Alle radici del ciclismo, con le Classiche Italiane

Sono eventi di paese, gare secche ed emozionanti: il ciclismo è nato con loro, e il loro fascino esplode tra l’autunno e la primavera.

Sport atipico per sua natura, refrattario alla logica e alle semplificazioni, il ciclismo va in letargo mentre il resto del mondo si risveglia. Le scuole hanno riaperto da poco, il campionato di calcio è agli esordi, i palinsesti televisivi millantano novità, ma per il ciclismo l’inizio di ottobre è incontrovertibile sinonimo di fine stagione. Le ruote silenziose sono affini ai ritmi della natura più che ai calendari civili: fioriscono all’inizio della primavera, esplodono di colori (e di gare) nel corso dell’estate e lentamente si eclissano ad autunno inoltrato. Beninteso: si corre in bici ben prima di marzo e molto dopo ottobre, tuttavia esiste nel ciclismo un rispetto quasi sacro della – per l’appunto – ciclicità di tutte le cose, e di una scansione incardinata nei decenni e nella tradizione di questo sport. È da oltre un secolo che la stagione del grande ciclismo comincia con la Milano-Sanremo (nota anche come Classicissima di primavera, o per metonimia Primavera e basta) e si conclude con il Giro di Lombardia (altrimenti detta Classica delle foglie morte). In mezzo trovano spazio le classiche del Nord, i Mondiali, il Giro, il Tour e la Vuelta, decine di più o meno brevi corse a tappe, ogni quattro anni anche le gare olimpiche: ma per le cerimonie di apertura e chiusura di ciascuna sua stagione il ciclismo torna imperterrito in una delle sue maggiori patrie e culle storiche, l’Italia.

C’è voluta una delle pandemie più gravi della storia per stravolgere questa impostazione, con le edizioni 2020 di Sanremo e Lombardia eccezionalmente riprogrammate in pieno agosto, a una settimana di distanza l’una dall’altra. Ma nel 2021 l’ordine naturale è stato ripristinato, producendo in appassionati e addetti ai lavori la pacificazione tipica dell’armonia, di quando tutte le tessere di un puzzle tornano nel posto che spetta loro. Al modo in cui uno spettacolo pirotecnico non si conclude mai con un botto solo, la fine della stagione ciclistica non è puntiforme appannaggio del Giro di Lombardia, il quale costituisce piuttosto l’apice di una sequenza di tre gare di un giorno che insieme formano il cosiddetto Trittico d’autunno.

Prima, e non potrebbe essere altrimenti, viene la Milano-Torino, veterana tra le corse in bicicletta se ce n’è una. Non la prima gara ad essere stata disputata in assoluto (questo primato spetta alla Parigi-Rouen del 1869), ma la più antica ad essere tutt’ora, e nonostante alcune interruzioni sparse, regolarmente in calendario. Basti dire che quando si corse la prima Milano-Torino, nel 1876, la bicicletta non era nemmeno una bicicletta: era un bizzarro biciclo, la ruota anteriore molto più grande della posteriore, camere d’aria nemmeno a parlarne. Partirono in otto, arrivarono in quattro, degli altri si persero le tracce lungo il percorso. Vinse dopo dieci ore di gara il milanese Paolo Magretti, all’epoca studente di ingegneria ma in seguito più famoso come esploratore ed entomologo, particolarmente ferrato in fatto di bachicoltura. Il ciclismo era appena nato, odorava di sporco e strade dissestate. Il fatto che un evento come la Milano-Torino abbia luogo ancora oggi non è tuttavia soltanto l’occasione di rievocare i suoi romanzeschi pionieri e rivisitare certi suoi luoghi della memoria – altre due delle pietre angolari del castello di storie che è il ciclismo. È un ritorno materiale, tangibile, alle radici di questo sport. Un invito a setacciare il presente in cerca di frammenti remoti e immutati di significato. Perché sono cambiate le biciclette, i fondi stradali, i metodi di allenamento e migliaia di altre cose, ma la missione primigenia del ciclismo, in particolar modo delle classiche di un giorno, continua a essere quella inclusa tra le righe del messaggio con cui nell’ottobre del 1905 La Gazzetta dello Sport annunciava la prima edizione del Giro di Lombardia: una sfida ai limiti della resistenza umana, messa alla prova condizioni diverse e percorsi via via più esigenti.

L’obiettivo dell’insolita data scelta per il primo Lombardia (12 novembre) era proprio questo: testare le nascenti stelle del ciclismo sottoponendole alla maggiore durezza e imprevedibilità delle condizioni climatiche dell’autunno pieno. Alla partenza, data presso il “boschetto” di Rogoredo, fu invitato niente meno che Romolo Buni, celebre pistard che alcuni anni prima aveva sfidato un sosia di Buffalo Bill in una tre giorni di sfide bicicletta-cavallo vinta per poco dal cowboy (102 chilometri totali percorsi contro i 99 del ciclista). Il neonato Giro di Lombardia fu un successo clamoroso: migliaia di spettatori si riversarono sulle strade ad assistere a una delle vittorie più significative della carriera di Giovanni Gerbi, il Diavolo rosso di Paolo Conte, che sfruttò un rallentamento dei rivali su uno scambio tranviario tra Lodi e Crema e se ne andò tutto solo dopo appena trenta chilometri di gara.

La loro straordinaria presa sul pubblico è un’altra delle ragioni dell’immarcescibilità delle classiche del ciclismo, della resistenza che oppongono alla polvere del tempo. A confronto con il ritmo da soap opera delle gare a tappe, il fascino della competizione secca, in cui tutto si decide in poche ore e che ciascuno dei partenti può in una certa misura sperare di vincere, fa somigliare le corse di un giorno a thriller d’azione. Anche le tattiche di gara sono snellite, a cominciare dal fatto che il vincitore di una classica è, banalmente, colui che taglia il traguardo per primo (e non chi, fatta una talvolta cervellotica somma dei tempi delle varie frazioni, risulti leader della classifica generale). L’immediatezza delle loro dinamiche rende le classiche intimamente vicine, comprensibili a un popolo di tifosi vasto e differenziato che si eleva a co-protagonista di un racconto in cui compaiono, succedendosi coerentemente, personaggi della statura di Fausto Coppi e Vincenzo Nibali, Roger De Vlaeminck e Philippe Gilbert, Eddy Merckx ed Egan Bernal.

Dal 2021, Banca Ifis è Premium Partner delle cinque Classiche Italiane, perché è qui che hanno radici le piccole e medie imprese a cui si rivolge la sua offerta, è qui che la mobilità greeen può partire con più energia.

Intercalato tra Milano-Torino e Giro di Lombardia, il Giro del Piemonte, ribattezzato nel 2009 Gran Piemonte, è la corsa più imberbe del Trittico d’autunno. È nata nel 1906, e in tempi recenti si è assestata nel ruolo di ideale ponte tra le due che la precedono e seguono. Nello specifico, Milano-Torino e Gran Piemonte hanno luogo tipicamente in due giorni consecutivi, una dopo l’altra, nel corso della settimana che culmina al sabato col Giro di Lombardia. Simili a gregari (a proposito: Banca Ifis, Premium Partner delle Classiche Italiane dal 2021, ha lanciato un inedito progetto sulla figura del gregario, ovvero su colui che mette anima e corpo per il successo della squadra, nel ciclismo e nel lavoro. I video e tutte le storie del progetto sono qui)  che tirano la volata al capitano e a cui tuttavia il ciclismo sa riservare spazi e talvolta gloria, esse preparano la strada alla corsa-Monumento dell’autunno brillando al tempo stesso di luce propria e di un’identità compiutamente definita nel novero delle corse di fine stagione.

Dovrebbe a questo punto essere superfluo specificare che nel ciclismo la locuzione “fine stagione” non ha nulla a che vedere con saldi, svendite o altre tipologie di occasioni a buon mercato. Le classiche d’autunno non sono imparentate nemmeno lontanamente con certe partite di fine campionato dai ritmi lenti, prive di mordente e obiettivi da raggiungere. Tutt’altro. Emblematico come nel 1959, pochi mesi prima della morte improvvisa, Coppi decise di rinunciare a prendere il via per l’ultima volta alla corsa che aveva vinto cinque volte (di cui quattro consecutive) spiegando di non sentirsi allenato a dovere, dal momento che «il Giro di Lombardia non è una gara in cui ci si può presentare alla partenza come a una corsetta qualsiasi.»

Convenientemente collocato a pochi giorni dalla conclusione della settimana dei Mondiali, il Trittico d’autunno offre in ultimo ai propri protagonisti due grandi categorie di opportunità, entrambe presenti nel catalogo delle ragioni per le quali ci identifichiamo dai suoi albori nelle imprese del ciclismo, e più in generale dello sport. A chi ha avuto un anno da ricordare, viene prospettata la consacrazione; a chi è andato male, il riscatto. Questo è forse il vero nucleo di senso delle classiche, e in modo specifico di quelle autunnali: la conferma che c’è sempre una possibilità ulteriore, l’occasione del colpo di coda o della redenzione.

Undici X Banca Ifis
Dal numero 40 della rivista