Skriniar, armadio

È arrivato in Italia senza clamori, e oggi è uno dei centrali più forti della Serie A: lo slovacco dell'Inter racconta la sua storia.

Milan Skriniar arriva in anticipo all’appuntamento: del resto è un difensore. Ha un taglio sul sopracciglio destro e una grossa macchina che parcheggia sapientemente nell’androne di un palazzo poco fuori dal centro di Milano. Sono passati due giorni dalla prima gara dopo la vittoria matematica dello scudetto 2020/21, da Inter-Sampdoria, il suo presente che sfida il suo passato. E la campagna di Puma “Only See Great” di cui è testimonial sembra cucita su misura addosso a lui: l’obiettivo è diffondere una visione di speranza, ottimismo e fiducia in se stessi dopo uno degli anni più difficili degli ultimi tempi.

Skriniar non è Lukaku, acquistato con l’obiettivo dichiarato (e raggiunto) di vincere lo scudetto. Cinque anni fa, nel 2016, la Sampdoria lo comprò per un milione di euro dallo Zilina e nei primi sei mesi giocò solo tre partite. Non capiva la lingua e faticava ad adattarsi al calcio italiano, molto più tecnico e tattico rispetto a quello slovacco. Poi una grande stagione con Giampaolo in panchina gli ha aperto le porte dell’Inter, che non si qualificava in Champions League dal 2012. È stato pagato 34 milioni. Negli stessi giorni in cui Skriniar percorreva l’A7 lasciandosi il mare alle spalle, al Milan arrivava Leonardo Bonucci con tanto di fascia di capitano al braccio: nessuno l’avrebbe mai detto, ma l’affare lo hanno fatto i nerazzurri. «In questi anni la società ha iniziato a lavorare diversamente. Abbiamo cominciato con due quarti posti, poi siamo arrivati secondi e in finale di Europa League e adesso abbiamo vinto il campionato. È bellissimo. L’Inter è cresciuta e io sono cresciuto insieme a lei». Ma ci credevi nello scudetto quando sei arrivato in Italia? «Onestamente no», ammette. «Però ho sempre creduto in me stesso, credevo di poter diventare un giocatore importante in una grande squadra e quando ci sono stati dei periodi complicati ho ritrovato la fiducia in me grazie all’aiuto delle persone che ho vicino, la mia famiglia e i miei amici».

Sono tre o quattro – in base a come si vuole considerare Perisic, che nell’ultimo campionato è stato spesso alternato con Darmian e Ashley Young – i calciatori dell’Inter 2017/18 titolari ancora oggi. Gli altri sono Brozovic, Handanovic e Skriniar, senza dubbio il più continuo, solido e affidabile del gruppo. Eppure nel suo percorso di crescita non sono mancati i momenti difficili. Nell’ultima fase della stagione 2019/20, per esempio: dopo il primo lockdown, Conte raggiunge la finale di Europa League puntando su Godín, De Vrij e Bastoni. Skriniar gioca sei minuti nei quarti di finale contro il Bayer Leverkusen e poi basta. Come ci si allena sapendo di non essere più un titolare, come si mantiene la fiducia in sé? «Non ero contento per me stesso, però ero contento per la squadra perché stava andando alla grande. Secondo me è così che dev’essere: se uno non gioca deve fare il tifo per gli altri che giocano al suo posto. È giusto».

Da giovane Skriniar faceva il centrocampista centrale. Pavel Hapal, ex allenatore dell’Under 21 della Slovacchia, una volta ha detto di lui: «Tutti i giocatori dovrebbero lavorare come Milan. Il calcio non è solo talento». Skriniar conosce la cultura del lavoro, durante l’intervista ripete questa parola più di dieci volte, ecco che si torna ancora alla fiducia nei propri mezzi: «In Slovacchia dicevano che non ero il più talentuoso di tutti, però se lavori alla fine riesci a raggiungere obiettivi a cui magari altri non arrivano perché tu lavori di più, lavori meglio, lavori sui dettagli. Questo fa la differenza. Ci sono moltissimi giocatori con più talento di me che purtroppo non hanno lavorato così. Io sono contento di dove sono arrivato, ma non ho smesso di lavorare e lavorerò ancora».

L’estate scorsa sembrava che fosse a un passo dal trasferimento al Tottenham. Lavorava, sì, ma non giocava e l’Inter aveva bisogno di fare cassa: «È vero che non ero felice, ma non è che volessi andare via per forza». Conte l’ha convinto a rimanere: «Abbiamo parlato all’inizio della nuova stagione e ha deciso di tenermi qui, di darmi fiducia anche dopo che ho preso il Coronavirus a ottobre. Devo ringraziarlo per questo». Con Conte, Skriniar ha imparato a giocare nella difesa a tre («Non ero abituato, ho riguardato le partite e gli allenamenti per capire dove migliorare») e ancora una volta è servito il lavoro per superare le difficoltà che l’Inter ha incontrato soprattutto nei primi mesi del nuovo campionato. I nerazzurri hanno cambiato marcia quando hanno abbassato e di conseguenza blindato la difesa: «Anche su questo abbiamo lavorato molto. Direi che siamo diventati più organizzati come squadra. La nostra fase difensiva inizia dagli attaccanti: adesso siamo più compatti e sappiamo gestire bene tutti i momenti delle partite. Quando c’è da andare a pressare alti andiamo a pressare alti tutti insieme e non sono corse lunghissime, invece quando c’è da difendere bassi difendiamo bassi tutti insieme con le distanze corte e questo dà sicuramente una grande mano a noi difensori che non dobbiamo coprire 50 metri dietro la schiena».

A proposito, com’è Conte? Durante l’intervista mi vengono in mente le parole di un suo giocatore del Siena che diceva che dopo le sconfitte diventava intrattabile per una settimana, c’era da avere paura il lunedì mattina in allenamento. Skriniar ridacchia: «Sì, si incazza ancora dopo le sconfitte. Meno male che nell’ultimo nno non ne abbiamo perse tante. Ci dice sempre che siamo dei grandi giocatori, che siamo una grande squadra, però dobbiamo dimostrarlo in campo. Altrimenti gli altri sono più bravi di noi. Conte ha vinto ovunque sia andato, ha una mentalità vincente che ti dimostra e ti chiede ogni giorno in ogni allenamento, e alla fine quando scendi in campo questa mentalità ti rimane dentro. Quando siamo usciti dalla Champions League abbiamo parlato tra di noi, siamo rimasti ancora più uniti e abbiamo fatto undici successi di fila in campionato. Negli scontri diretti con Juventus, Milan e Atalanta non abbiamo solo vinto, abbiamo dimostrato a tutti che eravamo pronti per lottare fino in fondo».

Oltre al lavoro, Skriniar parla tanto di Champions League. Da quando è all’Inter non ha mai raggiunto gli ottavi di finale. La ferita è ancora aperta: «L’eliminazione di un anno fa è stata una grande botta per tutti gli interisti. Ci dispiace ancora. Però penso che abbiamo avuto bisogno anche di quello per la crescita della squadra. Spero che l’anno prossimo sarà diverso perché saremo più maturi anche noi in campo». Per lui la Champions League non è solo il torneo continentale più prestigioso, ma è anche un modo per tastare concretamente il livello che ormai ha raggiunto, lo status di difensore tra i più forti d’Europa: «Quand’ero più giovane i miei idoli erano Sergio Ramos e Van Dijk, che secondo me sono i difensori più forti di questo periodo», racconta. «Adesso però sono contento di poterli guardare come avversari, perché con una grande squadra come l’Inter posso sfidare il Real Madrid o il Liverpool». A proposito, Milan è anche il primo slovacco della storia a vincere la Serie A: «È una grande soddisfazione, forse personalmente è il mio successo più grande. Penso che significhi molto per il calcio slovacco».

Uno dei soprannomi di Skriniar è “Skrinka”, che in slovacco significa armadietto: «In realtà all’inizio mi chiamavano così semplicemente perché era l’abbreviazione di Skriniar. Poi quando sono arrivato in Italia e i tifosi dell’Inter hanno cominciato a chiamarmi muro, armadio, le due cose si sono unite». Milan invece è un nome slavo che vuol dire gentile, amorevole, grazioso. La sua versione femminile, Milena, è usata anche in italiano. Skriniar non lo sapeva. Ma tu ti senti più Milan o più Skrinka? «Dipende, ma forse più armadietto perché sono un difensore».

Da Undici n° 38
Foto di Mattia Parodi