C’è tutta l’arretratezza dell’Italia nella polemica sui giocatori in ginocchio

Le indecisioni sul supporto a Black Lives Matter sono un segnale chiaro: i giocatori e la Federcalcio non hanno voluto prendere una direzione netta sui certi temi.

La discussione attorno al gesto dell’inginocchiamento poteva essere l’occasione buona per capire a che punto è l’Italia con le parole e le pratiche, i gesti e i simboli dell’antirazzismo (indietro, molto indietro, ndr). Poteva essere la volta buona per raccontare a milioni di persone che guardano la partita della Nazionale chi è Colin Kaepernick e cosa è Black Lives Matter, cosa significano le espressioni police brutality e razzismo istituzionale, come sono morti Oscar Grant e Michael Brown, Trayvon Martin e Breonna Taylor e tutti gli altri, che sono talmente tanti da non poterli ricordare tutti, e già questo dovrebbe bastare sia a spiegare che a capire. Poteva essere il momento giusto per ammettere che in certi casi gli Stati Uniti sono più vicini di quanto noi europei (e noi italiani in particolare) vogliamo ammettere. Poteva essere tutto questo e tanto altro, invece è stata l’opera buffa che ci è tanto cara e così bene ci rappresenta, D’altronde fa troppo caldo e siamo troppo stanchi per l’opera seria di questi tempi strani, di questo mondo nuovo.

Di tutte le ragioni per inginocchiarsi, tra tutti i motivi per non inginocchiarsi, noi abbiamo scelto quello che meglio rappresenta questo (lungo) momento del Paese: lo facciamo anche noi se lo fanno pure gli altri, ma se gli altri restano in piedi allora non ci inginocchiamo manco noi. Col Galles solo alcuni (ma lì ci siamo fatti sorprendere, che ne potevamo sapere noi che in Galles ci sta il razzismo), con l’Austria nessuno, contro il Belgio tutti. Ma sia chiaro: l’Italia si inginocchia (o no, dipende) per buona creanza, per non mettere a disagio chi lo fa (o non lo fa, vediamo) e non certo perché sta con Black Lives Matter, di sicuro quello non lo condividiamo. Ma come, non siamo antirazzisti? Ma certo che lo siamo, solo in modo diverso. «Cercheremo di combattere il nazismo in un altro modo, con iniziative insieme alla Federazione nei prossimi mesi», ha detto con una gaffe il capitano Giorgio Chiellini a chi gli chiedeva spiegazioni. Ovviamente viene da chiedersi quali siano questi altri modi di combattere il razzismo, e perché quelli sì e questo no, perché le iniziative insieme alla Federazione vanno bene e inginocchiarsi prima del fischio d’inizio è male. Non lo sapremo mai, perché queste non sono domande da fare ai nostri ragazzi mentre preparano il quarto di finale contro il Belgio. In compenso, nell’intervallo della partita tra Belgio e Portogallo, Paola Ferrari mi ha fatto scoprire che gli Azzurri stavano seguendo la sfida nel mezzo di un’allegra grigliata. Si respira una bella aria, dice lei. Luca Toni annuisce e conferma.

Qual è il Grande Romanzo Italiano? Gli indifferenti, ovviamente. E il Grande Film Italiano? Il conformista, naturalmente. Il perché lo abbiamo potuto leggere nelle pagine dei giornali, lo abbiamo visto in tv in questi giorni di dibattito che in fondo in Italia è sempre chiacchiera: sotto l’ombrello o l’ombrellone, con il temporale o il solleone. Si fanno cose e si vede gente, ma non è mica chiaro cosa e chi: ieri si è discusso moltissimo delle parole di un misterioso “responsabile della comunicazione” della Federazione, che al quotidiano Repubblica avrebbe dichiarato (con tanto di virgolettato pubblicato) che la Nazionale non si inginocchia perché «non condividiamo la campagna in sé». Ma chi è che ha detto questa cosa? In realtà non si sa. E che cosa ha detto esattamente? Non è mica sicuro. Certo è un’opinione forte, alla faccia del non essere divisivi, del dare un colpo alla botte della “lotta a tutte le discriminazioni” e uno al cerchio del razzismo strisciante. Un’opinione talmente forte che costringe la Figc a esprimerne e pubblicarne una sua nota ufficiale, questa sì, in cui si ribadisce che vale il laico principio del libero inginocchiamento in libera Nazionale. Chi vuole, chi non vuole, chi ne ha voglia, chi non se la sente: chiedere ai giocatori, sono loro che decidono, sono loro che scelgono, sono loro che portano il messaggio (quale, ovviamente, lo stiamo scoprendo). Per quanto la Federazione abbia in questo caso, come in molti altri casi, fatto da involontario comic relief, c’è del vero in quella nota: non c’è valore nell’imporre, il senso sta nello scegliere e le scelte sono degli individui, non delle burocrazie.

Quindi si torna al punto di partenza, si ricomincia da dove si era partiti: chi vuole si inginocchia, chi vuole resta in piedi. Sarebbe stato bello se per una volta avessimo affrontato la questione come adulti capaci di affrontare le differenze e trarre dal conflitto quello che di buono se ne può trarre. «Sulla lotta al razzismo e su come comportarci la pensiamo tutti uguale», ha detto Pessina. Lui però è stato uno dei cinque che si sono inginocchiati prima dell’inizio della partita contro il Galles. Come si ricompongono, quindi, parole e azioni? E i compagni che hanno preferito rimanere in piedi, che cosa pensano di questo gesto, di quel simbolo?

I primi calciatori a inginocchiarsi sono stati quelli della Premier League, hanno cominciato a farlo dopo che l’agente della polizia di Minneapolis Derek Chauvin uccise George Floyd. In Premier League il primo a non inginocchiarsi è stato l’ivoriano Wilfred Zaha: «Non c’è una decisione giusta e una sbagliata, ma sento che inginocchiarsi è diventato parte di una routine pre-gara e che non conta se ci mettiamo in ginocchio o se rimaniamo in piedi perché alcuni di noi, in ogni caso, continuano a subire violenze», ha detto. Prima di lui, Les Ferdinand del Queens Park Rangers aveva parlato di un gesto che aveva ormai perso l’iniziale carica simbolica, opinione condivisa dai colleghi di Bournemouth, Brentford e Derby. È questo il punto al centro dei discorsi di Chiellini, Bonucci e chissà chi altro?

Jadon Sancho è stato uno dei primi calciatori in assoluto, pochi giorni dopo la morte di George Fkoyd, a importare in Europa le manifestazioni a sostegno di Black Lives Matter. Dopo la Bundesliga sono ripresi anche gli altri campionati europei fermati a causa dalla pandemia, e così ci sono stati diversi gesti in moltissimi campi del Vecchio Continente (Lars Baron/POOL/AFP via Getty Images)

Non c’è una decisione giusta o sbagliata, dice Zaha. Ci sono però le decisioni (al plurale) e le ragioni dietro di esse e ci potrebbe essere una discussione attorno a queste. E invece c’è l’opera buffa, i giri in tondo, le dichiarazioni prima concesse e poi ritirate e nel frattempo cambiate. E in assenza della discussione vengono i dubbi, il pensiero che questa sia sempre la Nazionale di Cassano che dice che «se son froci sono fatti loro» e non dice di più perché «sennò mi attaccano da tutte le parti». E in assenza di discussione si arriva alla speculazione, e il pensiero va al contributo che avrebbe portato Moise Kean: quella volta a Cagliari gli diedero della scimmia e Bonucci alla fine della partita disse che anche Kean aveva la sua parte di colpa.

Ma poi, ci si può lamentare di un gesto simbolico diventato ormai mera retorica, semplice rituale in un Paese in cui sono tre settimane che si parla dei nostri che cantano l’inno con un trasporto impareggiabile e impareggiato, in cui nell’elenco dei pregi della stellina Pessina viene puntualmente inserita l’assenza di tatuaggi? Non c’è una decisione giusta e una sbagliata, non c’è valore nell’imposizione ma soltanto nella scelta. In una recente intervista a Kicker, Manuel Neuer ha spiegato la scelta di indossare una fascia da capitano con i colori dell’arcobaleno durante la partita tra Germania e Ungheria, dopo che la Uefa aveva deciso che l’Allianz Arena di Monaco non si poteva tingere di quegli stessi colori per non urtare la sensibilità di Viktor Orbán: «È un’iniziativa importante e sostenuta anche dal pubblico. Nel passato la Nazionale non prendeva posizioni su temi politici o c’erano degli indirizzi generali da seguire. Adesso, anche con i social, ciascun singolo ha più influenza: come Nazionale, vogliamo far vedere che fuori dal calcio ci sono temi che vanno sostenuti, siamo esempi per i ragazzi. Siamo dalla parte degli inglesi quando si inginocchiano. In Bundesliga e in nazionale non abbiamo questo tipo di manifestazione, ma ne parliamo. Noi siamo per il rispetto, l’apertura e l’inclusione sociale. Siamo contro ogni forma di violenza, discriminazione e razzismo. Siamo per la difesa dei diritti umani. Per questo continuerò a portare la fascia arcobaleno». Per motivi che non so spiegare bene nemmeno a me stesso, il passaggio che più mi tocca, quello che mi sembra così intelligente, che mi pare mostri tanta empatia è «… ma ne parliamo». Deve essere bello parlare delle cose che succedono nel mondo, delle cose importanti di questa epoca.