I giocatori hanno troppo potere nel calciomercato?

Il caso di Vlahovic è emblematico: la Fiorentina deve rassegnarsi a cederlo a prezzo ribassato oppure a perderlo a parametro zero. Abolire i cartellini potrebbe essere la soluzione per riequilibrare un po' il sistema?

Al di là di quella che sarà la sua prossima squadra, siamo già sicuri di una cosa: Dusan Vlahovic lascerà la Fiorentina. Non manca molto tempo al suo addio, che potrebbe consumarsi indifferentemente la prossima sessione di mercato o quella dopo ancora, tutto questo nonostante un contratto in vigore che alla voce data di scadenza dice giugno 2023. Il motivo per cui esiste questa certezza – nonostante la mancanza di un accordo con altra società, o almeno di un accordo già ufficializzato – è che Dusan Vlahovic ha rifiutato le proposte di rinnovo, o comunque chiede cifre che la sua attuale società non può garantirgli; inoltre ha il vantaggio di sapere che, con buona probabilità, le offerte non tarderanno ad arrivare. Vlahovic, insomma, si sente pronto per passare al livello successivo. Sta dimostrando di poter valere una grande squadra e in qualche modo si sente più grande della Fiorentina. E forse lo è già. Di sicuro ha il potenziale per diventarlo. Per questo, ha deciso di andare via. E niente potrà fargli cambiare idea, a meno di offerte clamorose o cambi di scenario che al momento non sono ipotizzabili.

Allo stesso tempo, però, la Fiorentina potrebbe non aver fretta di cederlo. Potrebbe decidere di prolungare fino all’ultimo giorno possibile la permanenza di un attaccante che può fare tutta la differenza del mondo in una squadra come quella di Vincenzo Italiano. Sapendo di perderlo in ogni caso, a zero, tra due anni. Ma è davvero un’opzione percorribile? Resta il fatto che la decisione – già presa – di Vlahovic condanna il club viola a non incassare una cifra enorme da questo trasferimento, di sicuro non quella che avrebbe voluto o potuto chiedere se il centravanti serbo fosse stato vincolato da un contratto più lungo. Ma la Fiorentina resta la Fiorentina, ovvero un club con un monte ingaggi lordo di 60 milioni di euro. Un club per cui incassare anche solo 50 milioni da un singolo giocatore significherebbe molto. Perdere Vlahovic a zero sarebbe un delitto.

In un calciomercato in cui giocatori e agenti riescono sempre più spesso a ottenere quanto richiedono in sede di trattative, le società rischiano di avere poco margine di manovra anche quando lavorano bene – nel caso della Fiorentina: aver pescato e sviluppato un talento come Vlahovic. Inoltre, la crescita del mercato degli svincolati sembra aver ristretto ulteriormente le loro possibilità. Quest’ultimo è un trend recente del calciomercato, un universo sempre più fondato sugli svincolati, con i grandi colpi multimilionari relegati a un’esigua minoranza rispetto ai trasferimenti a costo zero. Ma perché siamo arrivati a questo punto? Pesa certamente la crisi economica globale, che ha prosciugato le casse dei club e li ha portati a ricalibrare progetti economici, imprenditoriali e sportivi. Ma c’entrano anche le commissioni sempre più alte da pagare agli agenti dei calciatori, le scelte autonome di atleti sempre più interessati ad avere in mano il proprio destino sportivo (e non solo). In questo scenario i club hanno sempre meno potere, quindi sono costretti a ballare su una musica che non hanno scelto loro. Alla fine, il risultato inevitabile è che anche un giocatore come Mbappè, cioè uno dei più forti del mondo oggi, domani e per tutti gli anni Venti, un fenomeno che gioca nella squadra più ricca e al momento anche la più forte, può decidere di stabilire la sua data d’uscita. Come pare aver fatto. Proprio come Vlahovic, o come tanti altri.

La vicenda Vlahovic sembrerebbe portare questo contesto a un livello successivo. Il punto di partenza è da ricercare nel rendimento del centravanti serbo: nel momento in cui chiude la stagione 2020/21 con 21 gol in Serie A a vent’anni d’età, Vlahovic è già andato via da Firenze. In astratto, almeno. Pur avendo un contratto ancora lungo. Per la Fiorentina è diventata una corsa contro il tempo: più si avvicina il 30 giugno 2023, meno incassa dalla sua cessione. Il suo caso non è come quello di altri giocatori in scadenza nel 2023 come Salah, Sterling, Lautaro Martínez, Skriniar, De Vrij: per loro è difficile immaginare una cessione forzata o imposta alle rispettive società. Potrebbero farlo calciatori come Carlos Solér o Robin Gosens o Marcus Thuram: si tratta di giocatori giovani – Gosens un po’ meno – che potrebbero ambire a palcoscenici più prestigiosi di Valencia, Atalanta e Gladbach. Nessuno di loro, però, ha l’appeal di Vlahovic.

È evidente che oggi le società di calcio – o almeno quello che non si chiamano Paris Saint-Germain, Manchester City o Bayern Monaco – fanno sempre più fatica a non cedere i giocatori più importanti del roster di fronte alle loro richieste. Una situazione che si esaspera quando questi calciatori ricevono – oppure pensano di poter ricevere – attenzioni da club più ricchi. Soprattutto perché bisogna fare i conti con bilanci che non possono sostenere spese fuori mercato in questo momento. Lo ha detto anche il presidente del Milan Paolo Scaroni: «Se i calciatori e gli agenti hanno richieste che non possiamo sostenere, allora vengono prese altre decisioni e gli auguriamo buona fortuna». È un evidente riferimento a Donnarumma, Cahlanoglu, ma anche a Kessie, alle trattative per il suo rinnovo: praticamente Scaroni ha ammesso che non c’è granché da fare in questi casi, a patto però che il club abbia poi modo di coprire quella perdita in altri modi. Il Milan lo sta facendo benissimo in questi anni e – al netto dei limiti dettati dal bilancio – ha chiaro il suo progetto, una linea da seguire e non la sconfesserà per un giocatore, chiunque esso sia.  Con le scelte fatte su Donnarumma, il club rossonero ha dimostrato che si può trarre vantaggio anche perdendo a un grande giocatore e un asset importantissimo: il portiere della Nazionale italiana è stato rimpiazzato da un calciatore di ottimo livello come Maignan, in più il suo addio ha fatto risparmiare sul monte ingaggi una cifra molto consistente.

Dalla particolarità del caso-Milan si può trarre un insegnamento di tipo generico: l’unica vera strada percorribile è pianificare a lungo termine, accettare dei rischi contenendoli e indirizzarli laddove l’economia del club può reggere. Nell’esempio della Fiorentina forse l’unica cosa da fare era prolungare il contratto di Vlahovic prima o dopo l’avvio del campionato 2020/21, quando il suo talento era meno evidente e meno consolidato. Un gioco d’anticipo che aumenta il rischio di ritrovarsi un giorno con giocatori indesiderati a libro paga. Di converso, però, garantisce di mettere in cassaforte ciò di cui il club ha più bisogno: i soldi di una cessione, a prezzo pieno, del suo miglior giocatore nel caso in il suo talento cui dovesse esplodere.

Secondo gli algoritmi di Transfermarkt, Franck Kessié è il calciatore di Serie A più prezioso tra quelli con il contratto in scadenza a giugno 2022: il suo cartellino vale 55 milioni di euro (Gabriele Maltinti/Getty Images)

La settimana scorsa ho parlato di questa deriva del calciomercato con il giornalista Giovanni Armanini, ex coordinatore editoriale di Calcio e Finanza e oggi caporedattore a Onefootball. Mi ha detto che il problema non riguarda tanto la perdita di importanza dei club nelle trattative, «perché comunque il prossimo contratto di uno come Vlahovic, così come il costo del suo trasferimento, dipenderà dalle sue prestazioni, che fanno l’interesse tanto del giocatore quanto del club: se Vlahovic non segna da qui a Natale, a gennaio nessuno gli offrirà il contratto che cerca». La deriva del calciomercato è un tema concettuale più che calcistico o economico: per i club i giocatori sono asset, sono voci a bilancio prima ancora che talenti tecnici e fisici da sfruttare sul campo. E il valore economico di un calciatore è sempre meno sovrapponibile al suo stesso valore sportivo. «Non vale solo per i piccoli club», dice Armanini. «Per esempio, prendi il problema dei giocatori che sono stati strapagati, tra cartellini e stipendi, atleti i cui costi vengono ammortizzati un poco ogni anno. Questi calciatori non possono più muoversi, vedi i casi di Coutinho al Barça o Tolisso al Bayern Monaco, perché il loro costo sarebbe sproporzionato rispetto a quel che suggerirebbe il loro reale rendimento».

È anche per questo che forse siamo sempre più vicini al momento in cui il calcio dovrà dotarsi di un sistema di player trading simile a quello delle leghe sportive americane, in cui i cartellini non vengono acquistati, ma le società si scambiano i contratti, o attendono che arrivino a scadenza per poi convincere un giocatore a firmare. Potrebbero giovarsene anche le realtà medio-piccole, quelle che oggi si basano sul player trading per vendere e incassare e rendere sostenibile la loro presenza ad alti livelli. Intanto si garantirebbe, come accade spesso nelle leghe sportive americane, il rispetto della durata dei contratti, che forse avrebbero mediamente una durata più breve; e poi non ci sarebbe una corsa a rendere quel calciatore una voce con il simbolo “+” a bilancio  – magari attraverso operazioni che, sempre più spesso, vengono fatte in maniera poco trasparente, utilizzando cartellini di giocatori minori per realizzare transazioni dal valore sportivo nullo. Certo, questa è una soluzione impraticabile nel breve periodo. Ma, e riprendo le parole di Armanini, «l’idea della proprietà di un cartellino inteso come valore patrimoniale di un calciatore si può abolire immaginando una transizione verso un diverso modello di business da qui a tre o cinque anni, con una riforma molto ampia che include società, giocatori e procuratori». In questo modo, almeno, il club torneranno a fare trattative avendo il calcio come fine e non come mezzo.