L’incredibile stagione di Ilkay Gundogan con il Manchester City

Ha già segnato 11 gol, ma è solo una parte della sua importanza nel gioco di Guardiola.

Per anni ci siamo chiesti come sarebbe andata la carriera di Ilkay Gundogan se non fosse stato colpito da diversi infortuni anche gravi, se non fosse stato costretto a convivere con vari problemi e problemini fisici, insomma con quei contrattempi che di solito associamo ai cosiddetti giocatori fragili. La risposta sta arrivando in questa stagione, anzi è arrivata in maniera definitiva al termine della partita (stra)vinta dal Manchester City in casa del Liverpool: ecco, probabilmente Gundogan sarebbe stato influente e decisivo al punto da non abbattersi per un rigore sbagliato in una partita decisiva, anzi avrebbe ricominciato a giocare alla grande subito dopo l’errore, e avrebbe pure segnato una doppietta. Possiamo essere quasi certi che sarebbe andata così alla luce di quanto sta succedendo quest’anno, in virtù del fatto che la prestazione di Gundogan contro il Liverpool è solo l’apice di un’annata vissuta a ritmi incredibili, in fase realizzativa – con i suoi 11 gol in tutte le competizioni, il tedesco è il miglior marcatore stagionale del City di Guardiola insieme a Sterling – e non solo.

Tutto parte ovviamente dalla ritrovata condizione fisica di Gundogan, ma anche dai cambiamenti apportati da Guardiola per rendere (di nuovo) devastante la sua squadra. Il tecnico catalano, in questa stagione, ha ridisegnato il City secondo un modello estremamente fluido nella disposizione in campo (ad Anfield in avanti sono stati schierati Sterling, Foden e Mahrez, senza punte di ruolo) ma più rigido nell’applicazione del gioco di posizione, per cui il possesso e l’accerchiamento delle difese avversarie sono i meccanismi fondamentali per rendere efficace la fase offensiva senza squilibrare il sistema.

In un contesto del genere, un giocatore come Gundogan, una mezzala in grado di leggere in anticipo il gioco in tutte le zone del campo, diventa una risorsa preziosissima. La sua presenza in area di rigore non va vista come un’evoluzione in fase offensiva, ma come una semplice conseguenza di un assetto che favorisce, anzi esalta, gli elementi che hanno maggior capacità di prevedere l’andamento e l’esito di un’azione. Non a caso, proprio prima della gara contro il Liverpool, Guardiola ha lodato «l’intelligenza superiore» e «la capacità di risolvere qualsiasi problema» del centrocampista tedesco.

Gundogan, oggi, può giovarsi della presenza di due centrocampisti accanto a sé – di solito Rodri e Bernardo Silva, in attesa del ritorno di De Bruyne – e di un regista aggiunto come Cancelo. Tutto questo gli permette di muoversi più liberamente, di dare supporto laddove occorre: contro il Liverpool, non a caso, è stato il giocatore che ha toccato più palloni dal centrocampo in su (73). In un’intervista piuttosto recente, Guardiola ha spiegato che «ci sono pochi giocatori come lui, in grado di eccellere come centrocampisti puri ma anche come trequartista. Figuriamoci quanto possa essere importante un calciatore che riesce a fare entrambe le cose nella stessa partita». Il punto è proprio questo: i gol realizzati da Gundogan sono decisivi, ovviamente, ma sono solo una parte dell’enorme contributo che dà alla sua squadra. E, come detto, ne ha segnati tanti: nove in Premier League in meno di due mesi, a cui vanno aggiunti quelli realizzati in Champions League nelle partite contro Porto e Marsiglia, praticamente le prime giocate in questo nuovo ruolo ibrido, più libero rispetto al passato.

Liverpool-Manchester City 1-4

Il Manchester City che si è preso di forza la Premier – la squadra di Guardiola ha cinque punti in più e una partita in meno rispetto allo United – è dunque una squadra diversa rispetto al passato, che ha ridato una nuova vita e forse una nuova dimensione a tanti giocatori dal background differente: il nuovo arrivato Ruben Dias si è (già) imposto come uno dei migliori difensori d’Europa, il già citato Cancelo è diventato fondamentale come risorsa offensiva aggiunta, Foden sta trovando lo spazio che il suo talento merita. E poi c’è Gundogan: il tedesco è il simbolo di questa stagione proprio perché è l’elemento che è cambiato ed è cresciuto di più, che se prima era «un giocatore che forse sembra non brillare, ma che fa brillare gli altri» (splendida definizione inventata da Mikel Arteta) ora brilla di luce propria, senza dimenticare il contributo ai compagni, agli equilibri del gioco. È stato un peccato che abbia perso oltre 45 gare per infortunio negli ultimi quattro anni, ma ora c’è da pensare solo al presente e al futuro, a un ruolo da protagonista in una squadra che ha ricominciato a essere dominante, divertente, e che può puntare davvero a vincere tutto.