Italia-Spagna, solo una sconfitta

La Nazionale di Mancini ha perso contro un grande avversario, e non esce ridimensionata.

La rabbia e la delusione mostrate dai giocatori dell’Italia alla fine della partita con la Spagna, la prima persa dagli Azzurri dopo 37 gare utili consecutive, sono dei segnali positivi per chi ama leggere e vivere il calcio attraverso la lente dell’emotività – quindi misurando la temperatura dell’agonismo, della grinta, dell’attaccamento alla maglia. È legittima vederla così. Ma si può e si deve andare oltre: le cose più significative di Italia-Spagna 1-2 sono quelle successe in campo, sono i fatti di gioco avvenuti prima ma anche dopo l’espulsione di Bonucci, momenti che raccontano la sconfitta di una squadra che però non esce – non può uscire – ridimensionata dal confronto con la Spagna di Luis Enrique. E non perché fosse reduce da un’incredibile striscia di risultati positivi, né tantomeno perché ha vinto gli ultimi Europei.

Tutto comincia proprio dal valore dell’avversario. La Spagna è una Nazionale che gioca come una squadra di club, che ha un’identità fortissima, radicata, e che perciò può permettersi di far esordire il 17enne Gavi, un giocatore con sette gare da professionista alle spalle, e farlo sembrare un veterano; è una Nazionale che, fin dai primi minuti, ha capito dove insistere per rompere il sistema difensivo avversario – sulla fascia sinistra – e lì ha costruito il gol del vantaggio; è una Nazionale che, soprattutto, muove il pallone con intelligenza e velocità superiori, e che già all’Europeo – ricorderete – aveva eluso il pressing degli Azzurri proprio esasperando la ricerca del possesso.

Il punto è che l’Italia, almeno fino all’espulsione di Bonucci, ha subito gli avversari ma non si è lasciata travolgere. Anzi, in diverse occasioni ha interrotto – o comunque inibito – le infinite serie di passaggi della Spagna, ha costruito manovre offensive veloci e pericolose, ha colpito un palo (con Bernardeschi) e ha fallito un’occasione piuttosto ghiotta (con Insigne). Proprio le due azioni più pericolose dell’Italia nel primo tempo – praticamente consecutive – hanno manifestato concretamente il lavoro fatto da Mancini, su diverse strategie, per far male alla Spagna: spostato nel ruolo di prima punta, Insigne è servito a “chiamare fuori” i difensori spagnoli ed aprire gli spazi giusti per gli inserimenti degli esterni, sia di difesa che di centrocampo; i suoi tocchi di prima e i suoi immediati attacchi alla profondità, subito dopo, sono diventati incontenibili, ed è così che Lorenzo si è ritrovato solo davanti a Unai Simón, solo che ha calciato a lato. L’Italia ha giocato in questo modo dal momento in cui è andata in svantaggio: fino al gol di Ferrán la scelta di Mancini era stata di schierare Bernardeschi nello slot prima punta per aggredire i centrali spagnoli, per mettergli fretta nella prima costruzione. Questa scelta, forse, non ha dato proprio tutti i frutti sperati. Ma vanno considerati anche i meriti e la qualità dei giocatori in maglia rossa.

L’ingenua espulsione di Bonucci ha complicato i piani di rimonta dell’Italia, ha tolto alla squadra di Mancini le distanze e l’energia necessarie per fare pressing, per provare a irretire il possesso palla della Spagna. La partita tattica è sostanzialmente finita lì, e non solo perché pochi minuti dopo è arrivato il gol dello 0-2 segnato ancora da Ferrán, ancora con un’azione sulla sinistra: a quel punto la Spagna ha potuto sedersi metaforicamente sul pallone, l’ha fatto girare con (ancor più) sicurezza e tranquillità, ha gestito in maniera matura la partita. Come detto, però, anche in quei momenti l’Italia ha manifestato dei valori importanti: non si è mai disunita, in alcuni momenti è riuscita a risalire il campo, ha trovato il gol dell’1-2 e quindi ha acceso i minuti finali, è persino riuscita a zittire i fischi (antichi, quindi incomprensibili) di San Siro nei confronti di Gianluigi Donnarumma.

Sarebbe ingiusto pensare e scrivere che la Nazionale italiana non avrebbe meritato di perdere: non è così, anche al netto di un’espulsione evidentemente decisiva. Allo stesso tempo, però, sarebbe ingeneroso – anche perché ontologicamente scorretto, dato quello che si è visto in campo – credere che questa sconfitta sia più di una sconfitta e basta, che possa mettere in dubbio il passato, il presente e il futuro del progetto di Mancini. È una questione di percezioni che devono superare il significato temporale di un risultato: oltre la Spagna, pochissime altre Nazionali al mondo – quattro o cinque in tutto: Francia, Inghilterra, Portogallo, forse Belgio e Brasile – hanno dei valori superiori o anche solo simili a quelli dell’Italia; solo la Spagna, delle Nazionali affrontate finora dall’Italia, ha mostrato di possedere un sistema di gioco in grado di mettere costantemente – cioè per tutta la lunghezza di una partita – in difficoltà la squadra azzurra. Questo non significa che tutto debba rimanere immutato da qui alla gara decisiva contro la Svizzera e poi fino ai Mondiali in Qatar, che non ci siano degli aspetti perfettibili – a cominciare da un necessario chiarimento sulle strategie e le gerarchie in attacco, così come sull’inserimento dei vari Pellegrini, Tonali, Kean nel gruppo storico. Ma il progetto è vivo, ha delle fondamenta robuste e ha già dimostrato di avere un’anima vincente. Non tutti hanno delle basi così solide, oltre la la rabbia e la delusione, da cui ripartire dopo una sconfitta.