità di fare riferimento alla riga laterale, o la mancanza di creatività, quanto, piuttosto, di inserire le sue qualità in un contesto in cui si dovesse pensare in funzione dei compagni, non solo a a dover “reagire” in maniera istintiva a ciò che succedeva in campo.

Questo mancato inserimento in un sistema complesso inoltre lo condizionava, lo rendeva incline all’errore difensivo. «Deve sempre restare concentrato, talvolta tende a distrarsi e questo per un difensore può essere pericoloso», ha detto di lui Guardiola sempre dopo il Newcastle. La partita contro il Liverpool dell’8 novembre 2020 può essere considerata un segnale incoraggiante, se non addirittura uno spartiacque, in questo senso: schierato da terzino sinistro, per togliere spazi e iniziative ad Alexander-Arnold e Salah, Cancelo è stato autore di una prova solida, concreta e di grande intensità fisica e mentale, e così ha iniziato a smentire, o quantomeno a ridimensionare, tutte le banalizzazioni e gli stereotipi cha da sempre accompagnano il giudizio sulla sua interpretazione della fase difensiva.

Oggi Cancelo è (anche) un difensore affidabile

Al momento del suo passaggio al City, ma anche nei mesi successivi, ci siamo chiesti spesso se il matrimonio tra Cancelo e Guardiola fosse destinato a durare, proprio in previsione del tipo di lavoro che Pep avrebbe dovuto fare sull’esterno portoghese. Un lavoro diverso da quello fatto ai tempi del Bayern con e su Lahm, un altro terzino abituato a stringere la propria posizione fino a diventare un centrocampista aggiunto, ma che, per stessa ammissione del tecnico, possedeva «la stessa intelligenza calcistica di Iniesta» e, quindi, era già in possesso del background – tattico, mentale, culturale – adeguato per trasformarsi nel giocatore totale che poi è diventato; il Cancelo attuale, invece, è un giocatore che Guardiola si è dovuto inventare ex novo, prima come alternativa a Walker – sfruttando la sua naturale inclinazione ad attaccare il fondo del campo con e senza palla – poi come arma tattica di un’ipotetica catena di destra in cui il nazionale inglese agisce da terzo centrale di costruzione, e Sterling si muove da esterno offensivo puro che apre gli spazi per l’inserimento e la corsa sulla traccia interna.

E se la naturale conclusione di  questo percorso evolutivo – la trasformazione, cioè, in centrocampista, in pivote vero e proprio secondo la dicitura spagnola – sembra ancora lontana, l’assenza di Walker ha dato modo di apprezzare i progressi di Cancelo da “adaptive full back” in un sistema che ha imparato a conoscere e che lo riconosce a sua volta: questo passaggio a De Bruyne (in versione finto nueve) contro il Chelsea non è più espressione di un estemporaneo picco di creatività che risalta in un contesto piatto e lineare, piuttosto è la manifestazione applicata di concetti, movimenti e situazioni che Cancelo ha ormai interiorizzato, di cui ha piena padronanza. A 26 anni, arrivato all’apice tecnico, fisico e psicologico, il portoghese è diventato un giocatore chiave in una squadra di Guardiola quando in pochi credevano che potesse farlo. Magari neanche lo stesso allenatore ci credeva fino in fondo. E forse è proprio per questo che oggi è così felice, al punto di non poter può aspettare di rientrare negli spogliatoi per manifestarlo a lui e al resto del mondo.