Milan-Liverpool è una storia speciale

L'epica delle due incredibili finali nel 2005 e nel 2007, un legame forte tra le due tifoserie. E ora i rossoneri ritrovano la Champions ripartendo proprio da una sfida coi Reds.

Prima della finale di Champions League del 2005, Milan e Liverpool non si erano mai affrontati in una partita ufficiale. Dopo la finale di Champions League del 2005, Milan e Liverpool si sono affrontate solo in un’altra occasione: la finale di Champions League del 2007. Questa sera, ad Anfield Road, Reds e Rossoneri si affronteranno per la terza volta nella storia loro e della massima competizione europea. «Un must watch del calcio continentale», così lo ha definito Jurgen Klopp. Un classico, così ne stanno parlando tanti commentatori in molti paesi europei. Una sfida degna della Champions League, questa la sensazione di chi tifa, di chi guarda e, soprattutto, di chi ricorda.

I tifosi di Milan e Liverpool non si erano mai incontrati, mai conosciuti prima della finale di Atene. Nel 2005 i social media non erano ancora onnipresenti e onnipotenti come sono oggi, quindi era difficile conoscere gli usi e costumi del tifo altrui, gli inni, i cori, i gesti degli altri. I tifosi del Milan e i tifosi del Liverpool si incontrarono, si conobbero quella notte, prima, durante e dopo una partita così incredibile che per descriverla si è finiti a disturbare i santi: per i Reds divenne il miracolo di Istanbul, ai rossoneri rimase la certezza che il Dio del calcio dà e il Dio del calcio toglie, anche nell’intervallo tra un tempo e l’altro, soprattutto tra una finale di Champions e l’altra. Nella comunanza che viene dalla condivisione di un evento inspiegabile al punto di essere incredibile, nacque tra i tifosi del Milan e quelli del Liverpool un rapporto che andava oltre la rivalità.

Oggi tutti quanti sappiamo che l’inno del Liverpool è You’ll Never Walk Alone. Ne conosciamo a memoria le strofe e il ritornello, lo sentiamo nella testa sia con il boato di Anfield che con la voce nasale di Gerry & the Pacemakers. All’epoca del primo incontro tra Milan e Liverpool, però, i Reds non erano quelli che conosciamo oggi e il loro folklore ancora non si era provato a scimmiottarlo in mezzo mondo. Quando i tifosi rossoneri sentirono per la prima volta You’ll Never Walk Alone come ormai va sentito, come ormai è pensato, rimasero sconvolti e ammirati. Alla fine del primo tempo della finale di Atene il Liverpool era sotto 3-0, subito gol di Maldini e poi doppietta di Crespo. Nell’intervallo, i milanisti conobbero i Reds: «Non riuscimmo a festeggiare perché l’Ataturk divenne una cassa di risonanza per l’inno del Liverpool. Eravamo ipnotizzati. Sopra 3-0 ci stavamo noi e a cantare erano loro» racconta a Fourfourtwo Oscar Poma, uno degli “anziani” della Fossa dei Leoni. Les Lawson, presidente della sezione del Merseyside del Liverpool Supporters’ Club, ricorda che «You’ll Never Walk Alone partì piano ma divenne subito un coro fortissimo. Una delle migliori esecuzioni che abbia mai sentito. Fu un’affermazione: “Noi siamo il Liverpool”». Si potrebbe anche dire una presentazione, per un mondo giovane che ancora non sapeva cosa fosse il Liverpool, per uno vecchio che ormai si era dimenticato la gloria rossa degli anni ‘80.

Al contrario, tutti conoscevano quel Milan. Una di quelle squadre talmente grandi che si spiegano recitandone la formazione: Dida-Cafu-Stam-Nesta-Maldini-Pirlo-Gattuso-Seedorf-Kakà-Shevchenko-Crespo-allenatoreCarloAncelotti. Una grandezza tale che riconoscerla, per gli avversari, non era dimostrare timore ma riconoscere un’auto-evidenza: «Senza ombra di dubbio il Milan era la squadra più forte. Chiunque metta in discussione questo fatto deve andare a farsi vedere da un medico […] Quello era un undici di livello mondiale. Penso si possa sostenere fosse la squadra migliore vista da trenta o quarant’anni a quella parte», spiegò Dietmar Hamann in un’intervista pubblicata sul sito della Uefa in occasione del quindicesimo anniversario della notte del miracolo. Una grandezza tale che ammetterla, per i tifosi rossoneri, non era superbia ma ammirazione.

Fu proprio questa differenza di classe (intesa in più sensi, in tutti i sensi) a rendere quel primo incontro tra rossoneri e Reds così speciale. Nessuno dei tifosi presenti allo stadio quella sera poteva saperlo, ma tutti sarebbero diventati testimoni dell’epoca che si chiudeva e di quella che si apriva: la supremazia del calcio italiano finì in quel momento, lo stesso in cui cominciava quella della Premier League; il Milan di Ancelotti cominciò a finire quella sera, la stessa in cui il Liverpool iniziava la rifondazione che lo avrebbe portato fino alla vittoria del diciannovesimo campionato e della sesta Coppa dei Campioni. In questo aver intuito uno scampolo gli uni del futuro degli altri, milanisti e reds formarono un rapporto che, come detto prima, andava oltre la rivalità e anche oltre il gemellaggio, le forme che odio e amicizia prendono attorno al campo da calcio. La finale di Atene, poi, fu necessaria perché a Istanbul, nella confusione che i miracoli generano sia in chi sta dentro che in quelli che stanno attorno a essi, troppe linee narrative erano rimaste senza il finale degno, giusto: il Milan di Ancelotti non poteva finire in quei sei minuti e mezzo di follia, come lì definì Carletto; la Champions League di Filippo Inzaghi non poteva chiudersi con una finale vista dalla tribuna. Atene servì a rimettere ordine, e infatti per il Liverpool non venne rancore dalla sconfitta e per il Milan non ci fu vendetta nella vittoria. Come due pugili che decidono di fermarsi al secondo incontro senza completare la tradizionale trilogia per decidere chi sia il campione, come gli atleti olimpici che decidono che due ori sono una vittoria raddoppiata invece che dimezzata, Milan e Liverpool si fermarono lì.

Milan-Liverpool è una delle sette partite che si sono svolte più di una volta come finale della Coppa dei Campioni/Champions League: le altre sono Real Madrid-Stade Reims, Ajax-Juventus, Barcellona-Manchester United, Real Madrid-Atlético Madrid, Real Madrid-Juventus e Liverpool-Real Madrid (Jamie McDonald/Getty Images)

Non nacque una rivalità, non si fece il gemellaggio, ma i tifosi rossoneri e quelli reds tornarono a casa con la sensazione di essersi conosciuti e completati, di aver aggiunto gli uni un pezzo all’immaginario collettivo degli altri e di aver arricchito gli uni il mito degli altri: più di una rivalità c’è la comunanza, oltre il gemellaggio esiste la condivisione. Fu uno scambio equivalente, il principio regolatore dell’alchimia (quantomeno dell’alchimia che conosco io, cioè quella di Fullmetal Alchemist): se si desidera ottenere qualcosa, bisogna dare in cambio qualcosa dello stesso valore. Una sconfitta per una vittoria, una coppa per una coppa, la fine di un ciclo per l’inizio di un altro.

Il 19 aprile del 1989 a San Siro si gioca la semifinale di Coppa dei Campioni, l’avversario è il Real Madrid. Quattro giorni prima, durante la semifinale di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forest, 96 tifosi Reds erano morti dentro la trappola della Leppings Lane, 200 ne erano usciti vivi ma feriti, traumatizzati. Mentre San Siro applaude il Milan che diventerà leggenda, quello di Arrigo Sacchi e degli olandesi, dalla curva sud, casa degli ultras rossoneri, arriva una canzone che all’epoca era per tanti solo una canzone, per pochi già un inno: You’ll Never Walk Alone, la musica di una squadra lontana e spezzata, un omaggio ad altri che però sono noi. Anche in un mondo in cui conoscersi era più difficile e parlarsi più faticoso, i tifosi del Milan sapevano e quelli del Liverpool seppero. Pochi giorni dopo quel 19 di aprile, gli ultras del Milan ricevettero una lettera da quelli Liverpool: grazie, c’era scritto, grazie. Un ringraziamento portato anche per quelli che non avrebbero parlato mai più. Un ringraziamento che andava oltre le rivalità e i gemellaggi: chi li aveva mai visti, i tifosi del Milan; chi li aveva mai incontrati, i supporters del Liverpool. E chissà quando sarebbe successo, e come sarebbe stato.