C’è una storiella che più di altre fa capire la natura vulcanica di Patrizio Bertelli, il patron di Luna Rossa. Nel 1993, un giovane velista riminese viene chiamato in Argentario per un allenamento sul Nyala, una bellissima barca d’epoca. Non conosce personalmente l’armatore e quando al rientro in banchina sente una voce ad altissimo volume in banchina, che rimprovera l’equipaggio, risponde a tono senza pensarci un attimo: «Ma cosa urli, chi c…. sei?». Gelo totale a bordo e una frase del signore prima urlante: «Bravo, io sono Patrizio Bertelli. Dammi solo cinque minuti per decidere se cacciarti subito o tenerti in equipaggio». Tutto autentico, lo racconta sempre Massimiliano Sirena, skipper e direttore tecnico del team che ha appena conquistato la Prada Cup e si appresta a sfidare Emirates Team New Zealand per inseguire il sogno italiano dell’America’s Cup. Da quel primo incontro-scontro è nata una storia, l’incauto prodiere ha scalato tutti i ruoli e ora è l’uomo di fiducia assoluta.
“Il Bertelli” è fatto così, ha bisogno di prendere le misure a chi non lo conosce, anche bruscamente. Può essere che la scarsa empatia resti, più facile creare un rapporto sincero (con netta preferenza per chi condivide le sue passioni: vela, Porsche, vino e cucina toscana) oppure entrare a corte, condividendo le sorti alla pari. «Bertelli è molto esigente con se stesso, e quindi anche con gli altri. O giochi al suo livello o lui ti manda via», disse un suo ex manager. Del resto è diventato potente in un mondo come quello della moda dove gli squali sono più pericolosi di quelli dell’Hauraki Gulf, dove Luna Rossa – dal 6 marzo – tenterà l’impresa del secolo per la vela italica. «Ce la giocheremo sull’esperienza e sulla qualità della nostra strategia. Nel 2000, rispetto a Black Magic, eravamo molto distanti, questa volta no».
Già, il 2000. Sino a quell’anno, Bertelli è “semplicemente” il marito della signora Prada: la Miuccia che colleziona copertine e interviste, amica di artisti e Vip. Lui gestisce l’impero e da tempo coltiva la voglia della Sfida della Sfide, non più sazio delle mille regate sulle barche d’epoca. Ma al tempo stesso è attratto da nuovi mercati per la sua produzione: l’America’s Cup agli antipodi non è male. È il febbraio ‘97 quando nello studio milanese di German Frers, grande progettista, parte il progetto e si scelgono le linee guida: le barche da acquistare per gli allenamenti, il club per lanciare la sfida (lo Yacht Club Punta Ala), gli uomini chiave che saranno il designer Doug Peterson, l’asso brasiliano Torben Grael, lo skipper napoletano Francesco De Angelis, il veterano Rod Davis come allenatore. L’equipaggio annovera molti velisti italiani di livello.
Si punta a vincere: il budget è di 50 milioni di dollari e dopo gli allenamenti nel Tirreno, il team si trasferisce nel gennaio 1998 ad Auckland per prepararsi alle regate nel golfo di Hauraki. Il primo scafo nuovo – ITA 45 – scende in acqua il 5 maggio 1999. Si chiama Luna Rossa: la storia ufficiale racconta che il nome sia nato nella mente di Bertelli dal sorgere di una grande luna piena e rossastra, in una sera d’estate durante una cena trascorsa a parlare di barche a Tirli, nei pressi di Punta Ala. La versione di Miuccia è che il nome sia stato studiato da contrapporre a Black Magic.
Il mito di Luna Rossa, prima dopo le selezioni, nasce nella finale contro America One per la Louis Vuitton Cup: lo skipper è un vecchio amico dell’Italia quale Paul Cayard – il “regista” de Il Moro di Venezia – diventato nemico. Lo scontro resterà nella storia dell’evento anche grazie alle dirette televisive su TMC. È una serie da infarto: prima sull’1-1, poi 3-1 per Luna Rossa, poi 3-4 per America One che pare avere una marcia in più. Tutta l’Italia fa nottata – colpa del fuso orario – per seguire le regate: non si parla d’altro a scuola, nei bar, sul lavoro. Giornali e televisioni aprono con la vela tra spinnaker scoppiati, vele in acqua, penalità e insulti, capolavori ed errori. I nostri rimontano ed è 4-4 per 37 secondi. La nona regata, il 6 febbraio 2000, è senza un domani: i 34 secondi di vantaggio alla prima boa vengono difesi esemplarmente dal team di De Angelis e Grael. È fatta: apoteosi per Bertelli e i nostri eroi che arrivano alla sfida contro i detentori. In Italia si coltiva la speranza dell’impresa leggendaria, ma subito vira in un sogno irrealizzabile. Black Magic è un missile, portato da un equipaggio composto in buona parte dai veterani di San Diego con Sir Peter Blake – divinità velica e dell’avventura per mare – a guidarlo da terra. È un 5-0, fatto di distacchi non tremendi ma con la sensazione che di più non si potesse fare.
Un ventennio dopo, Luna Rossa è ancora ad Auckland: sono cambiate più volte le barche dell’America’s Cup, le regole e le persone. Ma il patron aretino è ancora qui, o meglio segue da casa per non mollare l’azienda in un momento complicato. Nel 2012 si è meritato un posto nella Hall of Fame dell’America’s Cup per la sua dedizione, paragonabile a quella coltivata dai miti passati: Harold Vanderbilt, Sir Thomas Lipton, il barone Bich, Ted Turner… Perché nell’era moderna, non esiste armatore arrivato in più occasioni alla finale degli sfidanti. Dopo quella felice nel 2000, Luna Rossa nel 2007 e 2013, rispettivamente a Valencia e San Francisco, si trovò di fronte il muro insormontabile di Emirates Team New Zealand: sconfitte pesanti che gli fecero dare l’addio all’America’s Cup, mai in modo sereno. Del resto, in un’altra occasione – l’edizione del 2017 – rovesciò il tavolo rinunciando a disputarla (giustamente) per una furbata creata ad arte dal detentore Oracle Team.
Ma per fortuna, cambia regolarmente idea: la passione è troppo forte, la voglia di non sfigurare resta enorme. A questo punto, l’equipaggio di Luna Rossa Prada Pirelli ha un ulteriore motivo di pressione: se perde la finale si rischia l’ennesimo addio, forse definitivo a 75 anni di età e dopo 50 di vela. Bisogna vincere, quindi. Per la cronaca, sembra che il patron abbia già la promessa di Ernesto Bertarelli – il signore di Alinghi – di tornare clamorosamente in acqua come Challenger of Record nel caso i nostri facessero l’impresa. Diavolo di un Bertelli.