Chi ti ricorda Erling Haaland?

Nessuno. Il campione norvegese ha un fisico e un gioco che rimandano a tanti centravanti del passato, ma proprio questo lo rende un nuovo prototipo, un giocatore unico.

Per molti anni abbiamo visto giocare Leo Messi e ogni volta, sempre più stupiti, ci siamo detti che sembrava un po’ più forte rispetto alla partita precedente. Voltandoci indietro adesso, potremmo dire che il suo processo di crescita sia andato avanti impetuoso dal 2005 al 2011, e di lì in poi, raggiunto il plateau, Leo abbia rifinito alcuni dettagli grazie al mestiere, mantenendo a lungo stabile il suo straordinario rendimento e rimandando il declino: la terza fase della sua carriera è certamente iniziata, ma la lenta discesa della curva viene spesso interrotta da nuovi balzi verso l’alto. Pensavo sinceramente che non avrei più vissuto un’esperienza del genere, poter seguire (e ammirare) la traiettoria di un Messi era già stato un gran privilegio. Pensavo.

Da due anni, invece, un giocatore completamente diverso fa dire a tutti le stesse cose: ogni partita che vediamo di Erling Braut Haaland ci meravigliamo dei suoi progressi, di come risulti ulteriormente migliorato rispetto alla volta precedente. Naturalmente è da dimostrare che possa crescere ininterrottamente per altri tre o quattro anni, pareggiando così la durata dell’ascesa di Messi: ma già il fatto che il dubbio sia venuto descrive una platea di espertoni – noi, vecchie e disincantate pellacce da stadio – letteralmente a bocca aperta di fronte al nuovo fenomeno.

Così allibiti da credere alla voce messa in giro da Jan Fjortoft, commentatore alla tv norvegese e compagno di Nazionale del padre di Erling al Mondiale del 1994, secondo la quale il centravanti sarebbe stato concepito in uno spogliatoio. Quello del Leeds, dove Alf-Inge Haaland e la moglie, l’eptatleta Gry Marita Braut, avrebbero ceduto a un desiderio irresistibile, non rinviabile nemmeno del breve tempo necessario per tornare a casa. Se la storia è falsa, l’ha inventata un genio del marketing: per uno destinato a segnare centinaia di gol, il concepimento nello spogliatoio sembra un segno del destino. La nascita di un supereroe.

L’emersione di una nuova star si accompagna sempre alla ricerca dei suoi predecessori, in parole povere al “chi ci ricorda”, quasi che il calcio procedesse per linee dinastiche e al di fuori di quelle cinque/dieci discendenze non ci fosse atleta possibile. Beh, Haaland sfugge a tutto ciò. O per restare nel suo stile, lo abbatte.È ovvio che risalendo con la memoria – e un discreto archivio video – il fiume dei grandi centravanti, Gabriel Batistuta sia un riferimento molto più corretto di Paolo Rossi: la potenza è la prima caratteristica alla quale pensi quando vedi Erling, e mentre Bati era un camion lanciato a tavoletta in autostrada il nostro caro Pablito faceva la differenza con l’agilità e la destrezza. Premesso questo, Haaland sembra un’altra cosa ancora rispetto a Batistuta, o a Bobo Vieri che è un altro accostamento sensato, o a Van Nistelrooy. La potenza in lui è soltanto una delle chiavi del mazzo di qualità buone per segnare i gol. Non c’è mai stato un centravanti così potente in grado di correre così veloce: e se scegliete il più avanzato nel mix delle due doti, non aveva i suoi piedi. Haaland rasenta la perfezione. Come… No, non lo diciamo ancora.

Diciamo invece che i corpi cambiano, o meglio la loro rappresentazione. Ho sempre immaginato Frank Rijkaard come se l’avesse disegnato Hugo Pratt – tratto morbido, quasi suadente – e fosse quindi uno dei tanti personaggi che Corto Maltese incontra nei suoi viaggi; anni dopo la fisicità più netta e arrogante di Paul Pogba mi faceva pensare agli schizzi post-moderni di Enki Bilal, c’era qualcosa del fantasy tecnologico nel suo modo di muoversi. Erling Haaland è ancora differente, perché abbandona il terreno dei fumetti per entrare in quello dei videogiochi.

Da quando è diventato un giocatore del Borussia Dortmund, nel gennaio 2020, Haaland ha accumulato 64 presenze e 63 gol in tutte le competizioni; con la Nazionale maggiore norvegese, ha uno score di 14 presenze e nove gol (Ina Fassbender/AFP via Getty Images)

Ha già scritto Daniele Manusia che Haaland pare preso di peso da Fortnite: nel gioco, adrenalinico e stordente, ciascuno sceglie il suo avatar, in genere guerrieri pompati come se passassero dieci ore al giorno in palestra; caricature, nulla di realistico. Se non che Haaland è assolutamente reale, e il fatto che richiami i personaggi di Fortnite spiega bene la differenza che c’è fra lui e chiunque l’abbia preceduto. Se il gioco del “chi ci ricorda” non investe la realtà (e nemmeno un fumetto), è saggio parlare di un prototipo.

Haaland sembra un esperimento sfuggito al laboratorio e atterrato su un campo di calcio. Come… ma sì, come Ronaldo Nazario, l’unico altro meritevole del motto olimpico citius-altius-fortius. Che poi il Fenomeno era del tutto diverso, più morbido e rotondo, da quattro ruote motrici: semmai più simile all’antagonista di Haaland nel prossimo decennio, vale a dire Kylian Mbappé. Ma l’insieme delle qualità, quello racconta. Hai tutto, Erling. Sorprendici.

Dal numero 37 di Undici