Julian Nagelsmann, rabdomante del talento

Ritratto di un allenatore giovane ma già affermato, salito ai vertici del calcio mondiale grazie alla sua capacità unica di valorizzare i giocatori.

Il Bayern Monaco ha comprato Julian Nagelsmann dal Lipsia, nel senso che ha pagato una cifra vicina ai 25 milioni di euro per farne l’erede di Hansi Flick, per strapparlo ai rivali della Red Bull. Come si fa con i giocatori. È una scelta insolita ma razionale: l’allenatore è parte della prima squadra, anzi è un elemento fondamentale. E oltretutto i grandi club in grado di vincere senza una guida tecnica di alto livello si contano sulle dita di una mano. D’altronde in una società di calcio poche cose possono valere quanto la prima squadra, o quasi. Una di queste è sicuramente la sostenibilità sul lungo periodo, quindi le giovanili, le strutture, la capacità di rinnovarsi nel tempo. L’altra è proprio l’uomo che guida la prima squadra, che la mette in campo e le dà un’identità riconoscibile: l’allenatore deve mettere a sistema tutte queste componenti, deve far rendere al meglio i giocatori che ha a disposizione e allo stesso tempo deve sviluppare il talento degli elementi più giovani, deve permettergli di esprimersi e migliorare, così valorizza un asset importante per la società, mette i tasselli che occorrono per costruire il futuro.

«Il Bayern fa una scelta saggia, né moralmente indecente, né economicamente imprudente. Anzi. È ora di dare agli allenatori il valore che meritano: molte squadre studiando sempre di più gli allenatori, li seguono, ne osservano lo sviluppo nel corso degli anni», ha scritto pochi giorni fa lo Spiegel commentando la notizia del trasferimento di Nagelsmann. Il Bayern Monaco ha portato in Baviera il miglior prospetto possibile per la panchina – è un classe 1987 – e allo stesso tempo un allenatore di sicuro talento, pronto per passare al livello successivo. Come se avesse acquistato Haaland o Foden o Vinicius.

Il talento di Nagelsmann è quello che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni e quello che emerge leggendo la sua storia, la sua breve carriera fin qui. Quella da giocatore si è interrotta prima ancora di iniziare, ai tempi delle giovanili del Monaco 1860, per colpa di un infortunio. Poco dopo, la morte del padre lo convince ad abbandonare il campo per frequentare l’università, prima economia, poi scienze motorie; poi dopo cambia ancora idea e prova la carriera da allenatore, grazie anche all’incoraggiamento del suo mentore sportivo: Thomas Tuchel, che aveva incrociato ai tempi delle giovanili dell’Augsburg, prima di trasferirsi a Monaco. Il primo incarico in panchina è quello di vice di Marco Kurz, proprio al Monaco 1860, poi le giovanili dell’Hoffenheim, che scala fino all’Under 19. A febbraio del 2016, ecco il primo turning point: Nagelsmann, che non aveva nemmeno il patentino Uefa Pro, quello che occorre per guidare una squadra di prima divisione, diventa il più giovane allenatore nella storia della Bundesliga a 28 anni, dopo che la dirigenza dell’Hoffenheim ha deciso di esonerare l’allenatore della prima squadra.

Il club sa di non avere tra le mani solamente un traghettatore: l’abbattimento del record di precocità è stato solo anticipato di qualche mese, dal momento che Nagelsmann sarebbe diventato il nuovo capo allenatore in ogni caso dalla stagione successiva, anzi il contratto era già stato firmato. Solo che pochi possono immaginare che quella sarebbe stata la miglior decisione possibile. Un anno dopo, a gennaio 2017, tra le squadre dei top-5 campionati europei l’Hoffenheim di Nagelsmann è l’unica ancora imbattuta; a fine stagione arriva il quarto posto e la qualificazione ai preliminari di Champions League, solo che il sorteggio decide che l’Hoffenheim deve affrontare il Liverpool di Klopp, e allora l’avventura finisce subito. Ma Julian non si perde d’animo: nel 2018, un anno dopo, centra il terzo posto e la prima storica qualificazione del club alla massima competizione Uefa.

È un tipo pacato, Julian Nagelsmann, ma conosce il valore suo e delle squadre che allena. Qui, dopo aver eliminato il Manchester United dalla Champions League, ci tiene a sottolineare che il Lipsia «non è un miracolo»

Già in quella prima esperienza si è vista l’impronta che Nagelsmann è in grado di dare a una sua squadra, quanto possa incidere sul comportamento in campo della sua formazione e – allo stesso tempo – sullo sviluppo dei giocatori più giovani. Non a caso, al Bayern Monaco, Nagelsmann incontrerà due ragazzini che aveva allenato all’Hoffenheim e che ha aiutato a trovare il modo migliore di esprimersi in campo: Niklas Sule e Serge Gnabry (più Dayot Upamecano, che oggi è il leader difensivo del suo Lipsia). «Avevo sentito dire che Nagelsmann migliora i giocatori ed è proprio quello che è successo a me. Mi ha sempre incoraggiato, mi ha dato moltissimi consigli, spiegato molte cose in sala video per dimostrarmi che avrei dovuto migliorare i movimenti tra le linee piuttosto che andare sempre in profondità. Ha cambiato il mio modo di vedere il calcio», ha detto Gnabry a The Athletic.

Lo sviluppo dei giocatori nasce anche come conseguenza del rapporto personale che Nagelsmann riesce a stringere con lo spogliatoio, e con ogni suo componente. Il fatto di essere praticamente coetaneo dei calciatori è un vantaggio non da poco: gli permette di creare una connessione diretta, umana, personale, pur restando nella dimensione del semplice rapporto di lavoro (infatti non frequenta i suoi giocatori al di fuori dell’ambiente professionale). E lo stesso Nagelsmann dice che ci sono due doti chiave nel suo mestiere: una è l’intelligenza sociale, l’altra è la conoscenza calcistica: «Se questi fattori restano in equilibrio, i giocatori capiscono che puoi insegnare loro qualcosa a livello tecnico. Ho un rapporto aperto con i giocatori, e la mia età lo facilita, ma non potrò mai essere un loro amico. La tattica conta solo per il 35-40% del risultato finale. Il resto lo fa il rapporto con i calciatori».

In giro per l’Europa da oltre quindici anni c’è un allenatore arrivato giovanissimo ai vertici della piramide calcistica, presentato come un innovatore, un tecnico moderno, un personaggio speciale. «Mercoledì sera, quando il Tottenham affronterà il Red Bull Lipsia, José Mourinho guarderà la panchina avversaria e riconoscerà qualcosa a lui molto familiare: vedrà una versione di sé più giovane». È la presentazione che aveva fatto Jonathan Wilson sul Guardian prima dell’andata degli ottavi di finale di Champions della scorsa stagione tra Lipsia e Tottenham, creando un paragone tra Mou e Nagelsmann che non potrebbe essere più calzante. L’inizio di carriera del nuovo allenatore del Bayern ricorda quello dello Special One: un allenatore sconosciuto che si guadagna passo dopo passo una promozione in una squadra migliore, prima il Porto, poi il Chelsea, grazie unicamente ai risultati, al suo lavoro, dimostrando di essere un allenatore molto moderno rispetto ai suoi tempi. Per la cronaca, il Tottenham avrebbe stritolato il Lipsia, proprio come fecero il Porto e il Chelsea di Mourinho nella prima metà degli anni Zero. Le storie sono ancor più sovrapponibili anche per il contesto: nel 2004 Abramovich capì che il suo Chelsea, per stabilirsi davvero tra le grandi d’Inghilterra, aveva bisogno di un fenomeno anche in panchina, oltre a quelli che arrivavano grazie agli investimenti nella campagna acquisti. Allo stesso modo, nel 2019, la dirigenza del Lipsia ha scelto di non pescare il prossimo tecnico all’interno della galassia Red Bull, tra quelli costruiti in casa: sapevano che per fare l’upgrade definitivo la squadra aveva bisogno del miglior allenatore possibile, il più adatto alla rosa, ma anche alle esigenze della società. Avevano bisogno di un grande colpo con cui iniziare la fase 2.0 del progetto Lipsia, quella che puntava a stabilizzare la squadra ai vertici della Bundesliga e del calcio europeo.

Nagelsmann con Emil Forsberg, uno dei talenti lanciati e valorizzati durante la sua esperienza al Lipsia (Alexander Hassenstein/Getty Images)

Nagelsmann infatti è andato oltre il lavoro di Rangnick (e Hasenhüttl, il suo predecessore), ha aggiunto qualcosa di nuovo per accedere al livello successivo e trasformare il Lipsia in una squadra in grado di competere – non solo su singola partita – con le migliori del continente. Appena arrivato al Lipsia ha confermato di essere un allenatore archetipico della nuova scuola tedesca e il suo Lipsia, col tempo, nel tempo, è diventata una squadra di vertice partendo da tre principi cardine: il primo è quello della flessibilità tattica, per cui Nagelsmann cambia più volte modulo tra una gara e l’altra, ma anche nella stessa partita, alternando indifferentemente il 3-4-2-1, il 5-3-2, il 4-2-3-1 e il 3-1-5-1; il secondo è quello dell’aggressività verticale, con e senza palla: i bullen giocano un calcio rapidissimo, diretto, in costante movimento, che rende le partite una battaglia atletica ai limiti dell’insostenibile per gli avversari. E poi un nuovo elemento, aggiunto solo quest’anno, cioè il controllo del pallone: le grandi squadre europee non possono più prescindere dalla gestione del ritmo partita e Nagelsmann ha capito di dover assecondare questa tendenza. E di inserirla nel suo portfolio.

È per questa sua doppia capacità di dare un’impronta alla squadra, riconoscibile e moderna, e di creare un buon rapporto con i giocatori, che la società più importante e più forte di Germania, nonché uno dei brand sportivi più potenti del mondo, ha voluto portare all’Allianz Arena l’allenatore del Lipsia. Certo, proprio in virtù della sua grandezza, il Bayern ha esigenze diverse, ambizioni più alte e giocatori diversi da quelli dei bullen. E nel calcio non c’è una formula matematica che garantisca il successo di quest’operazione, a livello sportivo ed economico. Però la dirigenza bavarese ha scelto un allenatore che possa essere una figura centrale nel presente e nel suo futuro del club, che sappia muovere i fili di un ricambio generazionale inevitabile, da attuare nei prossimi anni: Nagelsmann avrà tra le mani tanti talenti in fase ascendente come Alphonso Davies, Jamal Musiala, Leroy Sanè, ma poi dovrà essere in grado di guidare la squadra oltre Neuer (ormai 35enne), Lewandowski (quasi 33), Müller (31), Boateng (32), cioè quei giocatori che oggi sono i veterani dell’undici titolare e un domani saranno fuori dalla rosa.

L’Hoffenheim ha creduto in Nagelsmann, indipendentemente dall’assenza totale di esperienza e dalla giovane età, e ha avuto ragione. Il Lipsia ha deciso di puntare su di lui, il wonderkid della panchina, per dare uno slancio decisivo al progetto principe del network Red Bull, ed è riuscito nel suo intento. Oggi il Bayern Monaco si affida al miglior allenatore sulla piazza (tra quelli disponibili), accettando di mettere a bilancio una cifra record pur di costruire con lui e su di lui un progetto che al momento guarda in prospettiva – almeno fino al 2026. È la dimostrazione che anche ai vertici del calcio europeo e mondiale è possibile una gestione societaria che provi a vincere subito e che, allo stesso tempo, metta le basi per il futuro: l’acquisto di Nagelsmann è l’unione perfetta tra il qui e ora e la prospettiva del domani. Perché questo è Nagelsmann, questo è il Bayern Monaco. Questo è uno dei progetti calcistici più interessanti dei prossimi cinque anni.