Roberto Baggio, patrimonio di tutti

Intervista al cast, al regista e agli sceneggiatori de Il Divin Codino, il film uscito su Netflix il 26 maggio.

Quando si racconta la vita di qualcuno, è importante fare delle scelte. Decidere, cioè, in quale direzione andare. Quando si racconta la vita di un calciatore come Roberto Baggio, tutto diventa ancora più difficile. Perché non c’è solo il personaggio, ma pure la persona; e quella che va messa in scena è una storia che appartiene a tutti, che avvolge e sommerge l’individualismo, che mette d’accordo gli opposti, che parla ai tifosi e ai non appassionati.

Baggio è un simbolo. Baggio è, come dice Letizia Lamartire, regista de Il Divin Codino, il film uscito su Netflix il 26 maggio, «un eroe che si fa carne». È silenzioso, riservato, schivo. Ma è contemporaneamente onnipresente, immenso, rumorosissimo. «Ha vissuto mille esistenze», dice Ludovica Rampoldi, sceneggiatrice. Ed è così. Quando parli di Baggio, parli dell’Italia. Parli di storia, parli del passato, ma parli anche del presente. Chi era, cos’era, da dove veniva. Ne Il Divin Codino viene tracciata la sua vita con un’attenzione particolare ad alcune vicende. Non è un vero e proprio biopic; non c’è tutto. C’è, però, quello che serve. Quello che, in qualche modo, basta.

Diventare Roberto Baggio
Andrea Arcangeli – classe ’93, nato a Pescara – è l’attore che ne Il Divin Codino (prodotto da Fabula Pictures) interpreta Baggio. «Quando mi hanno proposto questo ruolo la mia prima reazione è stata quella di dire di no. Quando ho incontrato Marco De Angelis, uno dei due produttori, ne abbiamo parlato. In quel periodo stavo per iniziare le riprese di Romulus, la serie tv. E pensare di dover lavorare a Il Divin Codino subito dopo mi è sembrata una follia. Alla fine, però, Marco mi ha convinto. Aveva visto qualcosa; non so dirle cosa. E poi, ovviamente, c’era Baggio. Ha detto delle cose incredibili nel corso degli anni. In particolare mi ha sempre colpito una frase: “I rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli”».

La carriera di Baggio è piena di cose come questa; è piena di momenti unici, incredibili, in cui qualunque difficoltà viene sintetizzata e metabolizzata, il dolore viene convertito in passione, e la determinazione coincide con la fede. E intendiamoci: fede laica. Fede in sé stessi, nelle proprie capacità, nel tocco del piede, nel pallone che rotola via, e in un universo di pali e di reti che, improvvisamente, acquista senso. Per Arcangeli, è stato necessario trovare piccole ancore a cui aggrapparsi. Come, per esempio, la voce. «Riuscire a evocare la sua tonalità e la sua cadenza è stata una delle cose più importanti per me. Quando era giovane, Baggio aveva una voce più alta e più squillante. Crescendo, è diventata più profonda. E questa trasformazione rende perfettamente quello che ha dovuto affrontare. Ho ascoltato le sue interviste per giorni e giorni. Ho provato a parlare come lui per tutto il tempo».

C’è un equilibrio preciso tra interpretare una persona vera e interpreta un personaggio. «Ci sono alcuni paletti da rispettare. Quando interpreti un personaggio di finzione, parti da zero, segui la sceneggiatura. In questo caso no. La voce, l’espressività, un certo look, il suo stile di gioco: Baggio era già lì. Allo stesso tempo, però, dovevo sentirmi libero. Dovevo essere Baggio e dovevo poter dare qualcosa di mio». Baggio, continua Arcangeli, è una figura con cui cresci, è sempre presente: «È uno dei grandi. Non l’ho mai visto giocare. Ho imparato dalle esperienze degli altri, per non deludere nessuno. Baggio non è stato solo un grande calciatore; è stato soprattutto un grande uomo. Ha emanato costantemente amore. In quello che faceva c’era della verità. Per le persone, per chi l’ha conosciuto e seguito, Baggio è tutto. Ha rappresentato un modo di vivere».

L’eroe che si fa carne

Tenere insieme scene di vita privata e scene ambientate su un campo di calcio è, interviene Lamartire, complesso. «E poi raccontare la storia di un personaggio come questo, così amato e così seguito, è una sfida. Abbiamo cercato di tenere in considerazione l’opinione di Baggio. Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, i due sceneggiatori, hanno avuto diversi incontri con lui. Volevamo cogliere la sua determinazione silenziosa e gentile. Dentro di sé Baggio conserva una forza incredibile». Ed è proprio questo, il suo modo di essere, la cosa che ha affascinato di più la regista. «Baggio è un genio, sì, ma è un genio equilibrato, un genio posato, un genio – a modo suo – unico. Il Divin Codino è chiaramente incentrato sulla sua figura, ma a un certo punto, proprio verso la fine, viene fuori qualcos’altro: viene fuori l’affetto delle persone. Ci siamo concentrati sui momenti più difficili della sua carriera e della sua vita».

E come si lavora a un’impresa del genere? «Abbiamo raccolto molto materiale. Anche ricostruire la moda di quell’epoca, di quando ha iniziato a giocare, è stato complicato. Quello su cui ci siamo concentrati di più, però, sono stati i suoi silenzi. Abbiamo cercato l’intimità della persona, e abbiamo provato a rimetterla in scena. Abbiamo utilizzato una betacam degli anni ‘90 per ricreare quell’atmosfera. Per me era fondamentale mettere in contatto le immagini di repertorio e le immagini del film».

Alla fine, con tutti i limiti del caso, Il Divin Codino riesce a tracciare un profilo intenso del calciatore. Prima di ogni sfida, dopo ogni caduta. C’è Baggio e c’è Roberto, e sono la stessa persona, la stessa voce, la stessa figura. Non c’è un dualismo così netto come nella vita di altri grandi campioni. Baggio è altro. Baggio è semplicemente Baggio. «Tutti gli attori», continua Lamartire, «hanno compreso perfettamente il loro ruolo e la loro parte; si sono sempre impegnati. Andrea Arcangeli, Valentina Bellé, Andrea Pennacchi. Tutti. Nelle varie interazioni ci sono storie, sentimenti e rapporti, e ogni relazione è una trama a sé, quasi indipendente. Con ognuno degli interpreti, c’è stato un lavoro a parte. Il Divin Codino è diviso in tre atti precisi. Quando racconti la vita di una persona, devi capire cosa tenere e cosa tagliare. Noi volevamo raccontare il rapporto tra Baggio e il suo gioco, e soprattutto volevamo raccontare la sua spiritualità».

La nostra nuova epica

Il calcio è la nostra nuova epica, e i calciatori sono i nostri nuovi eroi. Arrivano al cinema e in televisione; popolano libri e articoli di giornale. Sbagliano e ci sentiamo tutti sofferenti. Hanno successo e siamo tutti esultanti. La loro vita è la nostra vita, i loro successi più grandi sono i nostri ricordi. Baggio, però, è diverso. «Perché», dice Rampoldi, «è un personaggio molto presente nella memoria di tutti i tifosi. Raccontarlo è importante perché la sua vita è esemplare. Ha sofferto, si è rialzato, ha sofferto ancora, e si è rialzato nuovamente. Sono passati 17 anni da quando si è ritirato ed è ancora qui, con noi, nella nostra memoria».

Sceneggiare un film come questo è difficile. Baggio non ha eccessi, non è estremo; Baggio è forte, posato, è silenzioso. La sua disperazione è la disperazione di tutti, e la sua voglia di farcela è profondissima, totale, soverchiante. «Avere la contrapposizione tra genio e sregolatezza», riprende la sceneggiatrice, «è un aiuto. Baggio aveva bisogno della sua famiglia per funzionare. L’ultimo film biografico a cui ho lavorato è stato Il Traditore. E raccontare le ombre, in un certo senso, è più facile. Mostrare la luce ci pone davanti a delle sfide. C’è il rischio di essere retorici». Un rischio che, con Il Divin Codino, viene evitato. «All’inizio avevamo scritto un soggetto in cui c’era tutto. Ma metterlo in scena in un film di 90 minuti era praticamente impossibile. Dovevamo fare delle scelte, e decidere su che cosa concentrarci. Abbiamo provato a soffermarci sulla tensione che c’è tra un uomo e il suo destino, e sul suo rapporto così stretto, così viscerale, che Baggio aveva con la maglia azzurra».

Il trailer ufficiale de Il Divin Codino

“Una cosa di tutti”

Baggio, afferma Sardo, è una cosa di tutti: «E trovare la chiave giusta per raccontare una cosa di tutti è una ricerca interessante. Il calcio è una cosa che amo, che molti amano, e sembra sempre impossibile raccontarlo in un film. Baggio è caduto e si è rialzato più volte, ha affrontato e superato mille ostacoli. Aveva un obiettivo. Aveva promesso al padre, da bambino, di vincere i mondiali. A chi capita una cosa così? A lui sì. Ci ha provato e ha fallito, ed è andato avanti». Il Divin Codino è anche una storia generazionale, di genitori e figli. «Abbiamo sempre un conflitto con i nostri padri. Perché sono assenti, perché spesso sono più distanti. Roberto aveva questa inspiegabile conflittualità con i suoi allenatori. Veniva da una famiglia numerosa, suo padre lavorava molto, i suoi successi – in un modo o nell’altro – sembravano finire sempre in secondo piano».

Con il tempo, Baggio ha assunto altre dimensioni e un’altra importanza. Ha sempre parlato poco. Si è ritirato dalla scena pubblica, e si è costruito il suo angolo di felicità. Quando si esprime, però, lo fa sempre con lo stesso tono e con la stessa energia. «In ognuno di noi – dice Sardo – c’è un bambino, ed è un bambino che vuole giocare, che vuole essere amato, che vuole fare quello che gli piace. Baggio, con tutte le sue sofferenze, ha sempre continuato a voler giocare. Il suo sogno era la nazionale, erano i mondiali. Per un paese come il nostro, così malato di campanilismo, la sua storia è quasi un’eccezione. Quando lo senti, non riesci a non emozionarti. Non sto esagerando, è la verità. E non la so spiegare. Anche quando ha fallito, Baggio ci ha provato fino all’ultimo istante: e la gente, questa cosa, la sa».