Lo spirito della montagna

Come è nato l'immaginario alpino come lo conosciamo oggi? Un libro fotografico indaga Cortina e la rappresentazione contemporanea della montagna.

Le immagini e il testo di questa pagina sono tratti dal libro La Valle tra le cime e le stelle (Quodlibet, 2021, pp. 168), un libro fotografico realizzato da Gianpaolo Arena e Marina Caneve nell’ambito dell’Osservatorio Cortina 2021, progetto di ricerca artistica in cui, attraverso l’uso della fotografia, sono stati investigati il territorio e l’arco temporale in cui sono andati costituendosi i Campionati del mondo di sci alpino di Cortina 2021. Nel corso della ricerca, durata tre anni, gli autori hanno documentato i momenti chiave della costruzione dell’evento sportivo, ma hanno anche guardato al territorio e alla sua storia ricercando le tracce del legame tra sport e montagna. Nel testo che vi proponiamo, estratto da una conversazione degli autori con la fotografa e curatrice Giulia Ticozzi, si parla di Cortina ma anche dello spirito della montagna, e di come è cambiata la sua rappresentazione nel corso del tempo.

Giulia Ticozzi (GT): Chi ha diritto di parlare di montagna oggi? Se guardiamo a questo luogo come a uno spazio conteso – cioè sempre esistito ma di volta in volta reinterpretato e usato in maniera diversa – la domanda è necessaria. La questione dell’identità è duplice. In montagna si è sempre vissuto ma solo recentemente – tra il Settecento e l’Ottocento – si è iniziato a raccontarla e quindi a rappresentarla. Di chi è la montagna?

Marina Caneve (MC): Nel Settecento i montanari vivevano in montagna confrontandosi con le sue complessità e i suoi limiti. Il concetto di vivere in montagna e di limite, in particolare nel secondo Novecento, è stato completamente stravolto. Le radici di questo stravolgimento sono tuttavia lontane, basti pensare alle ardite imprese di fine Ottocento, come per esempio la tanto voluta ascesa con conseguente tragica caduta dal Cervino del 14 luglio 1865. Da sempre, sia i viaggiatori, sia gli abitanti stanziali, si sono dovuti confrontare con i limiti imposti dalla natura del vivere o fruire la montagna. La montagna – come l’ambiente tutto – non è di nessuno, è abitata in maniera diversa da persone che ne fanno usi completamente diversi. Oggi, paradossalmente, è molto più faticoso vivere in montagna per chi ha bisogno di spostarsi molto per lavoro rispetto a chi vuole raggiungere la mitica cima della Tofana pur avendo difficoltà motorie. Gli scenari sono effettivamente in profonda e radicale mutazione.

GT: Forse, prima, l’ascesa alla vetta della montagna era solo un’operazione da mistici o da invasati. In diversi passi e citazioni si trovano storie che raccontano un salire rituale non con uno scopo esplorativo ma per rimarcare una conquista, un potere su un luogo, per celebrare un’autorità politica – penso ai confini – oppure religiosa. Oggi salire ha uno scopo diverso?

MC: Nell’architettura del potere il capo, il padrone, ha una posizione privilegiata; basti pensare alla struttura delle fabbriche antiche dove la cabina di comando si trovava sempre un piano più in alto, in modo che si potesse controllare quello che succedeva sotto. Anche se pensi alla fotografia, il punto di vista dall’alto è un punto di vista che ha a che vedere con il potere, con il controllo e in un certo senso con il “sovrastare” il soggetto fotografato. Con il punto di vista alto il fotografo non si nasconde ma anzi si manifesta e mette in chiaro la propria posizione. Nei nostri tre anni di esplorazione di Cortina e i dei suoi dintorni, per esempio, abbiamo incontrato alpinisti e turisti di moltissime nazionalità, li abbiamo visti salire a piedi con fatica o più “comodamente” attraverso gli impianti di risalita; abbiamo incontrato lavoratori stagionali o habitué locali. Arrivare in alto ci mostra la vastità del paesaggio e sicuramente ha a che vedere con la meraviglia. Arrivare a piedi ha a che vedere con la conquista e la forza fisica. Walter Bonatti diceva che «Le grandi montagne hanno il valore degli uomini che le salgono, altrimenti non sarebbero altro che un cumulo di sassi».

GT: Antonio De Rossi, nel libro La costruzione della Alpi (Donzelli, 2016), ci racconta che le Alpi – o almeno l’idea che abbiamo delle Alpi oggi – non sono sempre esistite, ma che sono frutto di un’operazione conscia di modifica del territorio per l’economia, il trasporto, il tempo libero, che nasce dalle prime rappresentazioni (di scrittura ma anche e soprattutto di immagini) dei viaggiatori. Pensare che quelle viste, quegli scorci, quel tipo di rappresentazione possano avere influenzato le architetture e il modo in cui la montagna è stata utilizzata e sfruttata pone una grande responsabilità su chi decide di raccontarla. Il modo di guardare determina il modo in cui si sono costruiti molti hotel e strutture ricettive per il turismo. Rappresentare è riconoscere. Fissare. Formalizzare. Il paesaggio è qualcosa che c’è o qualcosa che viene dato?

MC: Se penso alle Dolomiti mi affascina un personaggio, la viaggiatrice e scrittrice Amelia B. Edwards, che nel 1872, invece di seguire le tappe tradizionali del grand tour si mosse sulle tracce di Tiziano e decise con un’amica di recarsi nel Cadore. Da quel viaggio di donne con gonne lunghe, attrezzatura per campeggiare e strumenti per il disegno nacque Cime inviolate e valli sconosciute. Vagabondaggi di mezza estate nelle Dolomiti, un preciso strumento di identificazione dei gruppi rocciosi e al contempo un romanzo. La montagna viene già quindi raccontata dai viaggiatori; i montanari, più che raccontarla, tramandano storie e leggende che servono da monito alle generazioni future per comprenderla e poterla vivere. Mi chiedo, a questo punto, chi oggi racconti la montagna e a chi venga raccontata. Da un lato viene raccontata ai viaggiatori, a chi ricerca l’esotico, il natural-bucolico, dall’altro ci sono gli stanziali, ma qui si apre una serie di distinguo tra gli abitanti dell’alta montagna, che vivono di attività legate alla montagna in sé, e i cittadini o cosiddetti pendolari della montagna, che in qualche modo la vivono solo come scenario della partenza e del rientro a casa. La questione che penso dovremmo tenere sempre presente quando cerchiamo di parlare di montagna è che si tratta di un organismo complesso e non semplicemente riassumibile in elementi puntuali e un numero esiguo di stereotipi.

GIANPAOLO ARENA: Nell’Ottocento, così come nel secolo precedente, il viaggio in Italia rappresentava una tappa quasi obbligata nel processo di formazione degli artisti europei. Questa fortunata élite di viaggiatori era costretta ad attraversare le Alpi e in pochi resistevano alla tentazione di mettere nero su bianco la meraviglia e lo stupore vissuti di fronte a un tale spettacolo. Così, un importante apparato iconografico è stato tramandato fino ai giorni nostri. Oggi, allo stesso modo, un visitatore in montagna cade nella stessa tentazione; gli strumenti e i dispositivi di registrazione utilizzati però sono differenti. Naturalmente sono molto diverse le finalità che provocano l’interesse di un ricercatore (analisi/scienza), di uno sportivo (agonismo/performance) o di un turista (esperienza/ status sociale). In rare occasioni possiamo testimoniare l’incontro di un uomo con il tempo della montagna. Ogni azione o trasformazione umana contiene il tempo e lo spazio della trasformazione stessa. Una montagna occupa apparentemente sempre la medesima posizione. Stabile, solida, ferma.

Eppure ogni montagna è in continuo movimento e in perenne trasmutazione. Il più delle volte lentamente mobile, talvolta repentinamente manifesta. Tuttavia, per chi non ne ha una conoscenza superficiale, è evidente che la percezione umana del rilievo non è mai uguale a sé stessa. La storia dell’incontro tra gli uomini e le montagne è affidata al racconto di mitiche esplorazioni alpinistiche e all’epica eroica, circondata però da un’eccessiva prosopopea. La ricerca di una più o meno sopita wilderness, un luogo ideale della mente dove poter appagare un desiderio sia esplorativo che percettivo. La fatica e la difficoltà di raggiungere alcuni luoghi rappresentano ancora un elemento di scarto, di discriminazione e di momentanea separazione tra l’uomo e il raggiungimento della meta. La vetta di una montagna, con la stessa irresistibile forza d’attrazione di un abisso, esercita una passione magnetica su ogni scalatore. Che cosa succede nella mente di un uomo non appena si avvicina alla vetta di una montagna?