La Spagna deve giocare contro il Kosovo, che per la Spagna non esiste

Ci sono stati e ci sono ancora diversi problemi diplomatici da risolvere, tra cui l'esposizione della bandiera, l'esecuzione dell'inno e la concessione del visto ai giocatori kosovari.

La partita tra Spagna e Kosovo del 31 marzo 2021 è destinata a entrare nella storia di entrambi i Paesi, non solo perché è la prima volta che le due rappresentative si affrontano in un match ufficiale, tra l’altro valido per le qualificazioni ai Mondiali 2022, ma per motivi puramente politici. La Spagna, infatti, non riconosce il Kosovo come una nazione sovrana, esattamente come altri quattro Paesi dell’Unione Europea (ovvero Cipro, Romania, Slovacchia e Grecia) e altri 91 Stati in tutto il resto del mondo. Anche il motivo di questa posizione è puramente “strategico”: il governo di Madrid, infatti, non vuole dare il proprio placet diplomatico a processi di indipendenza unilaterali che potrebbero in qualche modo incoraggiare le istanze della Catalogna e dei Paesi Baschi, comunità autonome iberiche che a loro volta hanno chiesto più volte – e in maniera molto violenta – di staccarsi dalla Spagna. Di conseguenza, la partita che si disputerà allo stadio La Cartuja di Siviglia è stata organizzata in modo del tutto particolare, come documentato nelle ultime settimane dalla stampa locale: i funzionari della RFEF (la Federcalcio iberica) hanno dovuto infatti fare i conti con diverse istituzioni, governative e non governative, per poter riuscire a risolvere tutta una serie di problemi venuti a galla a causa di questa particolare situazione politica. E che si riproporranno anche in altre gare del girone: nel Gruppo G delle qualificazioni a Qatar 2022, ci sono anche Grecia e Georgia che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo dalla Serbia

Quali sono questi problemi? Innanzitutto, la nomenclatura: il Kosovo, come detto, non è riconosciuto come stato sovrano, quindi appartiene ancora alla Serbia; di conseguenza, la Nazionale di calcio kosovara è una squadra che, almeno secondo il governo spagnolo, non è una vera rappresentativa istituzionale, ma solo territoriale. In virtù di tutto questo, la Federazione spagnola ha utilizzato il nome “territorio del Kosovo” per pubblicizzare la partita, e la stessa terminologia sarà adottata anche dalle emittenti televisive che trasmetteranno il match, dagli speaker dello stadio di Siviglia e da tutti i giornalisti accreditati. Un altro caso che è stato risolto riguardava bandiera e inno: nell’ambito delle competizioni Uefa e Fifa, il cerimoniale delle gare tra rappresentative prevede l’ingresso in campo delle due bandiere e l’esecuzione dell’inno nazionale, con precedenza a quello della squadra in trasferta. La Spagna, almeno inizialmente, aveva proibito al Kosovo di utilizzare questi simboli, ma in seguito è stato trovato un accordo, anche perché – secondo quanto scrive il quotidiano iberico ABC – la federcalcio di Pristina aveva minacciato il boicottaggio della gara «in caso di mancata accettazione del classico protocollo Uefa per le partite ufficiali».

In ogni caso, però, alcune questioni sono rimaste aperte, sospese, o comunque risolte in maniera temporanea. Prima tra tutte, quella del passaporto dei giocatori kosovari, che continua a non essere accettato in Spagna. La testata El Periódico ha ricordato come già in passato una squadra del campionato del Kosovo – il Drita, campione nazionale nel 2003, 2018 e 2020 – dovette scegliere una rotta alternativa, senza passare dal suolo iberico, per poter giocare una gara dei preliminari di Champions League a Gibilterra; inoltre, ai Mondiali di karate disputati a Madrid nel 2018, gli atleti kosovari poterono partecipare alle gare solo presentandosi sotto la bandiera della Federazione internazionale, quindi senza esibire i propri simboli. Per la gara tra la Spagna e la Nazionale balcanica, la situazione è stata gestita in maniera differente: sono stati concessi dei visti speciali e molto limitanti a giocatori, tecnici e dirigenti, mentre non è stato consentito l’ingresso nel Paese ad alti funzionari del governo kosovaro. Una soluzione “intermedia” che mette a nudo le grandi differenze, tuttora esistenti, tra la politica calcistica e quella reale.