La prima cosetta che ho scritto su Patrick Schick risale a quattro anni fa, era in un articolo a più voci in cui Rivista Undici voleva raccontare le cose migliori, le cose più belle, della Serie A 2016/17. In uno dei vari capitoli che componevano il pezzo, ci chiesero di indicare il gol dell’anno secondo il nostro insindacabile giudizio: io scelsi quello di Schick in Sampdoria-Crotone, e per descriverlo scrissi che «il tocco di esterno morbidissimo ad evitare l’anticipo e l’idea chiara e preventiva della giocata, che si percepisce dalla perfetta coordinazione dei movimenti, rendono questo gol un capolavoro».
Insomma, è evidente che rimasi abbagliato non tanto dalla giocata in sé, certo anche da quella, ma dal fatto che fosse premeditata, già costruita nella testa di Schick mentre il pallone rotolava veloce verso di lui. Per di più si trattava di un gol realizzato da un ragazzo di 21 anni alla sua prima stagione in Serie A, anzi alla sua 11esima gara da titolare nel nostro campionato: la mia ammirazione, quindi, riguardava non solo il talento puro di Schick, quello non ha limiti d’età, quanto la capacità già matura di riconoscerlo e utilizzarlo nel momento giusto, nel modo più efficace e anche più spettacolare.
Forse non è elegante auto-citarsi, ma in certi casi è necessario. In questo caso è necessario. Per un motivo molto semplice, di cui parleremo tra poco. Intanto, per chi non lo sapesse, il 14 giugno 2021 Patrik Schick ha giocato da titolare la partita Repubblica Ceca-Scozia, la sua prima gara in un grande torneo per Nazionali senior – era ancora troppo giovane ai tempi di Euro 2016 e la Repubblica Ceca non si è qualificata per i Mondiali 2018 – e ha segnato una doppietta.
Il secondo gol è arrivato grazie a un meraviglioso arcobaleno disegnato da oltre 50 metri, poco al di là della linea del centrocampo. Il tiro – forte e a giro – dell’attaccante del Bayer Leverkusen è stato scoccato di prima intenzione, su un pallone ribattuto dalla difesa ceca dopo una conclusione velleitaria della Scozia: sembrava dover essere l’inizio di un contropiede come tanti, di una lunga azione in conduzione verso l’area avversaria, e invece Schick ha risolto tutto in pochi istanti, con una giocata di qualità superiore e apparentemente improvvisata, un prodigio di tecnica e di balistica e di lucida follia, un tiro che ha approfittato della posizione molto avanzata del portiere avversario Marshall, e che è stato così preciso da scavalcarlo e infilarsi in porta con tanto di effetto comico, perché lo stesso Marshall è ruzzolato nella rete nell’estremo tentativo di evitare il gol – e pure la brutta figura.
Niente male, dopotutto eravamo solo al quarto giorno di questi Europei
Quando ho visto in diretta il gol di Schick, l’ho definito «assurdo» in una chat con degli amici/colleghi. Ho centrato perfettamente il termine, almeno secondo quella che era la mia percezione del suo tiro: secondo il vocabolario Oxford di italiano, quello impostato automaticamente nelle mie ricerche Google, è un aggettivo che definisce un qualcosa «contrario alla logica del pensiero, della parola, dell’azione». Per me il gol di Schick era stato proprio questo, un’azione contraria – nel senso di opposta – a ogni convenzione, a ogni statistica di convenienza, a qualsiasi tipo di pensiero razionale elaborato nella testa dell’attaccante della Repubblica Ceca. Del resto è così che ci piace immaginare il talento calcistico, per noi che non lo maneggiamo deve essere la capacità di sovvertire con un colpo di genio – quindi in pochi istanti, con pochi movimenti e l’idea giusta – le aspettative degli avversari, e di chi guarda le partite. È un fattore-sorpresa, prima di tutto.
Ecco perché l’auto-citazione era ed è necessaria: stupidamente, avevo dimenticato cos’è e come si manifesta – non sempre, purtroppo – il talento di Patrik Schick. Avevo dimenticato la sua capacità di costruire nella sua testa e poi di realizzare giocate bellissime, assurde, lucidamente folli. È stato lo stesso Schick a confessarlo in un’intervista alla BBC ripresa anche dallo Spiegel: «Nel primo tempo ho visto che Marshall, il portiere della Scozia, stava costantemente lontano dalla porta, fuori dalla sua area di rigore. L’ho notato anche dopo e ho tirato in quel modo non appena ho avuto l’occasione di farlo, nel secondo tempo».
Insomma, Schick l’ha fatto apposta. Aveva già pensato di segnare proprio in questo modo, da cinquanta metri o poco meno o poco più. In ogni caso, anche se le sue parole non fossero vere, o non fossero del tutto vere, Schick ha voluto che questo gol storico non venisse ricordato come un frutto di un colpo di genio, piuttosto come un’opera profondamente razionalista, come un progetto già ordito e poi effettivamente eseguito sul campo. Ecco, probabilmente il significato più importante e profondo di questi pochi e bellissimi secondi di calcio è che il nostro racconto del talento – sportivo, atletico, musicale, pittorico, tecnico, informatico, manageriale – è molto lontano dalla realtà delle cose, dal modo di agire e di pensare di chi possiede questo dono. L’andamento della carriera di Schick – così come di tutti gli altri giocatori o allenatori o artisti o accademici o dirigenti – è stato e sarà determinato da tante variabili, non solo individuali, ma che nulla di tutto questo ha a che fare l’improvvisazione. Anzi, persino la giocata che sembra più folle, più irrazionale, nasce da una valutazione logica, dalla consapevolezza di poter avere certe idee e di possedere le qualità per poterle realizzare sul campo, con il pallone tra i piedi – o con qualsiasi altro strumento di lavoro.
Insomma, ci vuole talento per immaginare e segnare certi gol, e questo fa la differenza tra i comuni mortali e gli esperti/specialisti in un determinato ambito. Poi c’è tutto il resto, ovvero ciò che fa la differenza tra un grande giocatore fatto di flash accecanti e un fuoriclasse: è la capacità di alimentare e far fruttare questo talento, di esprimerlo in maniera costante, meno episodica. Schick è ancora a metà di questo percorso, ma questo non c’entra nulla con quanto successo durante Repubblica Ceca-Scozia: il suo gol ci resterà negli occhi per molto tempo, e per di più sappiamo che non si è trattato di un exploit isolato, piuttosto è stato un memorandum sulle sue qualità, delle sue qualità. In realtà lo sapevamo da tempo. Ora starà a lui, a Patrik Schick, dimostrare che si è trattato di un nuovo punto di partenza, oppure di un altro momento abbagliante destinato a diventare un rimpianto.