Fiorentina senza pace

Da dieci anni, ormai, il club viola è alla ricerca di una nuova identità, e non riesce a trovarla. Neanche con Commisso, neanche con Gattuso, in attesa dell'ennesima ripartenza da zero.

L’8 gennaio del 1993 usciva Terremoto, il secondo album della cosiddetta “tetralogia degli elementi” dei Litfiba, un disco speciale che metteva assieme dark wave, metal e grunge, rimandi ai Tartari di Dino Buzzati, al vulcano di Malcom Lowry e agli elementi di Anassimandro. In questo disco speciale c’è una canzone speciale, una di quelle trascurabili, irrilevanti, a meno che non ci si trovi ad ascoltarla nel posto giusto, al momento giusto: è “Firenze sogna”, è il contributo di Piero Pelù al dibattito eterno e infinito della città, quello sulla decadenza e sulla nostalgia, su un futuro che incombe sempre e un passato che non torna mai. In questi giorni di allenatori che vanno e che vengono e di procuratori che fanno e poi disfano mi è tornata in mente “Firenze sogna”, e in particolare quel verso che fa «reagire o scoppiare». Dove sta la Fiorentina in questo momento, quale estremità è più vicina, quella che incita a reagire o quella che invita a scoppiare? Io sarò quello che vuoi, un pezzo intercambiabile/Così vuoi, così credo farò/Ma il crollo è inevitabile/Tutti pieni e tutti salvi/Senza responsabilità

Gennaro Gattuso doveva essere la pietra angolare sulla quale posare tutto il peso dell’edificio ricostruito della Fiorentina 2021/22, alla fine (che è venuta solo venti giorni dopo l’inizio) è stato un pezzo intercambiabile. Si aspetta che parli per capire la sua quota parte nella decisione di lasciare la Fiorentina, con i malpensati che dicono che si sia limitato a rispondere «così vuoi, così farò» a Jorge Mendes, il suo procuratore arrabbiato per acquisti mancati e commissioni perse. Per il momento tutti pieni e tutti salvi, senza responsabilità: Commisso e la Fiorentina dicono che così non si fa, Gattuso e Mendes  sostengono che i patti non erano questi. Il crollo era inevitabile davvero? Quelli che la sanno sempre lunga, questa volta, sanno che il pallone gira per il verso che decide Mendes e che Commisso non poteva non sapere.

Ma anche non ci fosse Mendes e non parlassimo di Gattuso, sono dieci anni che per la panchina della Fiorentina il crollo è inevitabile. Da quando Prandelli se ne andò la prima volta, in realtà è andata male anche quando è andata bene. Vincenzo Montella sembrava pure lui quello giusto e per tre anni lo è stato, poi però tutto si è ridotto ai litigi sulla clausola rescissoria e all’esonero perché «venuto meno il rapporto fiduciario necessario per la prosecuzione di qualunque rapporto». Di Sinisa Mihajlovic c’è ancora lo striscione “Oh, Sinisa, grazie per l’Europa” e di Delio Rossi resta una scazzottata con Ljajic che valse all’allenatore un nome di battaglia piuttosto significativo: “Delirio”. Paulo Sousa è passato di qui, e non si può dire molto più di questo. Stefano Pioli ha tenuto assieme i cocci rimasti dopo la morte di Davide Astori fino a quando non si è sentito costretto alle dimissioni perché erano state «messe in dubbio le sue capacità». Poi di nuovo Montella, poi la prima volta di Iachini, la seconda di Prandelli, infine di nuovo Iachini: viene da pensare che gli allenatori tornino perché Firenze è bella/Firenze è bella/indubbiamente mi si stende sotto una cappella. Viene da credere che anche quando andava bene in realtà andava male, che alla fine è solo un altro modo di chiedere se si è capaci di reagire o si ha intenzione di scoppiare.

Il faraone del vecchio accampamento/Arma i gorilla coi soldi/Il faraone sposta un po’ l’accento/Ma il suo cervello è sepolto qua. Rocco Commisso voleva essere il faraone del vecchio accampamento, con il giglio al posto dell’ankh. È tornato dall’America con gli alright e i well, i suoi 200 milioni cash messi lì a dimostrare l’intenzione di fare il bisiniss, l’accento un po’ spostato verso la parte calabrese della sua vita per non spaventare la città più tradizionalista che c’è. Tutti quei soldi dovrebbero comprare la disponibilità che serve e benevolenza quanta ne basta. Rocco, come lo chiamano i fiorentini che credono nello scudetto più prima che poi promesso dal presidente, ha fatto anche lo sforzo in più pur di farsi voler bene. I neo-genitori di Firenze possono chiedere alla società un regalo per i loro bebè e pochi giorni dopo si vedono recapitare per posta un grazioso pacchetto con dentro tutto quello che serve alle creature: tutina, ciuccio, portaciuccio, tutto di viola colorato e di giglio decorato.

L’edilizia fiorentina ha avuto di che festeggiare quando Rocco ha mostrato il rendering del Viola Park di Bagno a Ripoli, «il centro sportivo più bello d’Italia», 80 milioni di euro immessi nell’economia cittadina da qui a gennaio 2022. I tifosi della Viola si sono gustati la presentazione american way of life di Franck Ribery, che nelle intenzioni di Rocco doveva essere solo il primo dei ritratti appesi nella nuova Hall of Fame della Fiorentina. Ma due anni dopo Rocco sta piano piano diventando Commisso, sta scoprendo che il suo cervello è sepolto qua. E con qua si intende sì il calcio, che è il mondo di Gennaro Gattuso e di Jorge Mendes, ma si intende anche l’Italia, che è il mondo degli infiniti scazzi con soprintendenze varie e degli immancabili ricorsi al Tar. Passa la voglia di fare e in effetti Rocco ha già minacciato di prendere baracca e burattini e tornarsene in America, dove chi vuole fare business viene lasciato fare e non deve avere a che fare con i giornalisti del gruppo Rcs che scrivono cattiverie sui quotidiani locali. Il suo cervello è sepolto qua, e con qua si intende anche la squadra che fu della famiglia Della Valle.

Con i suoi 21 gol, Dusan Vlahovic è stato il miglior marcatore della Fiorentina nella Serie A 2020/21; era dai tempi di Luca Toni, che realizzò 31 reti nell’annata 2005/06, che un attaccante viola non superava quota 20 gol in campionato (Gabriele Maltinti/Getty Images)

Oggi Commisso è ancora Rocco e col piglio del capopopolo dice che gli italiani sono come lui, che lo capiscono quando si incazza con la Soprintendenza o con il Corriere Fiorentino: a nessuno piacciono i burocrati, tutti odiano i giornalisti. Ma se Rocco non vuole diventare Commisso deve leggere il capitolo Della Valle nel libro della storia della Fiorentina, tomo ricco più di altri di corsi e ricorsi: ci sono stati giorni in cui i fratelli Tod’s erano affettuosamente Diego e Andrea, quelli che avevano riportato la Florentia Viola a essere la Fiorentina; poi c’è stato il momento in cui la colpa era di chi mal consigliava Diego e Andrea (ma Corvino lo sa che si possono prendere pure giocatori maggiorenni?), così come ora i responsabili di tutto quello che non va sono Barone e Pradè, non certo Rocco che la passione ce l’ha e i soldi ce li mette; alla fine arrivò il mezzogiorno di fuoco, da una parte i Della Valle, la proprietà, a invitare i fiorentini facoltosi a farsi avanti e dall’altra i tifosi, la città, a intimare ai fu Diego e Andrea di togliere il disturbo. Sparsi tra questi highlight dell’amore/odio tra una città e la sua emanazione calcistica, tutte le decisioni sbagliate che hanno reso trascurabile, dimenticabile, l’ultimo decennio della Viola, un elenco di acquisti e cessioni di cui solo l’almanacco ha tenuto traccia, dei quali nessuno dei presenti sappia dire nulla.

Firenze sogna, sogna Firenze/soprassiede sul presente/la regina è lei, che sotto sotto si tocca un po’/qui non c’è più spazio vita/centro del mondo morto/la signora non si sveglia dal suo sogno più remoto. Firenze soprassiede sul presente perché cos’altro può fare? Gattuso è andato via, pare stia per arrivare Vincenzo Italiano, è ufficiale l’acquisto di Nico González dallo Stoccarda: 23 milioni di euro più i quattro di bonus che ormai non possono mancare, il giocatore più costoso della storia della Viola, non si dica che Rocco non si stia impegnando, che non ci stia provando. Eppure la signora non si sveglia dal suo sogno più remoto: questa doveva essere la stagione giusta per ricominciare, e quella prima anche, e così via all’indietro nel tempo. Sono dieci anni che a Firenze si ha la sensazione di ricominciare ogni volta da zero, che significa essere zero troppo spesso e troppo a lungo. In passato si vedeva un filo rosso che teneva assieme i limiti imposti dalla necessità economica e le ambizioni indispensabili per una squadra che era una delle Sette Sorelle: se andava via Luca Toni, arrivava Alberto Gilardino, per capirsi. E adesso? Siamo sempre lì: reagire o scoppiare, Firenze sogna, sogna Firenze.