L’acquisizione da parte del fondo saudita PIF ha reso il Newcastle United il club calcistico più ricco del mondo. Basti considerare che, secondo la CBS, il valore stimato di tutte le attività facenti capo a PIF – legato direttamente al principe saudita Mohammed bin Salman – supera i 300 miliardi di sterline, mentre lo sceicco Mansour, proprietario del Manchester City, gestisce un patrimonio di circa 25 miliardi di sterline. Insomma, siamo di fronte a un vero e proprio stravolgimento delle gerarchie calcistiche, che a Newcastle upon Tyne è stato celebrato con una vera e propria festa popolare, come se i Magpies avessero (già) vinto il titolo di Premier League. Dal loro punto di vista non si tratta di una reazione esagerata: lo United non solleva al cielo un trofeo dal 1969, anno in cui si impose in Coppa delle Fiere, e ha vinto l’ultimo titolo domestico nella stagione 1954/55, quando conquistò la FA Cuo. Bisogna risalire addirittura al 1927 per l’ultima vittoria in campionato.
Ma c’è da considerare un altro aspetto: seppure la Premier League – che ha accettato il passaggio delle quote al termine di una lunghissima e controversa trattativa – abbia rassicurato tutti sul fatto che no, il fondo PIF non dipende direttamente dalla famiglia reale saudita, resta evidente che le iniezioni di liquidi destinate a cambiare la storia del Newcastle, e forse anche del calcio inglese in senso assoluto, arrivano da un Paese in cui il rispetto dei diritti umani non è garantito. E quest’ultima frase, ovviamente, è un eufemismo. Tra tutti, il Guardian è il giornale che si è distinto per la sua avversione all’operazione, che ha pubblicato i commenti più duri: l’ultimo di una lunga serie, firmato da David Conn, si intitola «L’acquisizione del Newcastle lascia che i diritti umani si annebbino sul Tyne – La scelta della Premier League dimostra come il riciclaggio di denaro e la difesa della reputazione del calcio inglese possano vincere le preoccupazioni sulla spietatezza di un regime». Difficile trovare parole più eloquenti.
Probabilmente, però, le proteste di un giornale non possono restituire appieno il disagio dell’intera comunità inglese e internazionale rispetto a questa nuova operazione di sportswashing. Perciò è giusto evidenziare altre due opposizioni significative: quella di Amnesty International, una delle associazioni umanitarie più famose del mondo, che ha chiesto ufficialmente lo stop alla trattativa perché «è un chiaro tentativo, da parte del regime dell’Arabia Saudita, di ripulire la propria immagine internazionale e nascondere la mancanza di diritti umani nel Paese». E poi ci sono le parole di Hatice Cengiz, compagna di Jamal Khashoggi, giornalista del Washington Post e di diverse testate progressiste saudite ucciso nel consolato del suo Paese a Istanbul, nell’ottobre 2018. Cengiz ha scritto su Twitter che «È terribile leggere che il denaro è stato più importante della giustizia, ancora una volta. Il Newcastle è passato nelle mani di persone che hanno ucciso, e questa è una cosa vergognosa».
Secondo quanto risulta dalle indagini portate avanti dall’intelligence statunitense, l’omicidio di Khashoggi sarebbe stato approvato dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman in persona, anche se alla fine questa incriminazione non ha portato ad alcuna sanzione internazionale nei suoi confronti. Khashoggi era in esilio volontario dal 2017 ha sempre avuto una posizione molto critica nei confronti di Mohammad bin Salman, e del re del paese, Salman dell’Arabia Saudita; inoltre si è opposto all’intervento militare saudita in Yemen e ha scritto numerosi articoli sull’argomento. È stato dichiarato persona scomparsa dopo il 2 ottobre 2018, quando entrò nel consolato saudita a Istanbul: per il ritiro di alcuni documenti da quel momento, non è stato più visto vivo. Alcune fonti investigative hanno riscontrato che l’omicidio sarebbe stato eseguito da un gruppo di 15 agenti sauditi, che in seguito avrebbe fatto a pezzi il cadavere il cadavere di Khashoggi.