Ci sono molti giocatori afroamericani che chiedono che Kobe Bryant sia il nuovo logo della Nba

Ma non tutti sono d'accordo, anche per via di alcune ombre sul passato di Kobe.

La storia del logo Nba è mitica ma controversa, nello stesso tempo: la celeberrima sagoma bianca in campo rossoblu è riconosciuta – ancorché non ufficialmente – nelle fattezze di Jerry West, vincitore del titolo nel 1969 e medaglia d’oro olimpica nel 1960 come giocatore, poi sette volte campione Nba come general manager – non a caso il suo soprannome è appunto “The Logo”. West, però, non è mai stato contento di questa associazione: meno di un anno fa, durante un’intervista a The Jump, ha dichiarato come a lui non piaccia mettersi al centro dell’attenzione, «perché non sono fatto così: se cambiassero il logo sarei felice, anzi vorrei che lo facessero».

Ora si sta aprendo una nuova polemica intorno a una possibile modifica dello storico logo: è merito/colpa di Kyrie Irving, che ha rilanciato sui social l’idea di utilizzare Kobe Bryant – una sua foto o la sua silhouette stilizzata, come nel caso di West – come nuovo simbolo del campionato. Nel post Instagram in cui ha avanzato questa vecchia proposta, Irving ha scritto «BLACK KINGS BUILT THE LEAGUE», e in questo modo ha colto un punto importante: la Nba è cambiata molto rispetto al 1969, anno di adozione dello storico logo raffigurante West, oggi è una lega con una fortissima presenza afroamericana, anzi secondo i dati raccolti da The Institute for Diversity and Ethics in Sport il 74,2% dei giocatori tesserati si identifica come nero o afroamericano, tra l’altro con 22 squadre iscritte in più rispetto al 1969. 

Il post di Irving è stato condiviso anche da Vanessa Bryant, vedova di Kobe, e ha ricevuto quasi 1,3 milioni di like. Gli endorsement più significativi sono però quelli di altre personalità della Nba, che in qualche modo sostengono questa campagna anche per riallineare la lega ai tempi moderni. Secondo Kendrick Perkins, ex centro campione con i Boston Celtics nel 2008, «Kobe è un’icona e la Mamba Mentality è l’approccio che ogni giocatore del campionato dovrebbe avere, perché la crescita e il miglioramento personale sono alla base dello sport, professionistico e non. In virtù di tutto questo, sono sicuro che la maggior parte dei giocatori Nba non si opporrebbero se una sua foto o una sua rappresentazione diventassero il nuovo logo della lega. Anche Michael Jordan sarebbe d’accordo».

Ovviamente non ci sono state dichiarazioni ufficiali da parte di Jordan e del suo entourage, ma le parole di Perkins intercettano un sentimento che in realtà esiste già da tredici mesi, dalla notte in cui Bryant perse la vita in un tragico incidente in elicottero: la petizione su Change.org lanciata poche ore dopo la sua morte ha raggiunto 3,2 milioni di firmatari in tutto il mondo, e anche Bismack Biyombo – centro degli Charlotte Hornets nonché vice-presidente della National Basketball Players Association (NBPA) – ha dichiarato che «omaggiare Kobe in questo modo sarebbe un’occasione per riconoscere quanto ha fatto in nome del basket».

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Kyrie (Kaire) (@kyrieirving)

Questa storica trasformazione estetica, però, non convince proprio tutti. Una delle voci contrarie registrate è stata quella di Doc Rivers, allenatore afroamericano dei Philadelphia 76ers: «Se la Nba dovesse decidere di modificare il suo logo, per me sarebbe giusto celebrare Michael Jordan. Ma non penso che dovrebbe essere cambiato per amore del cambiamento. Di solito le cose cambiano a causa della storia, se si scopre qualcosa che cambia veramente il corso delle cose. Jerry West meritava di essere il logo, e personalmente non ho problemi a sentirmi rappresentato da una sua immagine.Anche perché cosa faremo in futuro? Cambieremo il logo ogni dieci o vent’anni? Penso che dovremmo tenerlo».

La Nba sembra dello stesso avviso di Rivers, per diverse motivazioni, pratiche e non solo. Innanzitutto, il logo storico è fortemente radicato e perciò immediatamente riconoscibile a livello mondiale, e quindi modificarlo costerebbe tantissimo in termini di progettazione e promozione, e inoltre si potrebbero registrare delle perdite economiche, quantomeno nel primo periodo di adozione di un nuovo simbolo. Un altro problema finanziario potrebbe nascere nel momento dell’acquisto dei diritti per la riproduzione di una foto e/o di una silhoutte che richiami ufficialmente un giocatore o ex giocatore, specie se dovesse trattarsi di un’icona globale come Bryant o anche lo stessi Michael Jordan. Infine, come spiega anche SB Nation in questo articolo, nel caso di Bryant si porrebbe anche un problema etico: nel corso della sua vita, Kobe ha dovuto affrontare anche un procedimento giudiziario a suo carico per stupro, «dal quale è uscito assolto ma che si è risolto privatamente in via extragiudiziale. Nessuna delle prove raccolte può indicare che Bryant sia colpevole oltre ogni ragionevole dubbio, ma questa vicenda gli preclude automaticamente anche di diventare il nuovo logo della lega. Semplicemente non è appropriato rendere Bryant il volto della Nba, indipendentemente da quanto leggendaria sia stata la sua storia in campo».

Anche il Washington Post, in un editoriale, si è schierato contro la battaglia di Irving: «È abbastanza problematico affermare che Bryant sia un cittadino così esemplare da poter essere eletto a rappresentante eterno della lega: nel 2003, Bryant ha confessato in lacrime di avere rapporti sessuali con una donna che lo ha accusato di stupro prima di far cadere le accuse; inoltre, la lega lo ha multato per aver proferito un insulto omofobo. E se pure si dovesse optare per cambiare il logo, ci sarebbero diverse personalità afroamericane che meriterebbero più di lui questo riconoscimento, proprio per aver avviato quelle battaglie socio-culturali che oggi permettono alla Nba di essere così inclusiva: si tratta di Abdul-Jabbar, Oscar Robertson, Wilt Chamberlain o Bill Russell, oppure ancora Zaid Abdul-Aziz e Julius Erving. Questi sono i veri “Re Neri”, quelli di oggi sono principi che hanno beneficiato delle impronte lasciate da chi li ha preceduti».