E adesso dobbiamo meritarci Federico Chiesa

Il suo percorso già trionfale mostra come i giovani possano essere una risorsa inestimabile, a patto che abbiano spazio, che possano essere protagonisti subito.

Negli highlights di Italia-Spagna montati da Sky Sport, subito prima del gol segnato da Federico Chiesa, c’è un’altra azione conclusa da Federico Chiesa. È un’azione in cui l’attaccante della Juventus mostra la parte più antica e più riconoscibile del suo gioco, la sua capacità naturale di accendersi e di accendere le partite in pochi istanti: riceve il pallone sulla destra, in posizione molto larga rispetto alla zona in cui l’Italia ha consolidato il possesso dopo una ripartenza veloce; punta l’avversario diretto (Jordi Alba) toccando rapidamente la sfera, una, due, tre volte, poi al quarto tocco scarica il tiro nello spazio creato grazie ai suoi movimenti frenetici, grazie alla sua postura ingobbita, al suo gioco di gambe che ricorda quello dei pugili; la conclusione in diagonale, di destro, ha una traiettoria centrale e viene contenuta bene da Unai Simón, attento nel coprire la porta e reattivo nel tuffarsi velocemente sul terreno di gioco.

Il bellissimo gol realizzato pochi minuti dopo è frutto di un’azione simile nell’esecuzione del dribbling e nell’immediatezza del tiro, ma mostra anche gli enormi progressi compiuti da Chiesa nel corso degli ultimi anni: la corsa lunga tutto il campo ad appoggiare l’attacco della profondità di Immobile, la scelta del movimento migliore per supportare il compagno alle prese con due difensori avversari, la conclusione non solo forte, ma anche arcuata, precisissima, sono tutte idee e giocate che appartengono a un calciatore tecnicamente completo, tatticamente maturo, profondamente consapevole delle proprie qualità. A un calciatore che ha imparato a fare la differenza nei momenti più delicati delle partite più importanti.

Era andata così anche negli ottavi di finale contro l’Austria, nel corso dei supplementari: il primo gol di Chiesa agli Europei 2020 è stato un gol misto passato e presente, nato da uno stop di naso o di guancia o di fronte che fa molto Federico Chiesa prima maniera, esattamente come la posizione in ampiezza sul cross telecomandato di Spinazzola; solo che poi il tocco per evitare il ritorno di un avversario e il diagonale di sinistro che supera Bachmann sono giocate che Chiesa ha dovuto inserire nel suo portfolio per andare oltre se stesso, per completare una transizione che non riesce proprio a tutti: quella da giovane talento, da giocatore elettrico e forse anche un po’ fumoso, a campione di livello internazionale.

C’è un grosso malinteso nel racconto tecnico-tattico dell’Italia: il fatto che gli Azzurri facciano molto possesso palla e utilizzino la costruzione dal basso, una doppia verità confermata dai numeri e dalle sensazioni dell’Europeo, ha finito per fagocitare tutto il resto, ha determinato lo sviluppo di una narrazione monolitica per cui la Nazionale di Mancini va inserita nel gruppo delle squadre-tiqui-taca, quelle che muovono il pallone solo in un certo modo, soprattutto in orizzontale. In parte è vero, effettivamente l’Italia pratica un possesso arretrato piuttosto ricercato, un giro palla insistito imperniato soprattutto su Bonucci, Jorginho, Verratti e sui giocatori della catena di sinistra, ma poi ha una fase offensiva molto più diretta e verticale rispetto a quella della Spagna di Luis Enrique – giusto per fare un paragone di facile comprensione. In un contesto del genere, Federico Chiesa è un elemento dal valore inestimabile: quando può correre in campo aperto e puntare il fondo, magari allargandosi sul suo piede forte, quando viene servito con i tempi giusti in profondità, quando può puntare l’avversario diretto con un po’ di prato davanti a sé, Chiesa è una forza della natura, è praticamente inarrestabile, sa andarsene via in velocità, sa evitare o anche attraversare i corpi degli avversari con delle sterzate rapidissime, riesce a far passare il pallone in corridoi strettissimi con tiri improvvisi, secchi, velenosi.

Agli Europei, Mancini ha saputo gestire perfettamente queste doti così peculiari, nel senso che le ha re-inserite nella sua squadra al momento giusto: dopo il girone eliminatorio, quando gli avversari sono diventati più aggressivi e inevitabilmente più forti, serviva proprio un esterno in grado di galoppare negli spazi aperti, di creare diversivi sulle fasce, soprattutto quella destra, di ansia generare ansia nei difensori avversari, di correre a perdifiato per tornare in difesa e poi proiettarsi di nuovo in avanti con la stessa rapidità, con la stessa veemenza – tutte cose diverse rispetto a quelle garantite da Berardi. La Nazionale che ha vinto gli Europei è una squadra in cui Chiesa ha trovato terreno fertile per esaltarsi, per confermare il suo status di giocatore ormai affermato, per chiudere in maniera armonica un cerchio aperto esattamente cinque anni fa, quando aveva solo 18 anni e Paulo Sousa decise di lanciarlo all’improvviso nel calcio dei grandi. Da allora Chiesa è cambiato molto, ma il suo è stato un percorso di addizione: ha sviluppato nuove abilità e le ha integrate nel suo gioco senza dimenticare o cancellare la sua essenza verticale, ipercinetica, generosa, ha ampliato e affinato tutto il resto del suo bagaglio tecnico, proprio come ci si aspettava da un predestinato come lui.

Quello segnato alla Spagna è solo il terzo gol di Chiesa realizzato in 32 partite con la maglia della Nazionale: prima degli Europei, l’attaccante della Juventus aveva messo insieme 25 presenze e una sola rete, siglata contro l’Armenia, il 18 novembre 2019 (Matt Dunham/Pool/Getty Images)

Ecco, proprio predestinato è una parola fondamentale per comprendere la vicenda umana e professionale di Chiesa, e non solo perché è il figlio di un grande calciatore: l’idea che Federico potesse – o dovesse – diventare un fuoriclasse in quanto predestinato era frutto di una presunzione, nell’accezione suppositiva e di ambizione smodata del termine. Solo che, nel suo caso, queste aspettative si sono rivelate realistiche, ben riposte, tutt’altro che esagerate: Chiesa ha dimostrato di meritare questo appellativo non tanto e non solo per le sue doti naturali, ma anche perché è cresciuto moltissimo nel corso della sua esperienza con la Fiorentina, poi nella prima stagione alla Juventus e ora con la Nazionale agli Europei. Questa è una lezione gigantesca, per tutti: con il suo percorso netto, Chiesa ha dimostrato che lanciare e sfruttare i giovani, metterli al centro di un progetto, può essere la strada giusta, anzi la strada migliore per raggiungere tutti i traguardi, anche quelli più lontani e più prestigiosi. Certo, non tutti i ragazzi hanno avuto o avranno il suo stesso talento, la sua stessa costanza, la sua stessa intelligenza, ma dargli spazio è il primo passo per capire quali siano i loro margini, per permettergli di dimostrare il loro valore. Costruire o comunque adattare la squadra intorno a loro, poi, può essere un investimento ancora più remunerativo, addirittura vincente, persino per la Juventus – Chiesa è stato tra i migliori elementi della rosa bianconera nell’annata 2020/21, se non il migliore in assoluto – e per una Nazionale che coltivava l’ambizione di vincere un Campionato Europeo. E che, alla fine, ha vinto il Campionato Europeo.

Con la sua storia già trionfale, che poi è del tutto similare a quella di Donnarumma, Chiesa ha lasciato un’eredità che potrebbe avere la forza per cambiare la politica dei club, anche di quelli più ricchi e ambiziosi: i giovani devono essere seguiti e coccolati e aspettati, ma tutto questo può avvenire anche se vengono responsabilizzati, se vengono considerati delle risorse di cui servirsi subito, nelle competizioni e nelle partite più importanti. È una scelta rischiosa, certo, ma può pagare dei dividendi enormi, dal punto di vista tecnico ed economico – secondo Transfermarkt, oggi Chiesa vale 70 milioni di euro, mentre dodici mesi fa ne valeva 48. Come i club, anche la Nazionale dovrebbe/deve prendere esempio dal percorso fatto da Chiesa, quindi anche da se stessa: in vista dei Mondiali 2022 e di tutti gli altri cicli che verranno, c’è già un gruppo di talenti che non può andare disperso, che deve essere valorizzato, ci sono Bastoni, Zaniolo, Kean, Raspadori, Tonali, tutti calciatori che magari non avranno ancora la qualità assoluta di Chiesa, ma hanno già dimostrato di poter essere utili qui, ora. Mandarli in campo e permettergli di crescere da protagonisti è il primo passo fondamentale per cambiare definitivamente la cultura del calcio italiano e quindi per cambiare le cose, per migliorarle. Per rendere davvero onore a Federico Chiesa, per meritarci davvero la sua esplosione, la sua affermazione.