Davvero Ronaldo alla Juve è stato un fallimento?

Doveva trascinare la squadra alla vittoria in Champions, così non è stato: basta per valutare negativamente la sua avventura in bianconero?

Sessantuno tocchi, la quasi totalità lontano dall’area avversaria, zero dribbling riusciti, sette duelli aerei persi, cinque tiri tentati, di cui due in porta, innocui. È la fotografia della partita di Cristiano Ronaldo contro il Porto, la notte più nera della stagione della Juventus: una squadra costruita per vincere in Italia e in Europa che si arrende agli ottavi di finale di Champions (per il secondo anno consecutivo) contro un avversario organizzato e poco più. È stata una delle recite peggiori di Ronaldo da quando è in bianconero, se non la peggiore, proprio nel palcoscenico a cui, più di chiunque altro calciatore, ha legato il suo nome: 135 gol in carriera, e quell’aura da dominatore assoluto ogni volta che risuona quella musichetta. Stavolta, l’incantesimo si è rotto, e il portoghese è stato il primo a finire sul banco degli imputati (anche per la disattenzione in barriera sul calcio di punizione di Sergio Oliveira) nel processo post-eliminazione.

Cinque giorni dopo, a Cagliari, Ronaldo ha messo a segno una tripletta in trentadue minuti (solo nel 2015, in un match contro l’Espanyol, aveva impiegato meno tempo, appena venti minuti). Dopo il terzo gol, si è avvicinato alla telecamera e ha puntato l’indice contro l’orecchio, senza nessun’aria spaccona, ma in un modo così misurato da credere che si fosse stufato lui per primo di rispondere ai critici. Tant’è che, a fine partita, ha dribblato la canonica intervista flash del dopo partita, preferendo rifugiarsi in silenzio negli spogliatoi.

Con l’abbuffata di reti a Cagliari, sono diventati 23 i gol in campionato di Ronaldo, segnati in altrettante gare. Una media gol spaventosa che gli permette di essere al primo posto nella classifica marcatori di Serie A, in una stagione in cui, di certo, concorrenza non gliene manca. È sulla buona strada per battere i 31 centri, già impressionanti, dell’anno scorso, mentre ha fatto già meglio dell’annata del debutto (quando si fermò a 21). In tutto sono 95 i gol in 122 partite del portoghese: dal suo arrivo in bianconero, tra i top 5 campionati solo Lewandowski e Messi hanno segnato più di lui.

È chiaro che non se ne può fare solo una questione statistica: mettendo da parte i pure fondamentali aspetti commerciali, l’arrivo di Cristiano, inutile nasconderlo, doveva rappresentare il tassello mancante nelle ambizioni solide ma non premiate dei bianconeri in Champions. La Juventus pre-Ronaldo era stata assoluta protagonista in Europa, con due finali e due due uscite quasi alla pari in quattro anni. In due di queste occasioni, era stato proprio Cristiano a condannare i bianconeri. La più ovvia sottolineatura di quello che era mancato alla Juve nelle circostanze: il campione capace, da solo, di decidere da che parte stare nel sottilissimo confine tra vittoria e sconfitta. I bianconeri ci avevano già provato con Gonzalo Higuaín, ma ci voleva ben altro. Serviva il più grande di tutti.

A sorpresa, con Ronaldo la Juve non ha mai superato i quarti di finale di Champions. Anche la media gol del portoghese si è drasticamente abbassata rispetto alle stagioni con il Real Madrid. In tre stagioni, le reti complessive sono state sedici: appena una in più di quelle realizzate nell’ultima edizione di Champions con i merengues. Eppure, prima della doppia sfida al Porto, nessuno metteva in discussione l’impatto di CR7 in campo europeo. Anzi, andando a “pesare” le marcature del portoghese, è facile notare come il suo ruolo di trascinatore l’abbia interpretato al meglio: tripletta negli ottavi del 2019 contro l’Atlético, gol all’andata e al ritorno nei quarti del 2019 contro l’Ajax, doppietta nel ritorno degli ottavi del 2020 contro il Lione, doppietta a Barcellona nel girone di quest’anno. È mancato, appunto, contro il Porto, ma nelle passate due edizioni di coppa è stato l’unico giocatore della Juventus a segnare nelle gare a eliminazione diretta. Sette gol senza i quali, probabilmente, i bianconeri avrebbero fatto ancora peggio.

Sono 95 i gol in 122 partite del portoghese: dal suo arrivo in bianconero, tra i top 5 campionati solo Lewandowski e Messi hanno segnato più di lui (Marco Bertorello/AFP via Getty Images)

Raccontare l’operazione Ronaldo come un fallimento sotto il profilo sportivo è dunque, inevitabilmente, una forzatura, se non una stortura bell’e buona. Il fallimento, più che individuale, è stato progettuale: proprio il fatto che CR7 sia stato l’unico a trascinare fuori dalle difficoltà, da solo, in più occasioni l’intera squadra sottolinea che a venire meno siano stati tutti gli altri. Per di più, in un momento di generale ricostruzione, tecnica ma anche filosofica: la transizione dal modello Allegri a quello Pirlo, passando per Sarri, finora non ha funzionato, e la proposizione di una nuova identità tattica è ancora a un punto morto – la Juve, in fin dei conti, è rimasta alla versione di Allegri, senza però mantenerne i punti di forza. Senza dimenticare un ricambio di giocatori che, indubbiamente, non è stato centrato al cento per cento.

Del resto, se Ronaldo ha trionfato in Champions per quattro volte in cinque anni con la maglia del Real Madrid non è stato esclusivamente per suoi meriti (che pure sono innegabili: più di una volta ha deciso da solo una qualificazione, e i 60 gol nelle edizioni di coppa vittoriose sono un dato anomalo, mostruoso), ma perché alle spalle aveva una squadra con un potenziale qualitativo smisurato, senza eguali, con una difesa solida, un centrocampo eccelso e un partner d’attacco formidabile. Soprattutto, era il contesto ideale per far valere le sue qualità: una squadra abituata ad avere il baricentro molto alto, ad attaccare con tanti uomini, a fare del possesso e della qualità del palleggio le sue armi migliori. Tutti aspetti che la Juventus aveva posto come obiettivo di campo dopo l’addio di Allegri, senza mai riuscirci: spesso abbiamo visto vagare il Ronaldo bianconero ben lontano dalla porta, come se dovesse essere lui a giocare per la squadra. Quando al Real, invece, era il contrario: tutti giocavano per lui, e in quelle condizioni non c’era modo di arginarlo.

Il miglior Ronaldo di Champions con la Juve si è visto nei match più delicati: tripletta negli ottavi del 2019 contro l’Atlético, gol all’andata e al ritorno nei quarti del 2019 contro l’Ajax, doppietta nel ritorno degli ottavi del 2020 contro il Lione, doppietta a Barcellona nel girone di quest’anno (Marco Bertorello/AFP via Getty Images)

Si può poi discutere di quanto Ronaldo possa aver rappresentato un freno dal punto di vista della crescita tattica della squadra, e indubbiamente è vero – soprattutto se pensiamo a quanto ancora oggi sia attuale il tema della sua convivenza con Dybala, un giocatore con qualità nettamente al di sopra della media ma condizionato da un’aura di incompiutezza negli ultimi anni. Ma è alquanto surreale considerare CR7 un problema e non una risorsa, o per meglio dire la miglior risorsa possibile. Ci sono due, tre giocatori al mondo attorno a cui vale la pena – anzi: è doveroso – costruire la squadra attorno. Uno di questi è Cristiano. Peccato non averlo fatto nel modo migliore.

Tra una decina di anni, quando considereremo l’avventura di Ronaldo in bianconero (se davvero dovesse terminare a fine stagione), lo racconteremo con l’eccitazione che si riserva alle cose eccezionali, a quelle che capitano di rado e che definiscono un’era. Un calciatore arrivato a trentatré anni e mezzo e che, dopo tre stagioni, ha continuato a mettere insieme numeri spaventosi, per giunta migliorandosi anno dopo anno. Senza poi dimenticare gli aspetti commerciali che in questa sede sono stati tralasciati (e che soltanto tra qualche anno potranno essere valutati in modo approfondito: per ora, ci si fermi al +15 per cento sul fronte ricavi per la società bianconera nella sola prima stagione del portoghese). Se Ronaldo saluterà la Juve senza aver conquistato la Champions, il suo status non ne verrà inficiato: come quello di Guardiola se non dovesse riuscirci con il Manchester City, o quello di Messi se dovesse chiudere con il Barcellona adesso, dopo una serie di figuracce europee una peggiore dell’altra. Forse dovremmo godercelo e basta, ché di prodigi del genere non ci si stanca mai.