Perché vogliamo che i calciatori facciano solo i calciatori?

Ibrahimovic a Sanremo dimostra che il posto di un calciatore non dovrebbe essere soltanto in campo.

Nella serata inaugurale della 71esima edizione del Festival di Sanremo, Zlatan Ibrahimovic si esibirà in un duetto con Siniša Mihajlovic: canteranno “Io vagabondo” dei Nomadi, punto di arrivo di un’amicizia nata in uno Juventus-Inter del 2005 con una testata di Ibrahimovic a Mihajlovic. Tre giornate di squalifica per lo svedese: Sinisa, credo che questo sia l’inizio di una splendida amicizia, hai mai sentito parlare di Rick Blaine e Louis Renault?

La maggior parte delle cose che succedono nel calcio succedono in posti che non sono il rettangolo di gioco, in momenti che non sono i 90′ più recupero che costituiscono una partita. Eppure noi (i tifosi, gli appassionati, gli interessati) viviamo soltanto quei 90′, osserviamo solo ciò che succede in quel rettangolo e ci convinciamo che il calcio sia solo quello, stia tutto lì dentro. È per questo che il duetto sanremese tra Ibrahimovic e Mihajlovic dà questa sensazione di stranezza: quando è che questi due sono diventati amici? Noi dove eravamo, che stavamo facendo, da che parte stavamo guardando, perché non c’erano le telecamere e l’inviato di Sky a darci i dettagli di questa Casablanca calcistica? Certo, prima del ritorno al Milan s’era detto, letto, scritto di Ibrahimovic vicinissimo a firmare con il Bologna, ma solo perché sulla panchina rossoblu c’era Mihajlovic. Ma tutto quello che succede o non succede in periodo di calciomercato ha una spiegazione capace di fugare ogni dubbio, di riportare ordine in mezzo alla stranezza: se succede è perché ci sono tanti soldi di mezzo, se non succede è perché non ce ne sono abbastanza, l’amicizia con l’allenatore non c’entra nulla, tanto più che un’amicizia nata fuori dal campo e che contraddice quanto nel campo abbiamo visto succedere è senza dubbio un glitch nella matrice. Ma questa cosa di Sanremo proprio non si spiega: Ibrahimovic è un miliardario capace di strappare un contratto da 7 milioni di euro netti a 40 anni, un’età alla quale la maggior parte dei suoi colleghi è già uscita dalla forza lavoro calcistica. Duecentocinquantamila euro per cinque serate a Sanremo, di cui una passata a fare il karaoke con Mihajlovic, Amadeus e Fiorello, come si spiegano? Raiola dov’era quando il suo assistito ha firmato questo contratto? Perché la dirigenza rossonera ha acconsentito un’uscita così «inspiegabile» (Silvio Berlusconi) e «irrispettosa» (Fabio Capello) da parte di un dipendente profumatamente pagato e altissimamente considerato?

Non siamo abituati a pensare ai calciatori che camminano su una superficie che non sia l’erba verde del campo, che vivono momenti che non siano scanditi dai fischi degli arbitri, dalle urla degli allenatori, dai cori dei tifosi. “Fuori dal campo” è un’espressione che spesso usiamo per definire il luogo e il tempo in cui stanno i problemi, i difetti dei calciatori: “in campo è/era un fuoriclasse, ma fuori dal campo è/era…”. La vita dei calciatori si esaurisce nella spola tra campo e spogliatoio, nell’allenamento che è preparazione teorica, nella partita che è realizzazione pratica. Ibrahimovic sul palco dell’Ariston mette a disagio perché… Perché che ci fa lì? Perché ha addosso un completo Dsquared2 e non quello con lo stemma del Milan cucito sul taschino della giacca? Perché ha un microfono in mano e non il pallone tra i piedi?

Sono convinto che Ibrahimovic abbia lasciato il taekwondo e si sia concesso al calcio solo per vanità: quante persone avrebbero conosciuto il suo nome se fosse rimasto a scalciare sul tatami? Se fosse arrivato in cima alla montagna del taekwondo e avesse guardato in basso, quanti sconfitti avrebbe riconosciuto e umiliato con lo sguardo? I numeri servono a risolvere le questioni di grandezza ed è evidente che per Ibrahimovic lo sport è una questione di grandezza: lui è più grande della Torre Eiffel, che i tifosi del Psg dovrebbero avere la gentilezza di sostituire con una sua statua; è più grande del baseball, sport al quale gli americani farebbero meglio a tornare ora che lui non gioca più a Los Angeles; lui è più grande del Manchester United, “so United, welcome to Zlatan”. La megalomania è parte del personaggio e probabilmente anche della persona, nonostante quest’ultima si sforzi tanto di nasconderla sotto strati e strati di (auto)ironia: ogni tanto, sentendo parlare Ibrahimovic, mi torna in mente quella gag dei Simpson in cui un ragazzo chiede all’amico se sta facendo il sarcastico e l’amico risponde che non lo sa più nemmeno lui.

Tornando alla megalomania: esiste un evento più megalomane di Sanremo? La scalinata che prima o poi costerà l’osso del collo a qualcuno, la gara più estenuante di una Royal Rumble (per il pubblico, certo, ma anche per i cantanti: chiedete a Nigiotti), gli ospiti italiani sempre troppo scazzati per stare al gioco con convinzione e quelli stranieri che servono solo a ricordarci a che punto del ‘900 ci siamo fermati (non posso spiegare questa ultima affermazione in nessun modo se non ricordando Carlo Conti che chiede a Elton John “do you wanna flower”, omaggio floreale tradizionalmente riservato alle donne che salgono sul palco dell’Ariston): esiste un contenitore migliore di questo per l’ego goffamente, fintamente smisurato di Ibrahimovic? In fondo abbiamo sempre saputo sarebbe arrivato qui, lo sappiamo dalla prima volta che lo vedemmo scendere in campo con “Zlatan” stampato sulla maglietta dell’Ajax: questo fa le cose come non dovrebbero essere fatte. È la stessa sensazione che ci diceva che “Il mio amico Eric” si poteva prevedere già in quel colletto alzato e quella maglia del Manchester United con scritto “moi” invece di Cantona, che ci suggeriva che la trasmissione La Noche del Diez era solo la fine di quel riscaldamento ballato cominciato da Maradona nel 1989 sul campo del Bayern Monaco. Alcuni di loro sono diversi, sono speciali.

Dal canto suo lo svedese, professionista se mai ce n’è stato uno, ha preso l’impegno con la serietà del lavoratore autonomo che deve rispettare le scadenze tassative: per non far mancare niente al Milan sta portando con sé nella trasferta sanremese un preparatore atletico e un fisioterapista che gli daranno una mano con gli allenamenti in riva al mare; per essere all’altezza del Festival, invece, si è già dimostrato provetto gaffeur consigliando a LeBron James di lasciar perdere la politica e di concentrarsi solo sulla pallacanestro, una variazione sul tema dello “shut up and dribble” tanto detestato da LBJ. Quanta differenza c’è tra questa uscita di Ibrahimovic e Amadeus che l’anno scorso descriveva ogni donna che lo avrebbe affiancato nella conduzione del Festival con un vocabolario la cui ampiezza copriva tutte le sfumature che ci sono tra bella, molto bella e bellissima, addirittura arrivando a riconoscere a Francesca Sofia Novello il “merito” di sapere stare un passo indietro rispetto al suo compagno Valentino Rossi? Il chiacchiericcio prima del Festival è necessario tanto quanto le polemiche dopo e i fiori nel mezzo. Ibrahimovic ha fatto la sua parte e per 50mila euro a serata è andato a scomodare addirittura lo sportivo più famoso del mondo: un affare, alla fine alla Rai saranno contenti. Per quanto riguarda LBJ: della sua risposta stupisce e rimane solo il fatto che sappia chi è Ibrahimovic, per il resto non è sembrato particolarmente scosso dall’ennesima fesseria detta da un bianco ricco e privilegiato sulla lotta alla discriminazione razziale e sul ruolo che gli sportivi possono avere nei conflitti sociali.

Da quando è tornato al Milan, nel gennaio 2020, Ibrahimovic ha giocato 41 partite ufficiali di tutte le competizioni, con 27 gol realizzati (Marco Bertorello/AFP via Getty Images)

Ho letto molto imbarazzo, molto scontento attorno alla partecipazione di Ibrahimovic a Sanremo, abbastanza da dover spingere Paolo Maldini a precisare che ha fatto tutto il calciatore e che la società ha scoperto la cosa solo dopo il rinnovo del contratto (l’egemonia è questa cosa qui, comunque). Il fatto è che consideriamo i calciatori come fenomeni adatti a un solo baraccone: il nostro, quello di metà settimana, del weekend, della pausa per le Nazionali se proprio non abbiamo niente di meglio da fare. Fuori dal tendone dell’abitudine li viviamo con l’amorevole imbarazzo riservato a Totti che va all’Ariston una volta per amore di Ilary Blasi e un’altra volta per amicizia nei confronti di Maurizio Costanzo, li tolleriamo con l’accondiscendenza concessa a Cassano intervistato da Antonella Clerici. Fuori dal luogo delle loro vite (il campo) e dall’eternità delle loro esistenze (la partita) li accettiamo solo se tengono addosso i segni del calcio: va bene se Roberto Mancini nel 1999 va ospite a Sanremo, ci va perché Fabio Fazio conduce e Fabio Fazio tifa la Samp; va bene se tutta la Juventus sale sul palco nel 2003 e si esibisce in una cover di “Il mio canto libero” di Lucio Battisti, è per beneficenza e comunque cantano una sola canzone e poi tornano alla Continassa (anche se all’epoca la Juve ancora non era alla Continassa), mica c’è Trezeguet che resta perché deve aiutare Pippo Baudo, Serena Autieri e Claudia Gerini a presentare Iva Zanicchi, in gara con “Fossi un tango” (finirà ultima, si prenderà la rivincita entrando in politica); va bene persino Marcello Lippi che canta con Emanuele Filiberto, Pupo e Canonici, perché il nazionalismo lo si sconfigge solo ridicolizzandolo; vanno bene Antonio Conte e Cristiano Ronaldo, perché tanto chi si ricorda che ci sono stati.

Ma Ibrahimovic è diverso: non è un ospite e non fa la comparsa e non è lì a fare il ragazzo immagine dell’A.C. Milan, va a Sanremo a presentare il Festival della Canzone Italiana assieme ad Amadeus e a Fiorello. Canterà e chissà cos’altro, farà cose che non sono giocare a pallone e sfiderà quella rassicurante certezza secondo la quale i calciatori sono un po’ meno che persone e un po’ più che circensi (quanto meno per questioni reddituali). È una sicurezza di cui abbiamo bisogno, questa: i calciatori sembrano banali perché sono banali, non certo perché gli vengono poste sempre le stesse domande; i calciatori sembrano vuoti perché sono vuoti, non certo perché impediamo loro qualsiasi forma di espressione che non sia stata precedentemente approvata dall’ufficio stampa della società. Sono loro, non siamo certo noi. È meglio così per tutti: quanti danni porterebbe all’autostima collettiva scoprire che i calciatori possono essere brillanti, simpatici, divertenti? Quanto verremmo cambiati dalla consapevolezza che Zlantan Ibrahimovic sta sul palco di Sanremo meglio di quanto ci sia stato Gabriel Garko?